Inevitabilmente, nella giornata in cui si ricorda il 68° anniversario del lancio della prima bomba atomica, un pensiero riverente non può che andare ai kamikaze, a quel "vento divino" che, impersonato da uomini in carne ed ossa, dimostrò dove si può arrivare, se si ha una autentica etica guerriera.
Mi disturba moltissimo sentire chiamare talvolta dei "combattenti non convenzionali", quali che siano le cause per cui si battono, come dei "Kamikaze", in quanto questo, nella vena riduzionistica ed omologatrice tipica dei media occidentali, intende ovviamente fare di tutta un'erba un fascio, dimenticando che i "kamikaze" erano militari in uniforme, combattenti di una guerra regolare, che era rivoluzionaria solo in quanto andava "oltre le regole", nel segno - questo sì - del tutto opposto alla logica occidentale della "guerra a zero morti" o "post-eroica" di luttwakiana memoria. Nel segno, semmai, di "tutti morti, purché non disonorati o vinti".
Non a caso, coloro i quali hanno scelto consapevolmente la via dell'onore hanno certo segnato con il loro sangue la Storia, ma ancora di più hanno segnato la Memoria, e vivono a tut'oggi nel Mito, vale a dire in quella dimensione in cui avevano scelto deliberatamente di collocarsi.
Credo che, nella giornata odierna, un pensiero vada anche a loro, alla loro capacità di "andare oltre la morte". Chiunque abbia visto "L'impero del sole", di Steven Spielberg, sa che essi vivono ancora oggi, perfino nella memoria occidentale, dunque sono andati oltre la morte.
Piero Visani
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