Nella mia vita relazionale, sono sempre stato un "vuoto a perdere": conoscevo persone - uomini o donne che fossero - per un po' ci si frequentava spesso e si facevano cose assieme; poi, con la stessa velocità con cui ci si era trovati, tutto finiva.
Non parliamo poi dei rapporti con l'altro sesso, dove fin dall'adolescenza ho imparato a mie spese di essere un "vuoto a perdere" per eccellenza. Ne ho sofferto molto, per un lungo periodo, non riuscendo a capire per quale ragione potevo piacere molto, di primo acchito, e poi suscitare improvvise e forti repulsioni. Ne ho anche indagato le cause, da possibili odori della pelle, ad alitosi... Non ho rilevato nulla di significativo e, quanto all'igiene, è sempre stata una delle mie ossessioni...
Escluse le cause "tecniche", per così dire, mi sono soffermato ad analizzare altre possibili ragioni di quella mia sorte e, con il tempo e con qualche sofferenza di troppo, ho capito: ero sempre molto attento a difendere la mia identità, la mia libertà, i miei spazi e soprattutto la mia individualità, e forse la difesa accanita della mia individualità mi ha, ad un tempo, "dannato" e salvato.
Mi ha "dannato" perché, nei moltissimi casi in cui mi è stato chiesto di NON essere me stesso, di accontentarmi, di mediare, di scendere a compromessi, io ho sempre rifiutato soluzioni che a me parevano inaccettabili, e dunque sono stato riconfermato nel mio tradizionale ruolo di "vuoto a perdere". Mi ha salvato perché, così attento a tutelare la mia individualità, sono riuscito a rimanere me stesso.
Con il passare del tempo e l'accumularsi delle esperienze, ho incominciato a guardare ai miei incontri esistenziali con occhio disincantato, chiedendomi se chi interloquiva con me mi avrebbe trasformato in un "vuoto a perdere", e in quanto tempo. Raramente mi sono sbagliato nell'anticipare gli esiti, anche se - non ho difficoltà ad ammetterlo - in qualche caso avrei davvero preferito sbagliarmi. Ma cosa potevo fare? Diventare un altro? Acconciarmi a soluzioni di compromesso, che detesto dal profondo? Vivere vite a metà, cosa che odio? Accontentarmi di ruoli residuali, che non sono per nulla adatti alla mia personalità assai spiccata? Per quale ragione avrei dovuto vivere una vita non mia, oppure accettare ciò che odio di più, i compromessi?
Così, ho continuato per la mia strada e l'esperienza mi ha insegnato addirittura ad anticipare quanto mi sarebbe capitato. Quante volte "ho letto la mia fine sul tuo viso"? Non poche. Ma io, se amavo talvolta anche molto certe persone che avevo incontrato, non ero disposto a diventare un altro o ad accettare un ruolo residuale, da mezzo uomo.
Mi è costato caro? Sì, certamente. Avrei potuto comportarmi diversamente? No, non credo. Nell'essere trasformato in un "vuoto a perdere", infatti, ho innegabilmente sofferto, ma ho sofferto per un periodo più o meno lungo, con un inizio e una fine ben precisi, per i miei turbamenti. Se invece avessi accettato un ruolo che non sentivo mio, se avessi dovuto ingoiare, per quanto obtorto collo, un ruolo residuale, da deuteragonista o comprimario, avrei sofferto per sempre e probabilmente mi sarei lacerato nel profondo da solo.
Così, ho accettato virilmente di essere trasformato in un "vuoto a perdere" od ho scelto deliberatamente di diventarlo io stesso. Sicuramente ho rimediato delle ferite, ma continuo ad avere stima di me e dell'immagine che ho di me. Sarò giudicato pazzo dagli altri, ma almeno mi sento perfettamente a posto con la mia coscienza. Ho continuato ad essere me stesso, ad essere ferocemente attaccato all'idea che ho di me. Ho pensato che chi ti vuole cambiare, chi ti vuole diverso, chi ti vuole a metà o chi ti vuole costretto in certi ruoli, in realtà NON TI VUOLE. E ne ho preso atto, continuando a cercare chi mi volesse davvero, per quello che sono. Non credo di aver sbagliato.
Piero Visani
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