Molti miei antenati del ramo materno della mia famiglia dovettero emigrare, tra gli anni Novanta dell'Ottocento e fino a poco prima della Grande Guerra. La Val d'Aosta era all'epoca una terra povera e le fetide classi dirigenti dell'Italia monarchico-liberale (dei geni, rispetto a quelle attuali, ma sempre ottuse, avide e meschine) non sapevano regalare altro che promesse e miseria ai loro sudditi/schiavi. Dei miei avi, alcuni andarono nei Paesi vicini (Francia, Svizzera), per poi fare ritorno in Valle non appena possibile. Altri - la parte più acculturata - si stabilì in Svizzera e non fece più ritorno, com'era logico che fosse. Fare il servo in patria, quando potevi fare lo stimato e ben remunerato cittadino all'estero, che senso avrebbe mai potuto avere?
Altri miei antenati del ramo paterno della famiglia - di origine tosco-romagnola con addentellati genovesi - andarono a cercare fortuna in California e la trovarono, e si preoccuparono soprattutto di fare sì che, salvo qualche vacanza estiva ben mirata, "l'ingrata Patria non avesse più le loro ossa". Ora sono tutti defunti e i loro figli e nipoti sono totalmente americani, legati ad una terra che li ha accolti, non a una Patria matrigna che li ha cacciati.
Il senso delle emigrazioni - quelle vere - è che sono un viaggio nel tempo, molto più che nello spazio, un viaggio verso la speranza, lontani dai miasmi delle fogne politiche, economiche e sociali della terra d'origine. Uno se ne va, troncando legami e radici, perché, quando non si ha più niente a che fare e a che vedere con la propria terra d'origine e con quanti la abitano, si sceglie una via autonoma verso la morte (o la vita...) piuttosto che farsi "assistere" dalla culla alla tomba, che poi è solo un modo elegante per dire che nasci con già in testa una pietra tombale. Invidiabile destino!!
Dalla "Terra dei cachi" alla "Terra dei ladri e dei morti". Se "Elio e le Storie tese" vogliono fare un sequel alla loro celebre canzone, il materiale per un bel testo non manca.
Piero Visani
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