mercoledì 3 ottobre 2018

Andare via, ma dove?

       Un amico, dopo circa un anno e mezzo che si è insediato in un Paese straniero con moglie e figli, mi fa una sintesi della sua nuova situazione: non è andato a vivere in un paradiso, ma in un posto dove tutto ha ancora delle dimensioni umane: la legge, il fisco, il lavoro, i guadagni, il prossimo, etc. La vita resta complicata, ma molto più rilassata che qui e ci si può consentire qualche piccolo svago, per se stessi e la propria famiglia. Lo Stato non è l'unico destinatario delle proprie spese.
       Il lavoro è remunerato in termini accettabili, non si guadagna 4 euro (o equivalente in altre valute) l'ora, e soprattutto la presenza dello Stato e della burocrazia è molto meno ossessiva che qui, poiché coloro che di Stato e burocrazia vivono sono una percentuale nettamente inferiore che in Italia e dunque non hanno bisogno di vessare oltre misura coloro che di Stato e burocrazia NON vivono, per ritagliarsi degli stipendi (magari pure lauti)...
       Con tale andazzo, molto minore è anche il livello di stress collettivo, perché si riesce ancora a vivere, a costruire, a progettare un'esistenza per sé e per i propri figli. Non si è ridotti al ruolo di ufficiali pagatori per la classe politica, per quella burocratica e per l'Eurolager.
       Verrebbe voglia di raggiungere questo amico là ove si è trasferito, ma la speranza di prendersi una colossale vendetta su chi ci ha rovinato la vita è l'ultima a morire, almeno in me.

                                  Piero Visani



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