domenica 14 gennaio 2018

Un agguato... galeotto

       Nel giugno 1796, a seguito delle insistenti pressioni del suo fresco sposo, il generale Buonaparte, la sua consorte, Giuseppina de Beauharnais, si decise a malincuore di raggiungerlo in Italia, dove il marito stava conducendo la sua prima e brillantissima campagna contro gli austriaci.
       Il matrimonio era stato celebrato con solo rito civile la sera del 9 marzo 1796 e soltanto due giorni dopo Napoleone era partito per assumere il comando dell'Armata d'Italia. Nei mesi successivi, nonostante le lettere infuocate che il novello sposo le scriveva, la sensuale Giuseppina aveva continuato la sua relazione amorosa con Paul Barras, l'uomo forte del Direttorio al potere in Francia, ma ne aveva pure intrecciata una con tale Hippolyte Charles, capitano degli ussari e uomo ben addentro ai traffici per la vendita di vari tipi di forniture all'esercito, attività notoriamente assai lucrosa.
       Si comprende quindi come Giuseppina non avesse grande voglia di raggiungere il marito in Italia, visto che riusciva a distrarsi benissimo nella sua amata Parigi. Tuttavia, la volontà di un marito, e per di più di un generale della Rivoluzione che stava riportando vittorie su vittorie, non poteva essere contrastata più di tanto, all'epoca, per cui il 24 giugno 1796 Giuseppina si mise in viaggio per l'Italia, accompagnata dalla sua cameriera, Louise Compoint, dallo stesso capitano Charles e dal superiore diretto di lui, il colonnello Jean-Andoche Junot, amico personale di Napoleone e suo aiutante di campo fin dai tempi dell'assedio di Tolone del 1793. La comitiva era completata da Giuseppe Buonaparte, fratello maggiore di Napoleone e - secondo l'usanza corsa - capofamiglia dopo la morte del padre.
       Il viaggio fu relativamente tranquillo, passando per Chambery e il colle del Moncenisio, e ogni notte, nelle soste alle locande di posta, Giuseppe era costretto a tollerare il fatto che Giuseppina dividesse la camera con il capitano Charles, mentre la sua cameriera faceva altrettanto con il colonnello Junot.
       Arrivata a Milano e fagocitata dalle pressanti attenzioni di Buonaparte, ella si convinse a seguirlo in campagna, ma ben presto sia il marito sia lei si resero conto che una guerra condotta con operazioni così rapide poteva costituire un grave pericolo per una donna e, ancor più, per la moglie del generale Buonaparte, la quale, se catturata, avrebbe potuto costituire per gli austriaci una preziosissima merce di scambio.
       Sul finire del mese di luglio, Giuseppina giunse a Verona, ma Buonaparte venne prontamente informato che dense colonne di soldati austriaci stavano marciando sulla città veneta, per cui ordinò che Giuseppina e la sua cameriera fossero immediatamente scortate a Peschiera. Anche colà, tuttavia, ella non poté essere considerata al sicuro e passò una notte molto agitata, costretta a dormire vestita e pronta ad abbandonare la cittadina al primo allarme.
       Il mattino seguente, a Peschiera giunse il colonnello Junot, con una buona scorta di dragoni, con l'incarico di mettere in salvo Madame Bonaparte. La situazione, tuttavia, stava precipitando, per cui egli fu costretto - per sottrarsi agli austriaci - a far seguire alla carrozza di Giuseppina la strada che correva lungo le rive del lago di Garda. Non fu una decisione felice, in quanto nelle acque del lago incrociava una cannoniera austriaca, la quale individuò subito il piccolo corteo e, dalla presenza di una carrozza e di una scorta, intuì che era stato intercettato qualche personaggio importante. La cannonierà manovrò allora  in modo da navigare parallela alla riva del lago, il più vicino possibile alla strada, e da lì cominciò a sparare contro il corteo francese con il cannoncino di bordo e i moschetti dei suoi fucilieri.
       Per Giuseppina e la sua cameriera la situazione si fece in breve pesantissima: Junot e i dragoni, infatti, erano soldati, abituati ad operare sotto il fuoco nemico, mentre Madame Buonaparte era soprattutto una navigatrice di salotti e alcove, per cui perse rapidamente la testa e cominciò ad urlare come un'ossessa. Le sue urla, poi, divennero isteriche, quando uno dei cavalli che trainavano la carrozza venne colpito a morte e ne causò l'immediato arresto, nel mentre anche un dragone della scorta veniva ucciso.
       Il colonnello Junot non era uomo da perdersi d'animo per così poco. Si precipitò all'interno della carrozza e fece scendere rapidamente le due donne, mentre intorno a loro fioccavano fucilate e cannonate. Poiché Giuseppina continuava a strillare, egli la spinse bruscamente in un fossato che correva a fianco della strada e le fece scudo con il proprio corpo. Alcuni storici maliziosi (e maschilisti) sostengono che la risposta di Madame Bonaparte a quel gesto cavalleresco e galante del colonnello Junot sia stata tale, a livello fisico, da renderla indimenticabile per lui, come se il loro contatto non fugace l'avesse - per così dire - fortemente placata e ammorbidita...
       A differenza del suo collega Gioacchino Murat, divenuto maresciallo dell'Impero e re di Napoli, il colonnello Junot - divenuto successivamente generale e duca d'Abrantés - da autentico gentiluomo non si vantò mai di aver sedotto, in circostanze successive, madame Buonaparte, partendo da così promettenti premesse, ma commise l'ingenuità di raccontare questo piccolo aneddoto ad un solo collega, forse anche per discolparsi di fronte a Napoleone di non avergli rivelato la relazione di sua moglie con il tenente Charles, alcuni anni prima. E - come sempre accade in questi casi  - il piccolo aneddoto fece il giro dell'Armata, accrescendosi di particolari piccanti ad ogni tornata, quando in realtà non si trattò altro che di un gesto coraggioso e galante. E tuttavia Giuseppina de Beauharnais, nonostante la sua statura non superiore agli 1,52-1,53 metri, pare che avesse colpito l'immaginario collettivo dell'intero esercito francese. Non a caso, qualche anno dopo, quando un reggimento di Dragoni venne inserito nella Guardia Imperiale, quel reparto venne immediatamente ribattezzato "i Dragoni dell'Imperatrice".

                 Piero Visani




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