martedì 30 ottobre 2018

Luther

       Sto rivedendomi l'intera serie televisiva "Luther", della BBC. Interpretata splendidamente da Idris Elba e Ruth Wilson, è una serie che mi ha sempre colpito per la sottigliezza psicologica e per la totale assenza di manicheismo, che è invece il limite più grave che affligge la maggior parte dei serial di produzione statunitense.
       "Luther", per contro, vive sprofondato in una dimensione magmatica che lo tormenta, lo scava, lo ferisce dentro, e nutre una ricambiata, ambigua passione per Alice Morgan, assassina seriale che ha molti punti di contatto con lui.
       Tornerò su questa serie quando avrò terminato di (ri)vederla, ma amo gli stimoli intellettuali cui essa sottopone volutamente lo spettatore, cercando di mostrargli la natura estremamente complessa e sfaccettata della realtà, che non è popolata da "buoni" e "cattivi", in perenne contrapposizione, ma da soggetti che cercano di destreggiarsi nei compiaciuti orrori della società contemporanea trovando soluzioni che li soddisfino, che consentano loro di sopravvivere, che non spieghino, ma accendano i loro animi e le loro intelligenze, spesso sconvolte da una passione che in loro è anche terribilmente cerebrale. Non c'è il Bene, non c'è il Male: c'è il Tormento. E il Senso - se e quando esce, e non esce spesso - forse è soprattutto frutto di una narcisistica ammirazione di sé, della propria intelligenza non propriamente banale e neppure disposta a fare a patti con la banalità del quotidiano.

                              Piero Visani






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