giovedì 9 maggio 2019

"Gaudeamus igitur, Juven[tus] dum sumus"

       Non so che cosa sia successo, non so se la decisione sia definitiva. So che vedo le partite della Juventus da 5 anni e soffro, soffro sempre di più. Vedo la Champions League, l'Europa League, i Mondiali, gli Europei. Dunque sono un appassionato.
       Non ne capisco niente di calcio - diranno giustamente gli addetti ai lavori - però mi permetto di sottolineare che alcuni tra i più grandi allenatori della storia di questo sport NON hanno fatto il calciatore prima di sedersi su una panchina.
       Mi sono sempre chiesto, vedendo giocare la Juventus, come mai un certo signore ci fosse rimasto così a lungo: vinceva - è vero - ma come? Io non condivido il pensiero juventino/bonipertiano che "vincere sia l'unica cosa che conti". Tutt'altro. Penso che giocare bene, possibilmente molto bene, sia decisamente preferibile e conduca a vittorie vere, durature, non sul campo del Frosinone (con tutto il rispetto per il Frosinone e i suoi tifosi) o del Chievo (stesso discorso).
       In Europa, la Juventus di Allegri ha sempre sofferto, oltre che di cronica carenza di gioco, di mancanza di intensità, di corsa, di "garra", di partecipazione emotiva all'evento. Tant'è vero che, quando nel luglio scorso venne acquistato Cristiano Ronaldo, dissi a mio figlio - che ne è testimone - che "se il presidente Agnelli pensa di vincere la Champions League con CR7, ma tenendo Allegri, si sbaglia di grosso".
       E' facile essere facili profeti. Allegri ne aveva già perse due, di Champions League, aggiungendo allori alla lunga lista di insuccessi europei della Juventus, proprio perché - nel momento in cui, grazie alla presidenza di Andrea Agnelli, la squadra si dava consistenza economica, fatturati, marchi e ambizioni da squadra europea/mondiale di primissimo rango - si teneva un allenatore modestissimo, speculativo, privo di un'idea di gioco che non fosse qualche invenzione estemporanea e saltuaria, utile magari a vincere qualche partita o il campionato italiano, ma nulla più. Un allenatore che non pareva (e non pare) essersi reso conto che il calcio è cambiato, che non è un gioco semplice ma un gioco terribilmente tattico, e dove l'acquisizione costante di automatismi serve a fare tutto più in fretta e con meno errori.
       Le due splendide semifinali di Champions League di ieri e l'altro ieri, giocate con un'intensità formidabile da tutte le squadre coinvolte (fatta probabilmente eccezione per il Barcellona) dimostrano che nel calcio europeo si è da tempo aperta un'altra era e che, per esserne all'altezza, occorrano allenatori con idee meno datate e - come minimo - con almeno UNA idea di gioco.
       Se - come pare, anche se non è ancora certo - Allegri se ne andrà, si chiuderà una parentesi di brutture, utili per chi si contenta di scudetti e Coppe Italia, mentre ben altri sono i trofei da conquistare oggi e nel calcio del futuro. Serve qualcuno che conosca, ami e respiri l'aria totale e totalizzante della modernità, con i suoi ritmi intensissimi, i suoi allenamenti prolungati, i suoi schemi collaudati. Poi, certo, la palla può entrare o meno - come dicono i fautori del tradizionalismo calcistico, sempre ignorante, autoreferenziale e soddisfatto di sé, come lo sono sempre tutti gli stolti -. Ma il futuro ha bisogno di ben altro, ha bisogno di ossessioni, esasperazioni e tanta, tantissima "garra".

                          Piero Visani





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