Quanto c'è', di personale, nella scrittura di un romanzo, in particolar modo di un romanzo di genere fantascientifico?
Ho provato a pormi questo interrogativo leggendo per la seconda volta Ubique, il romanzo scritto da mio figlio Umberto ed edito come e-book su Amazon, e sono giunto alla conclusione che, nel caso di specie, i livelli sono almeno tre.
Il primo è quello della formazione. Ciascuno di noi forma se stesso intorno a punti fermi, credenze, comportamenti. In questo senso, Ubique è totalmente autobiografico: tutto quello che fa Gianni Luongo, il protagonista dell'opera, avrebbe potuto essere fatto da Umberto Visani, in quanto Gianni Luongo è il suo alter ego, nella finzione romanzesca. Persino i tic, le fissazioni - per chi, come me, li conosce bene... - sono registrati con cura meticolosa, quasi con amore, direi, da parte di chi, in fondo, è ben lieto di esserne depositario...
Il secondo è quello dell'esperienza: il viaggio che Gianni Luongo compie dall'Ovest all'Est degli Stati Uniti è una sommatoria dei nostri viaggi familiari condotti in quel Paese e alcuni luoghi - e anche alcuni incontri - sono riprodotti in forma talora diretta talaltra traslata, ma di facilissima riconoscibilità, per chi - come me - era a sua volta presente ai medesimi. E, direi, tanto più risaltano e si stagliano sullo sfondo della narrazione quanto più - come supponevo - avevano colpito l'immaginazione del giovane Umberto.
Il terzo e ultimo è quello dell'acquisizione culturale. Dallo stile, che talvolta riecheggia il mio, a tutta una serie di elementi culturali e valoriali che fanno del libro non una mera vicenda di fiction, ma un lungo viaggio attraverso se stesso, una dichiarazione d'amore nei riguardi di una gioventù e di un percorso culturale, identitario ed esperienziale che sono lieto di aver contribuito a formare.
Ci sono libri che sono atti d'amore verso se stessi, verso i propri percorsi esistenziali, verso quello che si è stati e si è. Ubique, da questo punto di vista, è estremamente rivelatore per chi, come me, ha preso la mano di Umberto da bambino e ha cercato di accompagnarlo verso la vita. Dal romanzo emerge che non l'ho fatto poi così male e che gli ho quanto meno insegnato a parlare a se stesso, come fondamentale premessa al dialogo con gli altri.
Ubique, in definitiva, è un grande motivo d'orgoglio per me, che non sono abituato a leggere il significato evidente delle strutture narrative, ma quello recondito, sotterraneo, di seconda lettura.
Attendo dunque con interesse la seconda prova letteraria cui mio figlio si sta accingendo, per individuare nuovi sedimenti o - perché no? - per assisterne alla inevitabile crescita di personalità e profilo autoriale. Ubique, del resto, si legge con grande scorrevolezza ed empatia, per cui mi permetto di suggerirne la lettura agli amici.
Piero Visani
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