venerdì 30 agosto 2013

The Portrait of a Lady - 3

     La storia continua, questa volta in forma diaristica.
  

     Dal diario di Isabel Archer:

Albany, 12 settembre 1880.

       Il signor Victor è arrivato stamane, via Washington e Baltimora. Pare abbia fatto parte del viaggio in treno, poi ha proseguito a cavallo. Il suo bagaglio è essenziale, molto ridotto per un imminente viaggio in Europa, trasportato da un solo secondo quadrupede. Circostanza che reputo alquanto singolare.
       Non lo vedevo da circa cinque anni, e posso dire che è molto cambiato: più maturo, più sicuro di sé, senza più quell'aria da bellimbusto "ribelle" che aveva a quel tempo, quando mi venne presentato in occasione di una festa a Georgetown. All'epoca, non era altro che un "Johnny Reb" tardivo e invero patetico, manierato, vestito forse un po' provocatoriamente in una pseudo-uniforme grigia.
       Aveva attirato la mia attenzione per quel suo essere terribilmente demodé, per la sua aria fiera e altera, per i lunghi boccoli che gli ricadevano sulle spalle, per la splendida cortesia delle sue maniere affettate, esageratamente cortesi, da tipico "Southern Cavalier".
       Il suo abbigliamento e la sua parlata lenta e strascicata, da autentico meridionale, non gli avevano certo attirato le simpatie della "buona società" di Washington, ma avevano suscitato la mia attenzione e lui, non so come, forse per un mio sguardo di troppo, se ne era accorto. Tuttavia, non aveva posto in atto alcuna strategia di avvicinamento, ma, molto semplicemente, ad un certo punto mi aveva invitato a ballare. Un po' sorpresa, avevo accettato e avevo dovuto subito riconoscere la sua maestria nella danza.
       Verso la fine della serata, quando l'ambiente si era molto scaldato e il clima era molto allegro, quasi sovreccitato, l'orchestra aveva intonato "Dixie". Ero convinta che quella scelta l'avrebbe entusiasmato e invece notai che si era rabbuiato. La sua conversazione, già non esaltante, si era fatta frammentaria e monosillabica, e quasi subito si era congedato da me con una scusa.
       Non lo vidi più per tutta la sera, ma la mattina dopo, nell'albergo di Washington in cui soggiornavo, ricevetti un suo biglietto in cui si scusava per il suo brusco allontanamento, e si riprometteva di rivedermi al più presto. Rimasi sorpresa, perché non avevamo dialogato granché e gli avevo appena accennato dove risiedessi.
        In realtà, è passato più di un lustro prima del nostro incontro odierno, ma ora egli è qui, nella casa di mia zia, e si appresta ad accompagnarci nel nostro imminente viaggio in Europa.
        Il mio cuore è in tumulto. So poco o nulla di quell'uomo, se non che viene dal South Carolina ed è stato un valoroso combattente confederato, ma mi pare che, dietro il suo sorriso e i suoi modi gentili, egli celi indicibili segreti, che mi sforzo - senza successo - di immaginare. E il suo innegabile fascino mi ha colpito nel profondo fin dalla prima volta che l'ho visto.
        Per cinque lunghi anni il nostro rapporto si è limitato a rare missive, tanto amichevoli quanto superficiali, ma ora egli rientra quasi dal nulla nella mia vita e, nelle settimane a venire, sarà una presenza costante accanto a me. Sono turbata, profondamente turbata. Quell'uomo innegabilmente mi piace, ma percepisco in lui qualcosa che non mi convince, che non mi lascia tranquilla. Tuttavia, l'inquietudine di cui mi ha pervaso accresce la fascinazione che egli esercita su di me.
 
                            Piero Visani
 
(continua)

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