Strade affollate. Turisti. Classiche atmosfere di plastica, post-natalizie. Tempo sospeso. Quelle "vacanze obbligate" che alcuni interpretano come momenti liberi, mentre sono solo assenze, assenze eterodirette ed eteroguidate.
Solo me ne vo per la città, ma non sono alla ricerca di un perduto amore. Più probabilmente sono alla ricerca di me stesso. Cammino, attraverso luoghi noti; mi chiedo quante volte io li abbia attraversati e quante volte con disposizioni d'animo diverse.
Per una volta, so di essere accompagnato in questo mio vagabondare. Non fisicamente accompagnato, ma da lontano. Questo in parte molcisce il mio dolore, un dolore che non saprei nemmeno ben spiegare: esistenziale? Fattuale? Empatico?
Il mondo mi muore intorno e forse io muoio con lui. Ho sempre volato sopra tutto e probabilmente non sono mai stato all'altezza di niente. Lo so, lo so bene. Ma volevo qualcosa di diverso? Ai tanti crocevia che ho incontrato nella mia vita, la mia unica preoccupazione è sempre stata quella di salvaguardare me stesso, la mia singolarità, la mia identità. L'ho pagato caro e ora, mentre la mia esistenza comincia a declinare, i conti non vanno a posto, anzi non tornano proprio, e tutto, pian piano, mi si ritorce contro. Ne sono perfettamente consapevole e non sono ottimista per il futuro, per il mio futuro. Mi soccorre il mio senso del tragico. Morirò, questo è certo, e potrò almeno dire di essere morto in piedi.
L'angoscia mi serra la gola, da chissà quanto tempo, ma in fondo è da ragazzino che a mio modo volevo essere eroe e, nel mio piccolissimo, forse lo sono stato, forse sono riuscito ad esserlo.
L'angoscia non si allontana per questo, non è certo una constatazione consolante, quella che faccio, ma non volevo tradirmi e credo di esservi riuscito. Modesta consolazione - certo - ma ci tenevo tanto, e almeno questa l'avrò.
Testimone di me stesso e dunque - volutamente - "martire", in senso etimologico. Forse, se la mia mente fosse stata diversa, se avessi dato meno importanza alla coerenza, anche la mia vita sarebbe stata diversa. Ma ora è tardi, dannatamente tardi, ed è davvero poco quel che resta del giorno, del mio giorno.
Non faccio bilanci, sarebbero poco esaltanti. Vivo alla giornata, mentre il dolore mi scava. Combatto, perché non conosco la parola "resa". Ma mi resta - nitida - la sensazione che il nascere non è mai stata una decisione che io abbia condiviso. La mia vita è stata un crescendo inutile di sofferenze, di rinunce, di orrori grandi e piccoli, inframmezzati da poche luci, grandi e piccole. Era questo il vivere? Mille lame di coltello, inferte da eserciti di persone, mi trapassano. Se combatto, è per non dare loro la soddisfazione di poter dire che mi hanno ucciso, chissà da quando...
Piero Visani
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