Non c'è niente di più fastidioso, quando uno sportivo incorre in un grave incidente, che leggere i "pistolotti" che in fretta e furia emergono dalle redazioni dei media o dalla penna "ispirata" di qualche noto "maitre à penser": "un campione che per tutta la sua vita sportiva aveva corso sul filo del rasoio, evitando di incorrere in incidenti troppo gravi, e che ora, per un destino cinico e baro, lotta tra la vita e la morte, travolto dalla sua passione per la velocità".
Odio queste cose fin da bambino. Odio le santificazioni dei defunti e le lacrime di coccodrillo sui potenziali morituri. Odio che dicano che cosa una persona avrebbe dovuto fare nella vita.
Michael Schumacher ha sempre amato la velocità - questo appare scontato - ed è diventato quel che è diventato proprio grazie al suo amore per la medesima, oltre che a straordinarie doti tecniche. Se poi tale amore ha continuato a coltivarlo anche nella sua vita privata, che male c'è?
Nulla, però, nell'universo mediatico è mai NEUTRO ed ecco che parte l'offensiva intesa a "pascere subiectos", la cui ratio è la seguente: "Vedete cosa succede ad andare sopra le righe, a cercare di essere diversi? Si rischia. Magari si muore".
Si mette cioè in moto il meccanismo di controllo sociale, che consiste nel valorizzare le vite da pecora a fronte di esistenze diverse: "vedete: avete poco o nulla, guadagnate poco o nulla, però siete vivi! A correre sul filo del rasoio, per contro, si rischia, e molto. Dunque accontentatevi..."
Non ho mai tollerato l'osceno moralismo che sta dietro a tutto questo: nessun reale interesse o partecipazione per il campione in difficoltà, solo l'ennesimo tentativo di fare stracco perbenismo e di diffondere controllo sociale, invitando la gente a non nutrire passioni, a non correre dietro ai propri sogni, a rendersi conto che talvolta si può toccare la cima, ma poi magari anche il fondo, l'abisso.... E dunque, per naturale reazione, a contentarsi di una stracca quotidianità, di soddisfazioni sempre più magre, di sogni che siano "naturalmente proibiti", à la Fantozzi.
Nella "civiltà dei divieti", era evidente che - per naturale escalation - si sarebbe arrivati al "divieto di vivere secondo coscienza", nutrendo passioni e sogni non ordinari, ammessi, "politicamente corretti".
Ho amato la velocità da sempre, fin da ragazzo, e la amo tuttora. Ho sempre adorato le scariche di adrenalina che essa dà, come queste ti penetrino nel profondo, come ti conferiscano un senso di onnipotenza, di assoluto, di capacità di andare oltre lo Spazio e il Tempo. L'ho sempre coltivata da solo, con rispetto per i miei cari e per il mio prossimo, ma perché dovrei non amarla? Se, nel praticarla, avessi incontrato la morte, avrei preso atto del fatto che era un'opzione possibile. NEL FARLO, MI SAREI RESO CONTO CHE MI ERO SAPUTO RISERVARE UNA LIBERTA' SUPREMA, LA LIBERTA' DI SCELTA, CIOE' PROPRIO QUELLA CHE I "LIBERTARI" MI NEGANO. Il fatto è che io ho sempre diffidato di chi mi dice che vuole il mio bene. Se mi dicesse che vuole il mio male, mi sentirei più tranquillo. Tra i nemici, gli ipocriti sono i più pericolosi...
Piero Visani
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