lunedì 29 luglio 2019

L'importanza di una "photo opportunity"

      Milano, 17 febbraio 2003, viale Jenner. Abu Omar, imam della moschea sita nel medesimo viale, viene avvicinato da un furgone bianco e fatto oggetto di una extraordinary rendition, vale a dire di un prelievo manu militari di un soggetto sospettato di terrorismo.
       La "brillante" azione avviene con rapidità e il sequestrato viene trasportato alla base militare di Aviano e da lì trasferito in Egitto, un Paese dove la tortura non è reato.
      Le indagini della procura milanese fanno maturare il convincimento che la "brillante" azione antiterroristica sia frutto di una collaborazione tra il servizio segreto italiano (all'epoca il Sismi) e la CIA. Cospicuo il numero dei soggetti impiegati dai due servizi nell'azione. Se ci sono fotografie o filmati della medesima, non ne arriva ai giornali alcuna: chissà come mai...? Quanto alle telecamere presenti nell'area (non poche, si può ipotizzare, perché una moschea guidata da un presunto terrorista è sicuramente oggetto di un attento controllo), non vedono o non riescono a vedere alcunché, probabilmente colpite da un virus informatico noto come "difesa della cristianità (e/o dell'Occidente  e/o di entrambi) dalla minaccia islamica".
      La vicenda si dipana per circa un decennio, con incriminazione di agenti segreti italiani e statunitensi, ma tutto finisce ovviamente nel nulla, con assoluzioni e tempestive "grazie presidenziali".
      Nessuna foto è mai trapelata sull'istruttiva vicenda, a dimostrazione che, quando si vuole essere "seri e professionali", anche in Italia si riesce, magari sotto la regia degli esperti agenti di Langley (Virginia).
      Per contro, la fotografia del cittadino statunitense arrestato a Roma è uscita subito e il sospettato era trattato in modo da poter far alzare altissimi lai contro la violazione del diritto nazionale e internazionale. Magari il giovane americano sarà processato, ma ha subito torture gravi, ergo si può persino dubitare che arrivi a processo. E, nel caso ci dovesse mai arrivare, interverrà sicuramente il Dipartimento di Stato, come fece Hillary Clinton per Amanda Knox.
       Il problema degli Stati clienti, come l'Italia, è la loro mancanza assoluta di sovranità e - se non c'è l'"ingenuone" che fa una foto a un sospettato grazie alla quale il sospettato stesso si avvia a diventare un torturato innocente - ci può essere il "furbetto" che gliela fa sapendo benissimo a chi può servire, e come, magari capitalizzando sulla tensione del momento e sul fatto che qualcuno, tra gli inquirenti, si può essere fatto prendere la mano, riscoprendo antiche vocazioni iper-repressive.
       In ogni caso, la posizione del cittadino americano ne esce parecchio alleggerita, nell'immediato e soprattutto in prospettiva. Potenza del diritto, nazionale e internazionale. Una potenza che riesce a correggere tutti gli errori umani, a meno che a te - tapino - non sia toccata la sanzione, inappellabile, del Diritto più forte di tutti: il diritto di morire...! Anche quello è un diritto, dopo tutto, applicato con crescente impegno nei Paesi di più antica tradizione giuridica... Dai, cittadino, vedi di trovarti come minimo una scorta e di leggere attentamente i dati sulla diminuzione dei reati. Non farti condizionare da un accoltellamento andato a buon fine. Abbi fede!

                         Piero Visani








venerdì 12 luglio 2019

Delegittimate, delegittimate, qualcosa resterà...

       Una delle peculiarità della guerra ibrida attualmente in corso è l'attenzione assurda che viene prestata ai suoi contenuti fattuali: nel caso della delegazione leghista a Mosca, nell'ottobre scorso, che cosa essa avrebbe tentato di fare.
       Un approccio del genere non ha alcun significato e tanto meno alcun valore in un contesto di componente mediatica di una "guerra ibrida": ciò che interessa, infatti, non è quello che è accaduto (andare in giro a battere cassa lo fanno tutti i partiti e ci sono illustri precedenti al riguardo...), ma come la presentazione e la rappresentazione di determinate notizie possono condizionare l'agenda setting quotidiano dei media, vale a dire la notiziabilità o meno di quanto viene raccontato (e qui si innesta una formidabile componente di storytelling) al grande pubblico.
       Della notizia in sé, complessivamente alquanto irrilevante, non interessa ad alcuno, ma interessa moltissimo come essa possa essere strumentalizzata e a quali fini.
       Mi viene perciò molto da sorridere quando leggo contestazioni del tipo: "a battere cassa a Mosca ci andava anche il Pci". Certo, verissimo, lo faceva con assoluta costanza e continuità, ma in uno scenario politico-strategico assai diverso dall'attuale e dove le intercettazioni erano assai meno agevoli di quelle attuali, anche perché il mondo era rigidamente diviso in blocchi, non era multipolare come adesso e, all'interno di quella bipolarità, non era in atto una "guerra di tutti contro tutti", che va al di là degli schieramenti, si estende all'interno dei partiti, coinvolge interessi pubblici e altri privatissimi. Senza contare che il Pci dell'epoca poteva contare su un formidabile apparato metapolitico, riempito anche di persone colte e molto capaci, non di media strategist della Val Brembana (con tutto il rispetto per la medesima: la Valle, non la strategy...).
       In definitiva, il primo compito di questo conflitto ibrido/mediatico è l'assoluta delegittimazione dell'avversario e - ancor più - la volontà di sottrargli qualsiasi tipo di iniziativa politico-mediatica, costringendolo COSTANTEMENTE SULLA DIFENSIVA per mezzo di una serie di attacchi che possono anche essere semplici punture di spillo, ma sono costanti e ininterrotti, E LO OBBLIGANO A REAGIRE SEMPRE,  AD AGIRE MAI.
       Non mi sembra che tutto ciò sia nitidamente percepito. Vedo in azione, piuttosto, culture della politica e del conflitto assolutamente primitive, incapaci di cogliere la grande (e grandiosa...) COMPLESSITA' DELLA REALTA' ATTUALE E MENO ANCORA CAPACI DI COMPRENDERE CHE OGGI IL REALE E' UNA DELLE DIMENSIONI MENO IMPORTANTI DEL VIRTUALE.
        SENZA QUESTA ACQUISIZIONE FONDAMENTALE, NELLA GUERRA IBRIDO-MEDIATICA NON SI VA DA ALCUNA PARTE, ma si fa il "punching ball" dell'avversario o, al massimo, gli si fa da "sparring partner", cioè - per parafrasare Paolo Conte (non Giuseppe...) - si diventa al massimo "dei macachi senza storia". Come si finisce per dimostrare ampiamente...

                                      Piero Visani







              

martedì 9 luglio 2019

Pubblicizzate, pubblicizzate, qualcosa si venderà...

       Ogni volta che pubblicizzo il mio libro "Storia della guerra dall'antichità al Novecento" (Oaks Editrice, Milano 2018, 195 pagine, prezzo scontato sui 15 euro), riesco a venderne qualche copia e a risalire nella classifica Amazon di settore (oggi al 55° posto, dopo aver toccato come massimo il 12°). Dovrei tenerne maggiormente conto, ma sono troppo impegnato e forse troppo snob per farlo davvero.
       Ho fatto pochissime presentazioni del libro stesso, anche perché uno dei miei sport preferiti è andare a dire ciò che gli interlocutori NON vogliono sentire (e sapete, no, di quale "pasta" è fatto un intellettuale organico, per cui, pur venendo dalle isole Galapagos, preferirei tenermi lontano da quel tipo di deiezione), però il libro non è andato malissimo, per cui qualche virtù forse poteva averla.
        Ora mi mancano tre capitoli per finire Storia della guerra nel XX secolo, ma ho pochissimo tempo per dedicarmici, visto che ho un autentico terrore dei redditi di cittadinanza e degli stipendi da clientela, e ho pure un altro libro da fare. Ma ho sempre vissuto egregiamente di espedienti, anche perché mi andava di testimoniare di persona la mia assoluta alterità, per cui non solo ce la farò, ma pure rispettando alla lettera i tempi. Insomma, in interiore homine habitat veritas e - lasciatemelo dire - una citazione di Sant'Agostino credo che, fatta da me, per molti sia assolutamente inattesa.

                      Piero Visani




                              

giovedì 4 luglio 2019

Una buona operazione di "guerra ibrida"

       Quando si è oggetto di una buona operazione di "guerra ibrida" - come è stato il caso del governo italiano nella vicenda della nave "Seawatch" e della capitano Rakete - ha poco senso e ancora minore utilità lasciarsi andare a esplosioni di collera o all'invocazione di provvedimenti impossibili, come l'espulsione. Sarebbe decisamente preferibile, semmai, analizzare a fondo l'operazione dall'inizio alla fine, individuarne le regolarità e le specificità, e prepararsi ad affrontarne altre, che certo non mancheranno.
      La "guerra ibrida" (hybrid warfare) è un sistema complesso, ricco di sfumature, le cui componenti travalicano nei campi più diversi. Per fronteggiarla in modo adeguato, non serve arrabbiarsi, ma serve analizzarne ogni singolo aspetto, per sviscerarlo nei dettagli, scomporlo e predisporre le adeguate contromisure. Se tutto questo non verrà fatto (e temiamo che non lo sarà...), le operazioni di "guerra ibrida" di cui sarà oggetto l'attuale esecutivo diventeranno sempre più complesse, visto che si tratta di un versante su cui è scoperto e vulnerabilissimo (anche per la nota predisposizione di gran parte del centrodestra italiano all'analisi e allo studio...).

La preparazione
       Questa fase si è svolta a vari livelli. Non abbiamo qui lo spazio per trattarne in dettaglio, ma è chiaro che occorre disporre della materia prima (i migranti), della possibilità di raccoglierli e caricarli a bordo di una nave dedita al traffico umanitario (chiediamo scusa se questo tipo di linguaggio urta le "anime belle", ma chi scrive si occupa di guerre e varie forme di conflittualità, dunque è solito chiamare le cose con il loro nome; con lui, i giochetti mediatici sono un pochino più difficili...) e di attendere il segnale del momento più opportuno per l'avvio dell'operazione.

La realizzazione
       Quando questo segnale c'è stato, una prima fase ha richiesto di protrarre la vicenda il più a lungo possibile, per caricarla di contenuti "umanitari"; poi, quando la misura è parsa colma, si è passati alla fase 2, vale a dire il forzamento di un porto. E' ovvio che, in molte parti del mondo, il tentativo di forzare un porto da parte di una nave straniera sarebbe finito malissimo e con possibile spargimento di sangue, ma - si sa - Italians do it better, per cui - da noi - alti lai, geremiadi, banalità e naturalmente nessun gesto concreto, non sia mai...

Le componenti collaterali
       In un'operazione di "guerra ibrida", le componenti collaterali sono più importanti di quelle principali: dunque preliminare ripulitura di eventuali dati relativi al comandante presenti sui social, in modo da rendere difficile ricostruirne identità e pregressi; attivazione di tutti i supporti politici, culturali e mediatici a proprio favore che fosse stato possibile individuare. Riservato a sé (Seawatch e Rakete) il ruolo di hostes (in senso schmittiano, "nemici esterni") del governo italiano, individuare, tra le file italiane, coloro i quali potessero fungere da eventuali inimici (cioè "nemici interni", sempre in senso schmittiano) dell'attuale esecutivo, vale a dire tutti coloro che, in un modo o nell'altro (politici, magistrati, giornalisti, etc.) potessero fungere da casse di risonanza e moltiplicatori di forza dell'operazione in corso, operando dall'interno e non dall'esterno.

L'operazione è andata bene e si è conclusa meglio per chi l'ha avviata, e la reazione, al di là delle rodomontate da bar del ministro dell'Interno (che paiono il suo riferimento culturale più elevato), segna un innegabile successo per chi sa usare - bene - la "guerra ibrida" per fare politica. Se non si reagisce a quel preciso livello, la guerra è già persa in partenza.
        Nell'area mediterranea, specialisti di "guerra ibrida" non schierati sul fronte mainstream sono gli Hezbollah libanesi, formazione politico-militar-culturale assai rispettata dai propri nemici, che infatti lanciano contro di essi un assai minor numero di attacchi di quanto non facciano contro il ministro dell'Interno italiano, il quale - a conferma della sua assoluta chiarezza di idee - è solito definire gli Hezbollah "terroristi"...

                            Piero Visani