giovedì 26 marzo 2020

Sicurezza e libertà

       Concludendo il suo quotidiano elzeviro su "La Stampa", Mattia Feltri scrive, a proposito del fondamentale rapporto tra sicurezza e libertà in Paesi che possano definirsi "civili": "...ricordiamoci che settantacinque anni fa si rischiava la vita per la libertà, ora si rischia la libertà per la vita. Speriamo che questo non dica qualcosa di noi".
       In realtà dice moltissimo. Ci racconta la fuoriuscita dalla Storia di una civiltà vecchia, non solo anagraficamente, come quella europea. Abituata a considerare vita il numero di giorni che riesce a vivere in schiavitù senza rischiare la morte. Contenta di poter essere controllata in tutto (telefono, salute, risorse mobiliari e immobiliari, pur di sentirsi "al sicuro"). Ma "al sicuro da che?", da virus che possono anche essere creati in laboratorio, approfittando di questa ossessione securitaria, magari tranquillizzati da "scienziati" che sicuramente sapranno tutto dei loro ambiti di competenza, ma difficilmente possono vantare conoscenze anche nelle relative applicazioni militari (che sono ricche e variegate, e non sempre smontabili con semplici operazioni di reverse engineering).
       L'ossessione securitaria ci ha condotto alla non-vita attuale, dove dobbiamo solo obbedire ad "ordini superiori" e farlo - ovviamente - per "il bene comune". "Bene comune" che si identifica con la nostra "vita-morte", naturale frutto di quella "bellezza dell'impotenza" ormai riservata al "Grande Ospizio" europeo, dove la libertà dei singoli - oggi controllatissima - si esprime nel contare, come si faceva ai tempi del servizio militare obbligatorio, quanti giorni manchino all'"alba del congedo", partendo da 365 (visto che all'epoca la leva durava un anno). Con una piccola, ma fondamentale, differenza, i giorni che a noi mancano - per chi ancora li volesse scioccamente contare - non sono all'alba, ma al tramonto, l'ultimo, quello definitivo: la morte.
       La civiltà occidentale, del tutto priva di senso del tragico, è arrivata persino a inventarsi la colossale fola della "guerra senza morti". Invece la guerra c'è, sempre e comunque; il nemico pure, anche se lo definiscono invisibile e - come spesso è accaduto della Storia - non ci sta di fronte, ma dietro, tra quelli che amiamo ritenere "i nostri capi"; e la morte ci è costante e serena compagna, anche perché le nostre vite di poveri "servi della gleba" e non di "beati possidentes", da tempo deprivate di tutto o quasi (ma costantemente in nome del "bene comune"...) sempre e solo quell'esito ammettono, anche se molti di noi lo vorrebbero differibile in eterno. Senza accorgercene, persi dietro il sogno di vivere in eterno, ci siamo rassegnati a perdere ogni libertà e ogni dignità, ed a morire giorno dopo giorno. Dunque a morire sempre.

                  Piero Visani


sabato 14 marzo 2020

Marzo 1821

       Visto che siamo in un'epoca di "neo-patrioti" (forse molto più "neo" che "patrioti"), chissà chi si ricorda dell'ode manzoniana "Marzo 1821", di cui tra un anno esatto ricorrerà il duecentesimo anniversario sia della stesura (15-17 marzo 1821) sia dell'evento (i moti carbonari in Piemonte, l'abdicazione di re Vittorio Emanuele I in favore del fratello Carlo Felice e la concessione della Costituzione da parte del reggente Carlo Alberto, che fecero sorgere la speranza dell'entrata in guerra del regno di Sardegna contro l'impero austro-ungarico per promuovere l'indipendenza italiana, poi atrocemente delusa). 
       Questo il celeberrimo incipit dell'opera:

    Soffermàti sull’arida sponda
vòlti i guardi al varcato Ticino,
tutti assorti nel novo destino,
certi in cor dell’antica virtù,han giurato: 
non fia che quest’onda
scorra più tra due rive straniere;
non fia loco ove sorgan barriere
tra l’Italia e l’Italia, mai più!

      L’han giurato: altri forti a quel giuro
rispondean da fraterne contrade,
affilando nell’ombra le spade
che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
già le sacre parole son porte;
o compagni sul letto di morte,
o fratelli su libero suol.

       La situazione è oggi diversissima, ma il nemico rimane il medesimo ed è un impero economico, molto più che politico-militare
. La prevenzione razzistica nei nostri confronti non è minimamente mutata e la Storia - se e quando si ripete - lo fa come tragedia o come farsa. Della seconda siamo abilissimi (e naturalmente vocati) protagonisti. Della prima, in genere involontarie vittime. Nelle fasi di accelerazione storica - e questa è certamente una di esse - penso sia utile conoscere un po' il passato, per non sbagliare un evento fondamentale come la designazione del nemico principale (per me: l'Unione Europea e chi la controlla a proprio vantaggio) e avere bene in mente che non sarà il "patriottismo" dei "canti da osteria" dal balcone a farcene uscire vincitori. Serviranno sudore e lacrime. Sangue non so, magari non direttamente, ma certo indirettamente sì, e molto. Del resto - visto che ho buona memoria e NON amo le dimenticanze - non li ho votati io coloro che ci hanno venduto (largamente remunerati) al Quarto Reich.

                                Piero Visani


                                                

venerdì 13 marzo 2020

Il controllo del territorio

       Premesso che, dalle mie parti, non è facilissimo riuscire a fare un certo numero di chilometri senza imbattersi in "forze dell'ordine" che non ti fermino per chiederti che cosa stai facendo, dove stai andando, perché e via libertarieggiando, constato con soddisfazione che il controllo del territorio, se solo il governo lo vuole, è possibile, anche se è così soffocante e capillare. Non era così, per contro, quando in un anno sbarcavano sulle nostre coste almeno duecentomila migranti. Per loro, in effetti, valeva il diritto alla sopravvivenza, che a noi, cittadini di quarta o quinta classe, non è consentito. Non ho mai sentito citare, in queste surreali mattine, il diritto alla sopravvivenza per noi poveri autoctoni e non l'ho citato a mia volta, non solo per non far adirare i miei controllori, ma perché uno su mille, vagamente più avveduto, avrebbe potuto dirmi: "ma stiamo lavorando per la sua sopravvivenza", e ridergli apertamente in faccia non sarebbe stata cosa apprezzata, suppongo...
       Come sempre, in politica, volere è potere. Evidentemente, anche qui - come nel caso dell'euro - siamo nel campo di SITUAZIONI IRREVERSIBILI, tipiche di qualsiasi democrazia totalitaria compiuta, con l'assenso delle masse/greggi. Ho però almeno un motivo di ottimismo: salire su un barcone con altri disgraziati come me, quando la "cura Lagarde" comincerà a far sentire i suoi effetti di miseria totale su un Paese già terribilmente impoverito, mi auguro sarà consentito anche a me, povero migrante italico con le pezze alle terga. Magari i "cani da guardia" locali chiuderanno un occhio e forse due (ci sono abituati, del resto...) e poi posso sempre fare riferimento ad una formidabile arma di distrazione di massa: travestirmi à la Al Jolson. Così avrò il beneplacito delle polizie, della Sinistra "illuminata", dei 5 Stalle, dell'ONU e della Chiesa. Tuttavia, se anche dovessi riuscire a prendere il largo con altri disgraziati come me, sarà interessante scoprire quale sarà l'atteggiamento delle polizie (straniere) all'arrivo. Sono pochi i Paesi pieni di dementi come il nostro...

                                  Piero Visani



martedì 10 marzo 2020

Il mio "Vaffa Day"

       Iniziare una giornata compilando moduli di autocertificazione per moglie e figlio, di modo che possano recarsi in Comuni limitrofi a quello di residenza, secondo le migliori tradizioni dell'Unione Sovietica staliniana, ha colmato la mia vita già scarsissimamente relazionale (non esco quasi mai di casa, non sento la necessità di incontrare e relazionarmi con "umani", affetti o meno che siano da Corona virus) di una componente che invero le mancava, vale a dire un "vaffa day". Per contro, a scrivere minchiate burocratiche, nel giro di una mezzora ho lanciato un numero di "vaffa" superiore a quello di qualsiasi manifestazione "grullina" e ho anche potuto ringraziarli - a modo mio - con tutto l'affetto che va rivolto ai finti libertari, ai securitari, ai giustizialisti. A tutti coloro che si sentono soddisfatti quando possono dire: "la galera rende liberi" e magari risiedono nell'ameno paesino di Sant'Ilario, sebbene si capisca che non hanno fattezze né movenze né redditi da missionario...
A costoro, con il loro pseudo-azzimato "avvocato del popolo" (sic), è dedicato il mio personale V-Day, perché - si sa - "il campo (di concentramento) rende liberi"...

                                            Piero Visani



Stiamo lavorando per voi...


Ma voi non potrete lavorare e magari neppure andarci (a lavorare), per cui i più "fortunati" moriranno di corona virus; gli altri, molto più semplicemente, per disoccupazione, povertà e fame. Come sempre, "dobbiamo distruggervi per salvarvi"...
Tutte vecchie storie, tutte dannatamente uguali, tutte regolarmente diffuse dagli "amici (e avvocati...) del popolo" e tutte regolarmente "bevute" dai "legittimi destinatari". Prosit.

                                                  Piero Visani

Il potere del mito

Questo è il titolo dell'ultimo numero di "Limes - Rivista italiana di geopolitica" (2/2020). Preceduto da un eccellente editoriale del suo direttore, Lucio Caracciolo, scritto in quel linguaggio fantasticamente immaginifico che gli è proprio, la lettura parziale di questo numero mi ha indotto ad alcune riflessioni:
1) "Il potere del mito" è un titolo che si attaglia alla perfezione alla situazione italiana di questi giorni, dove una gestione incredibilmente amatoriale di una catastrofe comunicativa ha prodotto una situazione altamente mitopoietica, i cui cascami vediamo quotidianamente in azione a vari livelli. Lucido esercizio di terrorismo mediatico, direi ormai "corona"-to da successo, e pronto a essere iterato ad altri livelli e in altri campi, non appena se ne presenterà l'occasione...
2) Mentre il "potere del mito" si conferma, appare tuttavia chiara la natura leggendaria (dunque non credibile e non creduta più da molti, se non da coloro che ne traggono solide prebende e posizioni di potere) dell'economicismo europeo, l'essere l'UE una leggenda economicista, oggi sempre più in crisi e pronta - quando il potere del mito avrà prodotto i suoi auspicabili effetti a livello economico - a essere oggetto di contestazioni sempre più forti, da parte di popoli ridotti in gravissima povertà e dunque, messi con le spalle al muro, a rischiare qualcosa per liberarsi dai propri sfruttatori e affamatori.
3) L'economicismo, la visione economica della vita associata e della politica, non serve più a nulla, se non ad assicurare povertà, fuoriuscita dalla storia e servaggio, il che conferma che la UE ormai è postuma e la gente crederà sempre meno alle sue risibili parole d'ordine.
4) Su questo sfondo si impone - terribile ma al tempo stesso bellissimo, perché gravido di futuro - il cruciale quesito leniniano: "Che fare?". Sto riflettendo da tempo su questo interrogativo e ci sto riflettendo ancor più nel momento che il "mito virale" - si tratti o meno di un fenomeno di "guerra ibrida" e/o di una "moltiplicazione di potenza" (o di impotenza...) - pare essere in grado di modificare dal profondo tutti gli scenari che abbiamo conosciuto fino ad oggi e a far lievitare, per mezzo di dolori e sofferenze, come accade sempre nella storia, situazioni, ipotesi e opzioni nuove.
Come sarà, l'anno che verrà? Occorrerà prepararvisi, bramosi di novità anche sconvolgenti la morta gora dell'UE dei "beati possidentes". Questa è la verità: servono nuovi miti: di crescita, di libertà, di potenza. Il resto è roba per soggetti che valutano tutto a colpi di PIL e di ville che riescono a costruirsi di conseguenza...

                                               Piero Visani



Una catastrofe comunicativa


Nel corso della mia lunga esperienza professionale nel campo della comunicazione politico-militare, mi sono trovato a fare i conti con situazioni non propriamente facili come il "caso Ustica" e parecchie questioni successive, come "la notte di Bellini e Cocciolone" durante la prima Guerra del Golfo (febbraio 1991) o lo scontro del "check point Pasta" a Mogadiscio (2 luglio 1993).
Tutte crisi comunicative molto gravi, talvolta gestite da un team di "crisis management", talaltra svolte in collaborazione tra istituzioni diverse, nel palese intento di minimizzare gli effetti della crisi stessa.
La logica che ispirava i singoli interventi era sempre quella del "troncare, sopire..." di manzoniana memoria e non pochi erano i professionisti della comunicazione chiamati a dare il loro contributo di competenze per una gestione degli eventi che fosse, se non proprio positiva, di certo non eterotelica...
Nessuno di essi - questo va detto - si era formato alla scuola del "Grande Fratello", ma tutti avevano un solido retroterra di esperienze e tutti avevano in mente un concetto ben chiaro: NESSUNA CRISI COMUNICATIVA, PER QUANTO GRAVE, DEVE AVERE LA POSSIBILITA' DI TRASFORMARSI IN CATASTROFE COMUNICATIVA, perché un evento del genere rende le crisi ingestibili e le trasforma in eventi di estrema nocività per un Paese.
Quel che vedo in questi giorni, mi rende perfettamente consapevole del fatto che, oltre a un governo di dilettanti allo sbaraglio, abbiamo pure un esecutivo di amanti del suicidio collettivo e di Stato, di deliberati affossatori di un Paese e della sua economia, magari con la scusa di tutelare la salute pubblica con provvedimenti la cui logica ricorda il Comitato di Salute Pubblica di giacobina memoria. Diciamolo con chiarezza una volta per tutte: la "scuola della vita" e quella "della strada" insegnano al massimo a fare le peripatetiche, e forse è pure troppo...

                                                        Piero Visani

La seconda Italia


La fotografia del capitano Gennaro Arma, comandante della nave da crociera "Diamond Princess" ormeggiata al porto di Yokohama, che abbandona per ultimo la sua nave, nell'elegante tenuta d'ordinanza, ha fatto per nostra fortuna il giro del mondo, risollevando un minimo l'ormai inesistente prestigio internazionale di un paese governato da dilettanti allo sbaraglio, diffusori di notizie false e tendenziose, nevrotici schizzati e comunicatori (più che profeti...) di sventura.
Esiste in effetti un'Italia un po' diversa da quella degli Schettino, un'Italia di gente che non abbandona la nave che affonda per prima, che non ha bisogno di farsi dire "comandante, torni a bordo, cazzo!", perché conosce le regole sempiterne della marineria e si sentirebbe un verme se non le osservasse. Ovviamente nessuna università del "bel Paese" chiamerà mai il comandante Arma a fare lezioni di "gestione delle crisi", come accadde invece a Schettino, ma - se qualcuno lo chiamasse - vorrebbe dire che non siano più in Cialtronia e questo appare davvero il sogno di un inizio primavera.
In effetti, quelli che si comportano come il comandante Arma non sono italiani di prima classe, ma di seconda, anzi di terza o di quart'ultima, perché contano niente, non hanno diritto di parola, non hanno alcunché da insegnare al prossimo e - se qualcuno li chiama molto inopportunamente "eroi" - hanno il buon gusto di ricordare ai loro (falsi) apologeti che nel fare il proprio dovere non c'è alcunché di eroico, ma ci sono rispetto delle tradizioni, etica professionale, buon gusto; in una parola, stile. E lo stile è l'uomo e questa è la ragione per cui, in un Paese ormai del tutto privo di stile, mancano sempre più clamorosamente gli uomini.
Chi conosce le tradizioni della marineria militare, del resto, sa che questo è il Paese dei Durand de la Penne, dei Borghese, dei Fecia di Cossato e dei Bergamini, ma anche quello dei Persano, dei de Courten e dei Maugeri. Sappiamo che - per vocazione antica - l'Italia ha scelto di privilegiare i secondi, e mal gliene incolse. Questi ultimi, peraltro, non sono andati mai a fondo con le loro navi e tanto meno ne sono scesi per ultimi. Hanno preferito portare con sé una Nazione intera, peraltro saldamente convinta che "i furbi, come sempre, non affogano". E il prestigio internazionale di cui oggi essa gode dimostra che forse non è propriamente così...


Piero Visani