Sono nato ad Aosta nel 1950, da padre romagnolo e madre valdostana. Sono venuto a Torino a inizio 1956 e vi ho fatto tutto il mio ciclo di studi, fino alla laurea.
Ho conosciuto la città e la sua borghesia all'inizio del ginnasio, quando aver respirato l'aria del liceo classico statale "Massimo d'Azeglio" non mi portò ad aderire all'antifascismo imperante colà, ma a iscrivermi alla "Giovane Italia", all'epoca l'organizzazione giovanile del Msi.
Intendiamoci, ero più nazionalista e patriota che fascista, ma del liberalnazionalismo torinese detestavo il fatto che erano torinesi. Si respirava - nelle loro ristrettissime file - lo stesso aere che si respirava nelle (allora) austere aule del "d'Azeglio". Un'aria di conformismo, un fetore di stantio, un razzismo strisciante ma fortissimo ("lei come nasce? Dove abita? Cosa fa suo padre?"). E, una volta appurato che il sottoscritto non abitava né in collina, né in precollina, né in Crocetta, ma nelle vicinanze dello Stadio Comunale, cioè a cavallo tra i quartieri di Santa Rita e Mirafiori, lo si classificava subito nel ceto della piccola borghesia impiegatizia o - horribile dictu! - nella classe operaia, tanto amata a livello teorico dall'alta borghesia "illuminata" torinese, a condizione - ça va sans dire - di non doverne incontrare mai gli esponenti e tanto meno i figli. "Operaisti" sì, ma immaginari...
Io poi - di famiglia piccolo borghese ma economicamente in ascesa, grazie alle doti di mio padre - portavo una seconda "stella gialla": ero un "fascista", dunque non meritevole di alcunché: né di inviti a feste né di favori sessuali (quest'ultimi, peraltro, elargiti - le rare volte in cui accadeva - con il senso sparagnino del risparmio che ha sempre caratterizzato il ceto dirigente cittadino, figlie del medesimo incluse).
Acceso odiatore del conformismo, vedevo in costoro gli stessi soggetti che - in epoca staraciana, cioè nel passato regime - si sarebbero esibiti con "maschia baldanza" nel salto del cerchio di fuoco. Di conseguenza, ho seguito un percorso tutto mio, abituandomi a fare sempre tutto da solo, raccogliendo ampi elogi e promesse di carriera universitaria fino a che - io sono di indole molto futurista... - non feci un outing politico-culturale che mi costò tutto.
Finii così, quasi per reazione, nell'ambito della Destra torinese, dove - accanto ad alcune eccellenti persone, che ancora oggi mi onorano della loro amicizia - mi ritrovai in un concentrato di "teschi di cazzo" (dire "teste" sarebbe soverchiamente benevolo) da cui presi rapidamente le distanze.
Negli anni successivi, ho scoperto un universo subalpino di marginali (Costanzo Preve, Francesco Coppellotti, per non citarne che alcuni) che - come me - avevano vissuto, magari su altri versanti, le stesse esperienze e che avevano appreso a loro spese quale sia il peso del conformismo a Torino.
Come loro, sono sopravvissuto abbastanza brillantemente. Nessuno mi conosce e non ho avuto medaglie al valore, ma neppure le ho cercate. Ma mi diverte vedere che la Torino che protesta contro l'editore di Casa Pound era totalmente silente quando Cesare Battisti veniva al Salone del libro a presentare le sue opere. E ancor più mi diverte vedere il governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, andare ai cancelli di quel poco che rimane degli stabilimenti della FCA e dover prendere dolorosamente atto che là "non ci sono più compagni, perché tutti votano Lega". Li avete bruciati tutti voi, con il vostro elitarismo codino, che rende aperto quello dei revenants dell'Ancien Régime. Chapeau!
Se la Destra italiana non confondesse la politica con le tangenti e sapesse che cos'è la metapolitica e come la si sviluppa (ma forse questo è chiedere troppo, senza stringenti verifiche su Q.I. largamente inferiori al minimo), Torino sarebbe un bel terreno di sviluppo. Fiducioso come sono degli esiti della cosa, abito ormai da un quarantennio a Moncalieri...
Piero Visani