Scrivere qualcosa di sensato intorno a un libro come quello di Gaetano Mosca, Il Principe di Machiavelli. Quattro secoli dopo la morte del suo autore, con un saggio introduttivo di Carlo Gambescia (Edizioni Il Foglio, Piombino 2017, pp. 105, 12 euro), non è facile per chi - come il sottoscritto - ha una conoscenza della scienza politica assolutamente modesta e per nulla specialistica. Si tratta infatti di mettersi a confronto con maestri, e da un confronto del genere si esce inevitabilmente - e giustamente! - schiacciati, per manifesta incompetenza.
Di Mosca, Machiavelli e della scienza politica, Gambescia ci fornisce un'interpretazione da par suo, nella ricca e dotta introduzione all'opera, e francamente non so che cosa il sottoscritto potrebbe aggiungere. Posso al limite sottolineare quello che mi ha colpito, vale a dire l'accentuazione - nell'interpretazione moschiana - del fatto che Machiavelli pone soverchio rilievo all'enfatizzazione dell'opera del singolo (il "Principe") in politica, mentre per lo studioso siciliano non esiste il potere di uno solo, così come non esiste un potere basato esclusivamente sulla forza e sull'inganno (pur se questa affermazione - a guardarmi intorno anche e soprattutto nel mondo contemporaneo - mi lascia maggiormente perplesso). Mi trova invece pienamente concorde la conclusione di Gambescia, per il quale "il punto fondamentale sollevato da Mosca,..., è che ogni forma di regime, anche quello che si dichiari ultrademocratico, il potere continua ad essere esercitato da una minoranza e trasmesso da una minoranza all'altra". Cresciuto negli anni Sessanta del Novecento, alla disperata ricerca - nei miei aneliti giovanili - di credibili alternative politico-morali alle sozzure e ai conformismi che mi vedevo quotidianamente scorrere sotto gli occhi nell'Italia catto-comunista di quegli anni, ho creduto di trovarle in un "altrove" che esisteva solo nella mia immaginazione, che spregiava allora - come spregia oggi - "l'umano, troppo umano". Me lo hanno fatto scoprire non pochi dei miei presunti compagni di strada (ma per fortuna non di merende, semplicemente perché io non ho mai fatto merenda in vita mia...) quanto quell'"umano, troppo umano" fosse clamorosamente diffuso anche là ove io pensavo (speravo...) che non ci fosse. E invece c'era, eccome se c'era. Così ho scelto in piena coscienza di diventare anarchico e alieno, nell'ordine.
Quanto al saggio vero e proprio di Mosca, credo di poter parlare con cognizione di causa solo dei non molti accenni che egli fa alle concezioni militari di Machiavelli e, in particolare, alla netta preferenza di quest'ultimo per le forze nazionali - espressione di un Paese e di un popolo, in quanto in essi obbligatoriamente reclutate - a scapito di quelle mercenarie, talvolta formate da autentici professionisti di alto livello ma, proprio perché questi ultimi vivono "della guerra e per la guerra", attenti a farne una scelta di vita (piuttosto che di morte...), comunque sottoposta alle loro personali fortune e non certo a quella di coloro per cui combattono o dovrebbero combattere. Preferenza comprensibile, in linea di massima, ma alla quale ci si può accostare correttamente solo tenendo a mente la situazione dell'epoca in cui l'opera machiavelliana fu scritta, un'epoca in cui il modello militare di riferimento era per lui quello di Roma repubblicana, ma difficilmente esso avrebbe potuto essere trasposto in forma credibile nella realtà politica del suo tempo. Ben più lucida, per contro, appariva l'intuizione del nesso indissolubile esistente tra guerra e politica, e della subordinazione del potere militare a quello civile.
In definitiva un libro ricco di spunti di riflessione, tanto nel saggio introduttivo di Gambescia quanto nella riflessione di Mosca sul Machiavelli, e come tale consigliabile anche al lettore non specialistico.
Piero Visani
Di Mosca, Machiavelli e della scienza politica, Gambescia ci fornisce un'interpretazione da par suo, nella ricca e dotta introduzione all'opera, e francamente non so che cosa il sottoscritto potrebbe aggiungere. Posso al limite sottolineare quello che mi ha colpito, vale a dire l'accentuazione - nell'interpretazione moschiana - del fatto che Machiavelli pone soverchio rilievo all'enfatizzazione dell'opera del singolo (il "Principe") in politica, mentre per lo studioso siciliano non esiste il potere di uno solo, così come non esiste un potere basato esclusivamente sulla forza e sull'inganno (pur se questa affermazione - a guardarmi intorno anche e soprattutto nel mondo contemporaneo - mi lascia maggiormente perplesso). Mi trova invece pienamente concorde la conclusione di Gambescia, per il quale "il punto fondamentale sollevato da Mosca,..., è che ogni forma di regime, anche quello che si dichiari ultrademocratico, il potere continua ad essere esercitato da una minoranza e trasmesso da una minoranza all'altra". Cresciuto negli anni Sessanta del Novecento, alla disperata ricerca - nei miei aneliti giovanili - di credibili alternative politico-morali alle sozzure e ai conformismi che mi vedevo quotidianamente scorrere sotto gli occhi nell'Italia catto-comunista di quegli anni, ho creduto di trovarle in un "altrove" che esisteva solo nella mia immaginazione, che spregiava allora - come spregia oggi - "l'umano, troppo umano". Me lo hanno fatto scoprire non pochi dei miei presunti compagni di strada (ma per fortuna non di merende, semplicemente perché io non ho mai fatto merenda in vita mia...) quanto quell'"umano, troppo umano" fosse clamorosamente diffuso anche là ove io pensavo (speravo...) che non ci fosse. E invece c'era, eccome se c'era. Così ho scelto in piena coscienza di diventare anarchico e alieno, nell'ordine.
Quanto al saggio vero e proprio di Mosca, credo di poter parlare con cognizione di causa solo dei non molti accenni che egli fa alle concezioni militari di Machiavelli e, in particolare, alla netta preferenza di quest'ultimo per le forze nazionali - espressione di un Paese e di un popolo, in quanto in essi obbligatoriamente reclutate - a scapito di quelle mercenarie, talvolta formate da autentici professionisti di alto livello ma, proprio perché questi ultimi vivono "della guerra e per la guerra", attenti a farne una scelta di vita (piuttosto che di morte...), comunque sottoposta alle loro personali fortune e non certo a quella di coloro per cui combattono o dovrebbero combattere. Preferenza comprensibile, in linea di massima, ma alla quale ci si può accostare correttamente solo tenendo a mente la situazione dell'epoca in cui l'opera machiavelliana fu scritta, un'epoca in cui il modello militare di riferimento era per lui quello di Roma repubblicana, ma difficilmente esso avrebbe potuto essere trasposto in forma credibile nella realtà politica del suo tempo. Ben più lucida, per contro, appariva l'intuizione del nesso indissolubile esistente tra guerra e politica, e della subordinazione del potere militare a quello civile.
In definitiva un libro ricco di spunti di riflessione, tanto nel saggio introduttivo di Gambescia quanto nella riflessione di Mosca sul Machiavelli, e come tale consigliabile anche al lettore non specialistico.
Piero Visani
Carissimo Piero Visani, grazie dell'onore. E del tempo che mi hai dedicato. Ho letto d'un fiato (merito del tuo stile). Hai colto il punto fondamentale: la "sociologia elitarista", che distingue il pensiero Mosca da quello di Machiavelli, come dire monocratico. Quanto alle questione militare in Machiavelli, hai ragione, Mosca non approfondisce, anche se qui e là critica, l'anacronismo - per l'epoca, ovviamente - di puntare sulle milizie di contadini, milizie che con il Tercio spagnolo (semplifico) fecero, in campo, pessima figura. Però Mosca e Machiavelli hanno entrambi visione "polemica" della storia... Infine, se ti vuoi cimentare su un saggio, magari inquadrandolo, modernamente. dal punto vista dell'evoluzione del pólemos (per andare oltre Pieri), in relazione alle concezioni militari di Machiavelli (romano-repubblicane), la collana è a tua disposizione. Un abbraccio. E ancora grazie.
RispondiEliminaCaro Carlo, è stato un piacere e un onore. Grazie a te!
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