lunedì 30 marzo 2015

Dialoghi... e monologhi

       Uno dei limiti maggiori che si riscontrano nella comunicazione contemporanea è dato dal fatto che sovente si definiscono dialoghi quelli che in realtà sono semplicemente monologhi fortemente autoreferenziali.
       La cosa è evidente già a livello di relazioni personali, ma si accentua ulteriormente su social network come Facebook, dove non è improbabile aprire canali di dialogo anche con perfetti sconosciuti, ma dove in molti casi si finisce per restare tristemente sorpresi dal fatto di risultare presto semplici terminali di monologhi.
        Il dialogo, infatti, presuppone una qualche forma di "accettazione dell'altro" che in FB proprio non esiste, se non che con alcuni "spiriti eletti". Per il resto, il dialogo esiste SOLO se si accetta consapevolmente il ruolo di essere il terminale di un monologo. 
       A me è capitato un'infinità di volte e non ho ovviamente nulla di cui lamentarmi, se non un certo fastidio per essere accettato se mi conformo ad un canone altrui. Il problema, per me, è che non mi sono mai conformato a canoni altrui e così - altro aspetto divertente - divento ricettacolo di "sanzioni". La cosa è talmente buffa di risultare perfino divertente, ma non vorrei farne una colpa a Facebook o ad altri social network. Il fatto è che oggi si è accettati se si è come ci vorrebbero gli altri, singolarmente o globalmente presi. La possibilità di mantenere una propria individualità non è proprio presa in considerazione. L'unico comportamento che pare avere legittimità è accettare passivamente di diventare una proiezione dell'immagine che "l'altro" ha di te e - corollario non trascurabile - del ruolo che vorrebbe assegnarti nel suo universo. Nel suo, per l'appunto, non nel vostro, ammesso e non concesso che ne vogliate costruire uno insieme.
       E' per questa ragione che tendo all'isolamento, perché mi garantisce maggiore libertà. Se devo entrare in universi altrui, per diventare strumentale ai medesimi, cesso di detenere qualsiasi identità e, se magari divento interessante per gli altri, smetto di esserlo per me. Se c'è una canzone che non mi piace - tanto per creare una colonna sonora a tutto, abitudine a me cara - questa è: Sono come tu mi vuoi... Direi proprio di no e credo sia questa mia pervicace capacità di resistere a tali tentativi che mi salva e mi ha sempre salvato, come individuo. Faccio orrore - molto probabilmente - ma almeno sono io...

                    Piero Visani



sabato 28 marzo 2015

Io vivo dentro, io vivo fuori

       Può essere una forma particolarmente marcata di egocentrismo, ma ho tendenza a vivere tutto da dentro e da fuori. Da dentro, nel particolare ruolo che attribuisco all'autoanalisi, e anche all'analisi degli altri, perché sono molto attento ai particolari, pure a quelli altrui, che direi sono la cosa che mi interessa maggiormente, sotto il profilo umano.
       Da fuori, perché il mio distacco (o il mio coinvolgimento) sono tali da consentirmi di vedermi anche da fuori e - di fatto - io mi vedo costantemente da fuori.
       Nei rapporti con terzi, questo favorisce una certa forma di ipercriticismo, che ovviamente riguarda solo me stesso, ma favorisce altresì una forma di approfondimento analitico che porta ad essere, al tempo stesso, molto partecipe e molto distaccato.
       C'è una forte componente estetica, in tutto questo, poiché è di sicuro una forma di estetismo a facilitare tale sdoppiamento: è come se riuscissi a vedermi da fuori con la stessa lucidità con cui ritengo di sapere vedermi da dentro e come se cercassi di farlo per vedere se sono all'altezza della rappresentazione che ho di me.
       La rappresentazione che ho di me è tutto, per me, perché ispiro i miei comportamenti a una serie di canoni che cerco il più possibile di soddisfare. Così, se la componente interiore, molto passionale, mi spinge a una forte emotività, la componente esteriore, molto estetizzante, mi induce al distacco e all'autorappresentazione. Può sembrare strano, ma è dalla più giovane età che mi comporto così, da un lato vivendo, dall'altra guardandomi vivere. Un giudice affrettato parlerebbe subito di narcisismo, ma non è solo questo, ritengo: è che davvero "io vivo dentro, io vivo fuori", sapendo bene che "è tutto un attimo". C'è chi lo capisce, e mi gradisce. C'è chi non lo capisce, e legittimamente mi detesta. Nelle valutazioni altrui, tendo all' "ascesa agli estremi", direbbe Carl von Clausewitz: in un senso o nell'altro. Credo che sia una cosa che mi piaccia molto. Detesto l'ordinarietà.

                               Piero Visani




Blog "Sympathy for the Devil" - Classifica dei post più letti (21 Febbraio - 20 Marzo 2015)

       Il periodo in esame ha rappresentato un momento importante nella vita del blog, dal momento che è stato superato di slancio il traguardo delle 50.000 visualizzazioni, e questo nell'arco di circa due anni e tre mesi.
       Non ci sono stati, per contro, grandi mutamenti ai vertici della classifica delle visualizzazioni; semmai si è notata una più accentuata lettura di post assai diversi tra loro.
.     La cosa è confermata dai relativamente pochi mutamenti che ci sono stati al vertice della classifica delle visualizzazioni, che è ora la seguente:
  1. It's just like starting over, 568 (=) - 11/12/2012
  2. Non, je ne regrette rien, 223 (+6) - 29/12/2012
  3. Un'evidente discrasia (in margine ai fatti di Parigi), 189 (+3) - 8/1/2015
  4. Quantum mutatus ab illo!, 165 (+2) - 20/05/2013
  5. Elogio funebre del generale August-Wilhelm von Lignitz, 117 (+1) - 29/01/2014
  6. Tamburi lontani, 117 (=) - 9/1/2015
  7. Umberto Visani, "Ubique", 101 (=) - 19/04/2013
  8. Gli aggiustamenti "borghesi", 96 (=) - 05/02/2014
  9. Le donne accoglienti, 93 (+3) - 15/03/2013
  10. La rivolta di Pasqua (Dublino, 1916), 92 (+1) - 31/03/2013
  11. La verità è sempre rivoluzionaria, 89 (+5) - 21/03/2013.
  12. American Sniper, 88 (+2) - 05/01/2015.
       Si nota che il miglior incremento mensile di visualizzazioni è stato quello di Non, je ne regrette rien, che è salito a 223 (+6), mentre La verità è sempre rivoluzionaria è salita a 89 (+5) e questo incremento le ha consentito di scavalcare American Sniper, ponendosi all'11° posto in classifica. Anche Le donne accoglienti ha scalato una posizione in graduatoria, passando dal decimo posto al nono.
       Nel periodo in esame - quello tra gennaio e febbraio - il post che ha totalizzato il maggior numero di visualizzazioni è risultato Mediagiornale "LUCE" 2 - Il trionfo delle virtù (45), seguito da Umberto Visani alla trasmissione televisiva "Mistero", di Italia 1 (43) e da Armatevi e partite! (39).
       Anche relativamente al numero di visualizzazioni, esse sono attualmente 50.601, con un totale di 1.646 post, con una media di visualizzazioni a pagina che continua a crescere e che ora ha raggiunto le 30,7 pagine.
        Questo blog, in definitiva, sta sicuramente crescendo e prosegue il suo percorso a ritmi che potrebbero certo essere ulteriormente incrementati, se solo avessimo più tempo a disposizione per occuparcene.

                              Piero Visani





martedì 24 marzo 2015

Splendido isolamento

       Ogni tanto qualcuno, specie tra coloro che non mi conoscono troppo bene, mi chiede per quale ragione vivo in una sorta di "splendido isolamento".
       Non amo granché la domanda, perché a me la risposta pare evidente, e tuttavia rispondo sempre a tutti, non foss'altro che per educazione. 
       La risposta è la seguente: perché lo "splendido isolamento" mi consente di non conoscere soggetti, visto che ne ho conosciuti molti che poi ho dovuto faticare a dimenticare. Perché vivere in solitudine mi protegge dagli usi, dai costumi e anche dai consumi, dalle seduzioni da quattro soldi, dalle finte amicizie, da quella concezione "relazionale" dell'esistenza che è una cosa che ritengo francamente turpe. 
       Se ho voglia di qualcosa la chiedo, o mi limito a cercare di prenderla. Se non ne ho voglia, non la chiedo né la cerco. Non ho paura di stare da solo. Parlo fittamente con me e con chi mi è caro, ma non mi piego ad esigenze di social engagement. Così mi metto al riparo da paturnie, da isterie, da finte amicizie, da finte inimicizie. In una parola, non sono strumentale ad alcuno.
       Pare che la cosa a qualcuno non piaccia, ma piace a me. Ho imparato ad essere molto selettivo, e detesto i giochetti, quali che siano. Sono molto diretto. Si perde meno tempo e io, in questa fase della mia vita professionalmente molto stimolante, ho il tempo contato. Non sarò simpatico, non lo voglio essere. Non sarò salottiero, non lo sono mai stato. Si penserà che io sia alquanto strambo. Bene. Sarei terrorizzato se si pensasse che sono normale. Non godrò di buona stampa e andrò incontro spesso alla damnatio memoriae. Meglio ancora! Ho il terrore che si possa dire di me: "è un brav'uomo" (se maschio) e "un buon amico" (se femmina). La neutralità (relazionale, sessuale, umana) mi è profondamente estranea. Meglio ignorarmi e/o sputarmi addosso: libera scelta. Non voglio vedermi inquadrato, come un "santino" laico, in una di quelle detestabili cornicette che "adornano" gli animi di tutti noi, come abominevoli salotti vittoriani. A quelle, il classico giudizio "è un pezzo di m..." per me è di gran lunga preferibile. Significa odio, dunque passione, sentimento vivo e pulsante, non stracca neutralità da naftalina.

                                                   Piero Visani






Tiny Dancer

       Il mondo è pieno di "ballerine": le più saltabeccano qua e là, alla ricerca di un'improbabile scrittura; altre promettono danze e sanno al massimo fare due e tre passi, poi si fermano, per timore di andare avanti...; altre ancora non sanno proprio ballare: fingono di, ma, se le metti alla prova...
       Però esistono anche le "tiny dancers", quelle che sanno che cosa sia una danza, come si faccia, dove e quando. Come si possa essere leggere, e soprattutto leggiadre. Ne esistono pochissime, ma esistono. La danza è un'arte antica, si impara con vocazione sincera e dura applicazione. Non ci si improvvisa, mai.
       La danza non mente: infatti è un'arte da donne, non da femmine...

                                          Piero Visani


Elton John in '71.

Chiedo scusa ai lettori


       Devo sinceramente scusarmi con i miei 2,5 lettori (se Manzoni ne aveva 25, il 10% posso rivendicarlo?).
       Fino a stasera pensavo che il governo Renzi fosse un'accolita di cialtroni messi in carica da "poteri forti". Ma no, assolutamente no. Mi sbagliavo. E' gente che pianifica, che guarda lontano, che "pensa strategico". Gente che vuol riformare il Paese dal profondo, rivoltarlo come un calzino.
       Così, da questa estate, avremo i corsi di formazione... alla disoccupazione.
       Non è accettabile che i giovani italiani ciondolino per le città assolate per i tre mesi estivi. C'è il governo che li prepara al futuro, che li inserisce nella vita vera, che li prepara al lavoro.
       Solo che lavoro non ce n'è e non ce ne sarà. E qui il fantastico colpo d'ala: i corsi di formazione... alla disoccupazione. Invece che prendere il largo, per qualche mese, dalle fatiscenti aule scolastiche, sicuri almeno che per quel periodo non cadrà loro il soffitto in testa, per il trimestre estivo i nostri giovani (per lo meno quelli che non hanno ancora trovato riparo all'estero) potranno "sollazzarsi" con i corsi di formazione... alla disoccupazione e scoprire che no, non hanno un futuro, è vero, ma hanno un presente fatto di grande impegno e di vacanze scolastiche debitamente abbreviate...
       Pare che una ristretta schiera di figli di papà potrà - se adeguatamente presentata - telefonare a qualche "simil-Incalza" di turno per avere accesso ai "corsi di delinquenza politica". Ambitissimi, tenuti da docenti sperimentati e incensurati, testimonianza vivente che "il crimine paga", questi corsi li prepareranno ad avere un futuro, un futuro vero, nell'Italia della criminalità politica organizzata. Per diventare la nuova, ristretta élite di governo.
       Per gli altri, stanche e distratte lezioni sul "(No) Jobs Act".
       La democrazia è impagabile, quando la vedi in azione: se la conosci, la eviti...

                                   Piero Visani

Guerra per bande

       Visto che il futuro del conflitto, a detta di autorevoli militari e polemologi, è quello, non resta che trovarsi una banda (niente battute su ottoni e fiati, please...). "Devo pensarci su, pensarci su"...

                            Piero Visani

"Camouflage"


       Guardare lo stato di completamento dell'EXPO dai finestrini del "Frecciarossa" è francamente imbarazzante, a 39 giorni dall'inaugurazione. "Fortunatamente", la cultura visiva è già stata chiamata a soccorso di ritardatari e malfattori, per cui molte aree incomplete saranno adeguatamente "camuffate".   La "virtualità reale" oggi è tutto, basti pensare che abbiamo milioni di italiani che credono di avere un governo, e che quest'ultimo sia attivamente impegnato per il bene della Nazione...
       Mi permetto un suggerimento: il "camouflage" per il debito pubblico e soprattutto per l'esposizione debitoria nei riguardi dell'UE... Così saremo a posto: indebitati ma non visti...
       A mia volta, mi preparo al "camouflage" nei riguardi di qualsiasi pubblico potere: non sono io, ma una proiezione olografica di me medesimo...
       "Camouflagiate, camouflagiate", qualcosa (non) resterà...

                         Piero Visani

lunedì 23 marzo 2015

Usi... e consumi

       Quando devo lavorare moltissimo, come mi capita in questi giorni, la mente corre inevitabilmente agli usi e consumi che spesso si è cercato di fare di me. Questo perché la mia mente è pluricompartimentata e io spesso lavoro pensando anche a molto altro, onde non annoiarmi troppo.
        Di questi usi e consumi, talvolta ho compreso la ratio, talaltra no, ma una cosa mi è chiarissima: non mi piacciono gli usi, e neppure i consumi, di me. Finire in mezzo ad entrambi, spesso involontariamente, mi ha fatto apprezzare - e molto - chi non mi usa e neppure mi consuma. Al limite, "consuma", ma è cosa molto, molto diversa, che richiede ciò che io amo sopra ogni cosa: il disinteresse.

                             Piero Visani








sabato 21 marzo 2015

Cosa resterà... di questo sistema?

        Ora tocca alla Pirelli, in procinto di passare in mano cinese. Un Paese un tempo la sesta o settima potenza industriale del mondo si avvia a essere una triste e invecchiata colonia, presto probabilmente preda di popoli giovani e numerosi.
        Un tramonto davvero disperante per un'Italia un tempo simbolo di molte cose positive, ma da decenni in preda ad una volontà autodistruttiva fatta di ruberie, fiscalismi per alimentare le ruberie, e "familismo amorale" che privilegia solo le raccomandazioni, mai il merito o la competenza.
       Un Paese morto, della cui morte si sono accorti tutti meno che i diretti interessati, i suoi abitanti, che - esattamente come nel luglio 1943 - attendono qualcuno che sbarchi in Sicilia, o altrove, per avviare un cambio di regime.
       Staremo a vedere. Certo NON ne difenderò le coste, né la classe dirigente, né tutti quelli che l'hanno supportata. Non sono giovane, ma il nostro futuro - per quanto prevedibilmente del tutto catastrofico - mi incuriosisce davvero. E per vedere legittimamente puniti quelli che ci hanno ridotto così, venderei l'anima non a uno, ma a miliardi di diavoli.
       Può bastare, come dichiarazione programmatica...?

                                   Piero Visani





I neo-militaristi

       E' una simpatica genia, quella dei neo-militaristi. Preoccupati oltre ogni dire dalle "orde barbariche" che si affollano ai "sacri confini della Patria" (delle altre orde, quelle ben inserite all'interno dei confini medesimi, nessuna parola, ça va sans dire...), da qualche settimana inneggiano alla "flessione dei muscoli" contro ISIS e sodali.
        Loro fingono di ignorarlo, ma sono i legittimi eredi di coloro che ci hanno sollazzato, per decenni, con frasi del tipo "mancò la fortuna, non il valore". Sul fatto che il valore non sia mancato, nel secondo conflitto mondiale, si può certamente convenire. Quanto alla "fortuna", siamo ai problemi di sempre: una guerra non è una partita di calcio, ma un confronto supremo nel quale occorre entrare con tecnologie avanzate e una precisa "cultura del conflitto". Mi chiedo quindi come possa sperare in tutto questo un Paese come l'Italia, modesto "ascaro" della NATO, le cui spese militari rappresentano una percentuale risibile del PIL, e che fa sorridere, quando mostra denti che non ha.
       Al di là di questo aspetto, c'è tuttavia ben altro, c'è il fatto che, per fare la guerra, occorre una "cultura del conflitto" che a me non pare proprio che in Italia esista, anche  all'interno delle Forze Armate. Ho vissuto in prima persona, da consulente esterno, questa epocale trasformazione e l'ho vissuta per poco meno di un ventennio, non certo per qualche mese. Ho visto la cultura del "pacifismo militare" (dovrebbe essere un ossimoro, ma da noi non lo è...) diventare uno strumento di carriera, di avanzamento a buon mercato, perché quanto più ci si mostrava pacifisti, negatori della stessa professione che si stava svolgendo, seguaci della Comunità di Sant'Egidio e dei luoghi comuni cristiani sul tema della guerra, tanto più si guadagnavano stellette. E - per quel che devo constatare - ancora oggi nulla è cambiato e l'orientamento di fondo rimane sempre quello: i "soldati di pace", i militari "crocerossine", i "bravi ragazzi" che vanno a salvare i poveri migranti sui barconi o i bambini iracheni e afghani.
       Ora mi chiedo una cosa: in quanto tempo i neo-militaristi pensano che questa "cultura militare" da operetta possa essere sostituita da una cultura militare di tipo tradizionale, in cui coloro che svolgono la professione delle armi ne siano fieri e non cerchino di occultarla dietro qualche éscamotage che la delegittimi nel momento stesso in cui la vorrebbe giustificare? Si pensa forse che sia una transizione facile e indolore, quella dal "militare crocerossino" al "combattente"? Si deve SOLO negare un settantennio di politica militare post-1945, con tutti gli annessi e connessi, e voglio vedere che cosa succederà quando arriveranno le prime e massicce perdite (italiche, quelle altrui saranno giustificate con le solite tiritere sui "nemici dell'umanità". Riflettere sugli altrui è facile, sui propri è più scomodo...). Occorre ricordare che il combattimento di fanteria in ambiente urbano è un incubo che spaventa eserciti ben più agguerriti del nostro, e che - nell'ultimo conflitto nella striscia di Gaza - ha fatto 66 morti israeliani in meno di due settimane.
       Suvvia, fare i pacifisti costa molto meno e fa più immagine: due piccioni con una fava... Se ne è tenuto brillantemente conto solo per sette decenni, vorremmo cambiare proprio ora, e come? Volendo utilizzare una classica metafora calcistica, è un radicale mutamento di modulo (tra l'altro - e la notazione non è da poco - del tutto precluso agli "ascari" della NATO, che possono solo servire, non sviluppare politiche proprie), che richiede di cambiare filosofie, comportamenti, giustificazioni. In una parola, passare dalle photo opportunities con i bambini iracheni e afghani a quelle con i "tagliagole" morti, uccisi dai membri di uno strumento militare serio, che non si vergogna di quello che fa, se e quando lo deve fare.
       E' una rivoluzione copernicana, per le nostre Forze Armate, per la nostra classe politica (politica...?), per l'Italia tutta: la attendo fidente: ho uno spiccato senso dello humour...

                                              Piero Visani




venerdì 20 marzo 2015

Tariffario

       Ho deciso che da oggi, per ogni consiglio non richiesto, chiederò una tariffa di 1 euro. In effetti, non ne posso più di riceverne. Che cos'è che stimola la maggioranza delle persone a darmi continuamente consigli, avendo io compiuto 18 anni già da qualche tempo? Ho la faccia da soggetto da consigliare? Paio insicuro? Vogliono tutti il mio bene? Francamente per me atteggiamenti del genere sono un mistero, visto che fatico davvero a dare consigli anche a chi esplicitamente me li chiede.
       Sto cominciando a pensare che non si tratti di belante stupidità, ma di una forma sottile di provocazione, conoscendo la mia totale insofferenza in materia. Bene, ne prendo atto, ma non cadrò nella trappola. Non sarò segni di insofferenza. Mi limiterò a respingere al mittente i "buoni" consigli e mi metterò a seguire più che mai solo i "cattivi", quelli che mi aiutino davvero ad essere migliore, o comunque conforme all'immagine che ho di me.
       Del resto, tra i "buoni consigli" di oggi non c'è che l'imbarazzo della scelta, a cominciare dall'adozione di un atteggiamento che mi porti a meglio apprezzare le "gioie" della sodomia, a me sempre sgradite.
       Sono allibito. Ma paio davvero qualcuno che ascolti i pareri degli altri, buoni o cattivi che siano? Fermo restando che ascolto tutti, per educazione, devo tuttavia dire che vagamente mi irrita essere sollecitato a condividere tesi assolutamente banali. Non pretendo certo di essere depositario di verità, però potremmo puntare sulla reciprocità? Io non do buoni consigli, né in generale né ad personam, anzi non do consigli, nemmeno "cattivi", perché tendo a farmi esclusivamente i fatti miei. Scrivo le mie opinioni sul mio blog o su Facebook, ma non attribuisco loro alcun valore prescrittivo. Sono solo espressione di idee in libertà, assolutamente criticabili. Non dico a nessuno quel che deve fare e tanto meno quello che dovrebbe. Vogliamo reciprocamente attenerci al medesimo criterio?

P.S.: non sto pensando a Facebook in particolare o al blog in generale. Non ce l'ho con alcuno. Chiederei solo maggiore rispetto per la mia personalissima visione del mondo: è inutile insistere, io NON intendo mettermi in regola con altre. Grazie.

                          Piero Visani



       

Napoleonica - Il volo dell'aquila

        20 marzo 1815. L'Aquila è volata, di campanile in campanile, da Juan les Pins fino a Notre Dame. Comincia l'ultima avventura. Una delle poche cose per cui valga vivere: l'avventura.

                                            Piero Visani


giovedì 19 marzo 2015

50.000 visualizzazioni!

       Pur potendo scrivere molto poco, in questo periodo, ecco che in poco più di due anni questo blog è arrivato a 50.000 visualizzazioni. Un traguardo che, all'inizio, mai e poi mai avrei pensato di raggiungere.
       Oggi invece, essendo io di natura molto ambiziosa, non mi pongo più limiti. Potrei persino aprirmi alla pubblicità, ma non mi va, mi sembrerebbe una vaga forma di stupro.
       Vado avanti così, ormai gli sono molto affezionato. Spero sempre che questo periodo di nevrosi lavorativa prima o poi finisca, per vedere se sia possibile ricavarne qualcosa, utilizzando gli articoli che mi paiono migliori.
       In ogni caso, un sentito grazie a chi mi legge: sono certissimo di non riuscire a soddisfare le aspettative di tutti, ma sono molto affezionato alla natura di "zibaldone" di questo blog e non intendo cambiarla, dal momento che è assolutamente conforme alla mia personalità, attratta da tematiche alquanto diverse e molto, molto inquieta. Ci sono componenti private e componenti pubbliche, semplicemente perché - a mio modo di vedere - le seconde non possono e non devono prescindere dalle prime, e viceversa. E' una sorta di giornale personale, dalla prima pagina all'ultima, e non ci sono direttori o caporedattori che interferiscono...

                                                    Piero Visani


                         

Guerre asimmetriche

       Si analizzano molte asimmetrie, nei rapporti conflittuali tra mondo dei "tagliagole" e mondo dei "cravattari", ma in genere se ne sottovaluta una - quella demografica (il tasso di natalità europeo fa sorridere, se posto a confronto con quello dei Paesi islamici) - e si fa del tutto astrazione di un'altra, quella delle motivazioni.
       Quali motivazioni dovremmo avere, noi europei? Non ci consideriamo, a differenza degli statunitensi, portatori di un "destino manifesto". Siamo finiti nel 1945 e da allora è cominciata la nostra lenta agonia. La nostra è palesemente una road to nowhere, da ascari, da servi dell'impero americano. Cosa possiamo cercare, cosa possiamo dare, cosa possiamo ricevere?
      Le foto dell'attentato di Tunisi sono eloquenti: signori di età avanzata, ovviamente pensionati, che si "godono" le angustie mentali, psicologiche e ora anche economiche di Welfare States che da tempo il Welfare lo hanno circoscritto a pochi beati possidentes, che ci lucrano sopra rubando allegramente tutto a tutti, compresa la vita e la proprietà della casa, e che - chissà come mai? - ancora non sono concepiti come "nemici principali", molto più dei "tagliagole" dell'ISIS.
      Come scrissero un tempo gli "Amici del Vento" in una loro fondamentale canzone, "Qualcuno che ti osserva già vorrebbe la tua gola". Ma chi è questo qualcuno? Il nemico esterno, l'hostis di schmittiana memoria, che neppure ci vuole "finire", perché sa benissimo che siamo tutti "finiti" da tempo, o il nemico interno, l'inimicus, che sui nostri "cadaveri in buona salute" intende lucrare fino all'ultimo e anche oltre?
        In un bell'articolo su "La Stampa" di oggi, Domenico Quirico, uno che queste esperienze le ha fatte sulla propria pelle, scrive di "guerra totale islamista". Non sono per nulla d'accordo, ma noto come egli colga alla perfezione il fatto che stia montando - lento ma sempre più veloce - una sorta di "assalto al potere mondiale" che ha una motivazione forte, fortissima, e non necessariamente economica, ma è frutto di una fanatica passione, di un amore per la vita (e per il suo naturale risvolto, la morte) che è mille miglia lontano dal nostro scetticismo di servi sciocchi e in fondo soddisfatti della nostra condizione servile, di vacanzine sempre più brevi a Cesenatico e "di furbi che come sempre non affogano"...
       E' una ricerca di "vivere di più" di popoli giovani, di popoli che non vogliono vivere per una pensione ma per essere una "comunità di destino", di soggetti che intendono essere "sottomessi" al loro Dio, non all'alta finanza e al capitalismo di rapina, in cambio di una "mancia" tassata da 1.000 euro il mese, di quelle che ti fanno sentire davvero "ricco" e con il mondo ai tuoi piedi, pronto ad essere tartassato dai "volonterosi carnefici" al servizio di un potere corrotto.
      Ci fanno paura, questi "sottomessi"? E' giusto. E' la loro voglia di vivere e di morire per una visione del mondo, giusta o sbagliata che sia, che ci turba nel profondo. E' l'invidia che i morti per "demonia dell'economia" hanno nei riguardi dei vivi.

                        Piero Visani






Armatevi e partite!

      E' brutto essere iene in un mondo di Lupi, ma è ancora più brutto esserlo in un mondo di lupi. Con i primi - si sa - le iene possono trattare e fare buoni affari, ma con i secondi?
       Quale "storia di fondazione" creare? "Incravattiamo la gola ai tagliagole"? Piacerà? Farà adepti? Ci saranno degli sprovveduti disposti a morire per i "cravattari", magari in nome della "difesa dell'Occidente"? O della "civiltà occidentale"?
       Ci saranno quelli che si sposteranno nelle sabbie del deserto per fare sì che a Bruxelles continuino a nuotare nel lusso e a Roma negli appalti? Perché no, dopo tutto il mondo è pieno di sprovveduti.
       E vi immaginate cosa succederà quando quelli dell'ISIS (tanto ormai sono dappertutto...) caricheranno i barconi di fanteria e la lanceranno - ovviamente en travesti - verso le coste sicule e dell'Italia meridionale. La Marina ex-Militare li farà passare con tante scuse, lanciando l'operazione Mare Vostrum, mentre in Sicilia, fedeli ai 10 luglio 1943, tutti (o quasi) si scopriranno fautori dei nuovi padroni, magari con la benedizione della "Famiglia" e delle molte "famiglie" locali. E non ci sarà alcuna divisione "Livorno" a cercare di salvare, con un beau geste estetico, quel poco o punto che resta dell' "onore" italiano".
       Eh sì, mala tempora currunt, signori miei, e altri si preparano. Perché vedete, quando si è seduti in salotto, davanti alla televisione, le fole della "difesa della civiltà occidentale" profferite dai "cravattari" possono anche convincere i più sprovveduti, ma quando i "tagliagole" te li trovi di fronte, e dovresti pure affrontarli manu militari, magari potresti cominciare a chiederti se davvero devi morire per Draghi, la Merkel, la Mogherini o Renzi. Risposta: "Non spingete, scappiamo anche noi, alla pelle teniam come voi"!
      Ci avevano raccontato la comoda menzogna del mondo affrancato da guerre, senza più nemici, ma solo con clienti. Ci avevano indotto a lavorare e sbatterci per mettere insieme un po' di ricchezza, salvo poi rubarcela tutta a colpi di tasse e di giochetti di banca e finanza. E ora scopriamo - ovviamente a spese nostre, loro non pagano mai, o quasi... - che il mondo è tanto diverso e che, per difenderci dai lupi (quelli veri) e dai Lupi (anche quelli veri, ahinoi!) le metanarrazioni ireniche e lo storytelling da mondo di pace servono assolutamente a nulla.
       Come finirà? Tranquilli! Come sempre, in sanguinosa farsa, ma il sangue versato sarà il nostro, non il loro. E le iene continueranno a dedicarsi al loro sport preferito: la spoliazione dolosa dei vivi e dei morti. Quanto ai lupi, con loro un accordo lo troveranno di sicuro. L'hanno trovato con i Lupi, figuratevi se non lo troveranno con i lupi! Sono iene: sanno come si fa a colpire alle spalle, cercando di restare impunite...

                              Piero Visani



       

mercoledì 18 marzo 2015

Estetiche ed etiche

       In Italia, l'estetica esistenziale produce soggetti alla maresciallo Marasco. L'etica esistenziale produce invece soggetti... scrivete voi chi volete, non c'è che l'imbarazzo della scelta. E' la ragione per cui vivo nel mio "splendido isolamento". Guardo e ammiro chi lo merita, non presto servizi a chi mi fa schifo, non ne ho bisogno. E mi considero apolide, ma so chi mi farebbe facilmente tornare orgoglioso di essere italiano. Aggiungo - e non è propriamente una notazione passeggera - che molto difficilmente sarebbe un borghese...

                         Piero Visani

Gli "eroi dei due mondi"

       Nel mondo del totalitarismo "politicamente corretto" contemporaneo, i livelli di libertà sono talmente elevati che è sufficiente che un noto stilista (Domenico Dolce), dichiaratamente gay, si lanci in un elogio della famiglia tradizionale perché parta il linciaggio dei seguaci della political correctness, i quali addirittura invitano a "bruciare i suoi abiti", palese premessa del fatto che - più presto di quanto non si pensi - il rogo (non più metaforico) non toccherà alle creazioni del noto stilista, ma proprio al medesimo. Al rogo, al rogo! La sorte riservata ai "dissidenti" nelle società "notoriamente" più "libere"...
       Quindi il destino dell' "eroe del primo mondo" è segnato. Resta la sorte degli "eroi del secondo mondo" e qui cambia tutto, radicalmente. Se prima la semplice espressione di un'opinione era stata sufficiente ai fautori del totalitarismo plebiscitario per pronunciare le loro inappellabili sentenze, gli atti degli "eroi del secondo mondo" sono sempre bisognosi di accertamenti più approfonditi. Occorre una sentenza, ovviamente di terzo grado, prima che qualcuno di questa categoria di privilegiati possa essere ritenuto colpevole di qualcosa e - naturalmente - nella deplorevole ipotesi in cui ciò dovesse accadere, il sistema giudiziario avrà già fatto in modo che tutto cada "tempestivamente" in prescrizione.
       Stupisce il silenzio su alcuni aspetti fondamentali: i politici italiani sono in media alquanto moralisti e la loro stucchevole retorica si incentra abitualmente sul fatto di un diuturno impegno a difesa del genere umano. Se però la realtà pare indicare che tale difesa non è propriamente a 360°, ma lascia aperti ampi vuoti dove loro stessi possono passare - non impuniti, ma esentati a priori - allora c'è qualcosa che non va.
       Perché, da questo punto di vista, è lecito parlare di "due mondi"? Perché il mio mondo di cittadino medio è fatto di difficoltà costanti, di impossibilità di trovare lavoro e/o mercato se non mi alzo alle sei del mattino e lavoro fino a notte fonda. La mia libertà di espressione è nulla, altrimenti mi linciano; il mio diritto di voto non vale, tanto gli eletti sono dei cooptati o degli "imposti dall'alto". Il mio unico diritto di cittadinanza consiste nel pagare tasse sempre più elevate e folli, e vivo perennemente nell'angoscia. E questa hanno pure il coraggio di chiamarla "libertà"...
       Su questo sfondo, un tempo - quando ancora tale virtù esisteva - si sarebbe fatto ricorso a una qualità detta "buon gusto", ma oggi ministri della repubblica (delle banane) possono parlare liberamente al telefono di appalti, di decisioni, di privilegi, di "scorciatoie", come se nulla fosse, come se si trattasse della partita di calcio della sera prima. E mentre io mi devo dannare l'anima per trovare un posto di lavoro a mio figlio, il loro è già stato chiamato e assunto da qualche parte per far piacere a papà, per un'azione che i latini avrebbero definito di captatio benevolentiae, ma oggi il latino non lo sa più nessuno, ergo...
       Quanto al Rolex regalato ai figli del ministro, che volete che sia? Mediamente un cittadino italiano non guadagna nemmeno 18.000 euro l'anno, dunque come fa a spenderne 10.000 per un orologio di lusso? E, ammettendo che decida di fare la pazzia, l'avrà fatto senza sperare in un ritorno...?
       Il moralismo è una gran brutta bestia, poiché divide il mondo in beati possidentes e "servi della gleba". Io so bene di esserlo, un servo della gleba, e di vivere nel più buio dei medioevi. Come molti miei compatrioti, non ho il coraggio di fare quello che occorrerebbe fare, vale a dire ribellarsi in tutti i modi e le forme. Tuttavia, a differenza di molti miei compatrioti, io so di essere un servo della gleba e non mi va granché di esserlo. So pure che esistono due mondi: se io sono così stupido da lasciarmi rinchiudere nel primo, sarei grato agli esponenti del secondo di non passare gran parte del loro tempo a farmi la morale e, al tempo stesso, a prendermi per i fondelli o a far finta che i nostri due mondi siano in realtà uno solo. No, signori miei, il mio è il mondo dei servi, il vostro è quello dei padroni. Siamo alla schiavitù. Tuttavia, il bello della Storia è che essa è divenire. Il fatto che oggi tutti l'abbiano dimenticato, o preferiscano dimenticarselo, non significa che la sua intrinseca natura sia cambiata. I "due mondi" oggi sono così, ma non lo saranno in eterno:

Oltre il monte
c'è un gran ponte.
Una terra senza serra,
dove i frutti son di tutti.
Non lo sai? 

       "Sic semper tyrannis".

                                             Piero Visani





martedì 17 marzo 2015

Dubbi... di San Patrizio

       Non ho mai capito se l'Irlanda, rispetto alla Scozia, sia il mio primo o il mio secondo amore. La Scozia è più storicizzata e il suo gusto della lotta è selvaggio, diretto, ai limiti dell'autolesionismo. La guerra per il gusto della guerra, per l'irrefrenabile ma dolce sapore dell'assalto, dell'"Highland Charge": amore estetico ed estetizzante, molto più che etico.
       L'Irlanda è il gusto per la faida, la lotta interminabile, la riparazione dei torti, la gioiosa consapevolezza di non voler smettere mai, il "no surrender", il rifiuto della "ragionevolezza", l'allegria mescolata ai gesti più crudi e cruenti. L'Irlanda è più olistica: tutto rientra nella vita, anche e soprattutto la morte, e il moderatismo è un lusso noto, ma scarsamente praticato, e non con gioia.
       Credo che sia come amare due donne diverse, impossibilitate a diventare una. Ma le amo entrambe, nella stessa misura, credo.

                                       Piero Visani




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sabato 14 marzo 2015

Gli islandesi, l'empirismo e gli italiani

       Mi sia consentito di iniziare con una citazione da Wikipedia:

L'empirismo (dal greco ἐμπειρία, empeirìa), è la corrente filosofica, nata nella seconda metà del Seicento in Inghilterra, secondo cui la conoscenza umana deriva esclusivamente dai sensi o dall'esperienza. I maggiori esponenti dell'empirismo anglo-sassone furono John Locke, George Berkeley, e David Hume: costoro negavano che gli esseri umani avessero idee innate, o che qualcosa fosse conoscibile a prescindere dall'esperienza.

        Ecco, gli islandesi hanno visto svolgersi sotto i loro occhi l'Eurolager e si sono fermati proprio sull'orlo del baratro, ritirando la domanda di adesione all'UE presentata nel 2009. Come dire: "Fessi sì, ma senza esagerare: meglio fare un passo indietro fino a che siamo in tempo..."
      Gli italiani, invece, vi sono buttati a capofitto, e ora, ovviamente, non hanno più la forza di risalire. Una volta di più, quos perdere vult, deus dementat. E ora, infatti, siamo persi e dementi... E presto da persi e dementi diventeremo morti e contenti. Ce lo chiede l'Europa, non vorremo mica non darle soddisfazione...
       Orsù, prepariamo i barconi in direzione del freddo Nord, dell'Islanda piccola ma ospitale, ma sono certo che la Marina Militare italiana, sempre fedele agli ordini illegittimi, ci farà tornare indietro già al largo della Sardegna, prima ancora che facciamo rotta verso le Baleari. Sarà (per una volta) una Forza Armata assertiva, ci ricorderà che il Mediterraneo è un Mare Nostrum...!

                   Piero Visani



Segnali di ripresa


       Il debito pubblico continua a salire, mese dopo mese. E' un fantastico segnale di ripresa, nel senso che ingrana marce sempre superiori...
       Siccome il principale obiettivo delle politiche economiche nazionali è, per l'UE, il ripianamento del debito, direi che è chiaro anche ai non vedenti dove stiamo andando...
        Quando gli storici ricostruiranno queste periodo, credo che si porranno - ovviamente in forma più elegante di quella che uso io qui - il seguente interrogativo: "ma gli italiani [non solo i governanti e le loro clientele, ma anche chi le eleggeva] c'erano o ci facevano?". E si faranno [loro, solo loro, ahinoi!] crasse risate su un così fantastico esempio di suicida coglioneria di massa.

                                 Piero Visani

venerdì 13 marzo 2015

Revenge

       Può capitare, nella vita, di essere oggetto di atroci prese in giro, freddamente e lucidamente concepite per trovare conferma di capacità evidentemente ritenute declinanti.
       Può capitare di cadervi dentro, per buona fede o ingenuità, salvo poi accorgersi - a proprie spese - del terribile inganno.
       Può capitare di essere, per errata valutazione dell'aggressore, un soggetto terribilmente vendicativo, pronto a restituire - con il medesimo "amore" di cui è stato oggetto - la "cortesia" subita.
       Può capitare di riuscire, con impegno e fatica, a rimettere vagamente i conti in pari, tanto per non fare proprio la figura dello stupido.
       Può capitare pure di riuscire a riprendere rapidamente la propria autostima, già sempre molto elevata.
       Può capitare altresì, a ira placata, di ripromettersi di "don't look back in anger" e di riuscire a farlo, con il necessario distacco.
         Ma non capiterà mai, proprio mai, di non fissare l'orizzonte e di veder casualmente passare, davanti alla linea di tiro dei propri cannoni, la navicella più o meno potente del soggetto cui devi "restituire la cortesia". Non succederà, ma tu sei pronto. E, nella remotissima ipotesi in cui ciò dovesse accadere, il fuoco sarà ad alzo zero, dapprima di saturazione e poi terribilmente mirato, e non si faranno prigionieri. Questo è certo.
       Hai una cultura che crede nel valore inarrivabile della faida, prima ancora che in quello della vendetta: vorresti rinunciarvi proprio nel caso in cui tale insperata opportunità dovesse mai verificarsi?

                    Piero Visani



       

giovedì 12 marzo 2015

La rappresentazione della guerra

       La guerra, malgrado esorcismi e demonizzazioni varie, rimane saldamente al centro dell’immaginario collettivo occidentale. E, al centro di questo immaginario, si pone la rappresentazione della guerra. Esercizio tutt’altro che neutrale, tutt’altro che casuale, se – come ha sottolineato Jean-Michel Valantin nel volume Hollywood, le Pentagone et Washington – tale rappresentazione può addirittura essere inserita all’interno di una strategia globale, diventare una modalità di fare politica.
          Il filone pare inesauribile, un po’ perché non cessano di esserci guerre, un po’ perché si continua a fare politica attraverso la rappresentazione del conflitto e un po’ perché il tema continua a destare notevole interesse nel pubblico. Sul canale a pagamento Fox Tv si è appena conclusa, ad esempio, Over There, la celebrata instant Tv series sull’attuale conflitto iracheno, mentre si è da poco affacciato nelle sale il film Jarhead, opera di un regista affermato come Sam Mendes.
          Over There, realizzata da una specialista di produzioni seriali televisive come Steven Bochco e diretta da Chris Gerolmo, ha scelto la strada rischiosa, ma certo non casuale, della rappresentazione fittizia di un conflitto ancora in corso, destando polemiche e reazioni di vario genere. Volutamente ambigua, si è posta in una posizione di quasi completa astensione di giudizio, preoccupandosi di dare (o di sembrare di voler dare…) più una rappresentazione della realtà che un’interpretazione della medesima. Ha colpito nel segno soprattutto nel descrivere quanto l’attuale esercito professionale statunitense rappresenti, più che uno spaccato della società americana nel suo complesso, uno spaccato di quei ceti disagiati e marginali che cercano nell’Esercito una via per risolvere i loro problemi personali e sociali. E, a ben guardare, si è dimostrata convincente, poiché dalle sue immagini escono più cittadini (di seconda e di terza classe) in uniforme che militari di professione, e la mentalità dominante è molto più quella dei civili che quella dei soldati di mestiere. Non a caso, ha riscosso critiche sostanzialmente positive anche tra tutti coloro che sono stati o sono tuttora militari in Iraq, salvo che per un solo aspetto, quello della rappresentazione della parte più specificamente tecnica, quella operativa o di combattimento, giudicata dai più assolutamente insoddisfacente. Ma non era probabilmente questo il suo obiettivo, come, per una volta, il suo obiettivo non era di carattere giustificatorio, in particolare in direzione del mondo esterno. Semmai, la finalità sembrava piuttosto descrittiva: ricordare alle decine di milioni di americani che, in un’epoca di esercito di mestiere, non sono transitati e non transiteranno mai nelle Forze Armate, che cosa la società militare sia e quanto, al di là di certi aspetti formali, essa sia intrisa di valori civili e popolata da soggetti – uomini e donne – che sono di fatto nient’altro che underdog in uniforme. Non guerrieri tirati a lucido, tardivi epigoni di Rambo, ma un’umanità dolente, talvolta professionalmente valida talaltra neppure tale, ma solo spinta a migliaia di chilometri da casa dal peso dell’emarginazione sociale e delle circostanze. Nessuna denuncia sociale – sia chiaro – ma un quadro larvatamente polemico, inteso a rappresentare il carattere di ordinary people dei "nuovi centurioni", che tutto sembrano meno che credibili difensori di un impero.



         Diverso è il quadro che scaturisce invece da Jarhead, dove la tematica della rappresentazione della guerra ha un impianto di tipo più tradizionale. La prima differenza di fondo sta forse nella Forza Armata di riferimento: non più, come in Over There, i civili in uniforme della 3° Divisione di Fanteria dell’U. S. Army, ma i superprofessionisti di uno dei corpi più elitari del mondo, i Marines. Gente che si suppone sia dov’è per una scelta precisa, anche se poi si scopre che molti sono lì perché hanno dovuto scegliere tra il carcere e l’arruolamento; altri appartengono al sempiterno bacino di riferimento dei diseredati e degli spostati di ogni razza, risma e natura; altri ancora – come probabilmente Anthony Swofford, autore del libro omonimo, da cui il film è tratto – perché in crisi di identità e alla ricerca di se stessi.
          Girato con un’impostazione assai simile a quella di Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, dunque con una prima parte che descrive nei dettagli un addestramento di tipo ossessivo, palesemente inteso (ma questo non è sempre adeguatamente percepito dal pubblico e tanto meno dalla critica) a conferire caratteri di normalità e di assuefazione a situazioni al limite del parossismo, che però – e qui sta il punto e la loro ragion d’essere – saranno abituali sul campo di battaglia, Jarhead si trasforma in una sorta di coitus interruptus militare: la guerra tanto attesa, la sublimazione di tanto duro addestramento finalmente arriva (ed è la prima guerra del Golfo), l’enorme carica ormonale artatamente immagazzinata nei soldati dovrebbe esplodere, ma non riesce a farlo. Non riesce perché gli errori commessi da Saddam Hussein la trasformano in una passeggiata militare per le forze alleate, in un conflitto dove il dominio del cielo rende inutile ed obsoleto il ricorso alla fanteria, compresi i celeberrimi marines.
          Sotto questo profilo, in verità, il film non è particolarmente convincente, in quanto sostiene una tesi palesemente indifendibile, vale a dire la sostanziale superfluità, nel conflitto moderno, del combattente di tipo tradizionale. Poiché è stato girato di recente, ad esempio dopo che il secondo conflitto iracheno ha dimostrato la perdurante validità del ruolo del fante, forse il regista avrebbe potuto essere più cauto; ma è probabile che abbia voluto rimanere fedele al testo originale, ignaro degli sviluppi successivi.
          Come in American Beauty, l’intento principale di Mendes pare quello di condurre una critica dissacrante della società americana: non soltanto, in questo caso, della società militare (obiettivo fin troppo facile, visto che abbonda di stereotipi), ma di come quest’ultima sia in fondo uno spaccato e al tempo stesso un ricettacolo di buona parte delle caratteristiche, comunque le si voglia giudicare, della prima. L’intento di fondo, poi, resta a nostro giudizio complessivamente apologetico. È vero che il quadro della società militare che emerge dal film è un concentrato di ossessioni e di depravazioni, è vero che la rappresentazione della guerra è indiscutibilmente cruda, dunque realistica, magari con qualche strizzatina d’occhi all’iperrealismo. Eppure, per tutti questi uomini, la loro esperienza di soldati è ancora il massimo delle esperienze compiute; un’esperienza indelebile, alla quale cominciare un giorno, forse abbastanza presto, a guardare con una forma di irrefrenabile nostalgia, che non è solo nostalgia di gioventù, ma di una vita diversa, di un’esistenza “altra”, della capacità di “vivere di più” che, una volta ripiombati nella banalità del quotidiano, può anche cominciare a pesare per la sua mancanza.
          Il cerchio si chiude, ma alcuni interrogativi cruciali rimangono aperti: la rappresentazione della guerra, così come si è sedimentata nel mondo occidentale, tende a privarla di una dimensione razionale e provvista di senso, negando in tal modo la possibilità che la guerra stessa possa ancora essere – nella tradizionale accezione clausewitziana – “la continuazione della politica con altri mezzi”. In realtà, la cronaca ci dimostra che così non è, anche se talvolta i nomi possono cambiare per ragioni di political correctness. L’”inutile strage”, la sua presunta insensatezza si muovono nella dimensione del politico, dove peraltro non mancano i tentativi di trovarvi una giustificazione a livello mediatico, con tutte le varie forme di rappresentazione del conflitto, cinema compreso. Ma se il problema fosse un altro; se cioè la società occidentale fosse in verità percorsa – come titola un noto libro di James Hillman – da Un terribile amore per la guerra? Se essa fosse, come sempre Hillman ha scritto, al tempo stesso «…un’opera umana e un orrore inumano, e un amore che nessun altro amore è riuscito a vincere»? Si spiegherebbero meglio certe nostalgie reducistiche e il senso di una passione che, in mezzo a tutti gli esorcismi di prammatica ed alle condanne di rito, non accenna minimamente a calare.

                                        Piero Visani








Coincidenze

       Il bello della politica è che raramente qualcosa accade per caso. E' più difficile parlarne sul versante del cosiddetto centrodestra, ove l'insipienza regna sovrana ed è un viatico di carriera. Tuttavia, tanto per fornire un po' di biada, inviterei alla riflessione sul caso Tosi e, soprattutto, sul ritorno agli onori del mondo di Silvio Berlusconi.
       Due eventi assolutamente "casuali" - sia chiaro - ma che capitano proprio nel momento in cui Matteo Salvini si batte con accanimento per la leadership del centrodestra. Nessuno mi può sospettare di simpatie per Salvini o per il centrodestra, ergo ritengo di poter sottolineare che i due "incidenti di percorso" che gli sono testé capitati siano frutto di una strategia precisa, intesa a mettergli i bastoni tra le ruote.
       Tutto parte da una constatazione da autentici geni della politica, quali i "centrodestri" italici mediamente sono...: "Salvini non potrà mai vincere". Possibile, probabile. Il problema è che, quando hanno vinto Silvio Berlusconi e accoliti, l'unica sensazione che un elettore medio di quell'area ha potuto provare è stata la mitica invocazione nannimorettiana: "Dite qualcosa di destra!". Poi ha visto che i suoi "beniamini" sono andati al governo, sono stati più statalisti dei loro rivali, hanno elevato la pressione fiscale come gli altri e si sono ispirati a un universo metapolitico (loro non sanno cos'è e non è il caso di spiegarglielo, ma esiste...) che era in tutto e per tutto di sinistra.
      Ed ecco che ora, mentre Salvini - con qualche modesto spunto in più - "qualcosa di destra" riesce a dirla e - soprattutto - riesce a dire qualcosa "al di là della destra e della sinistra", ecco che dai retaggi del passato escono - nobilitati e/o riabilitati - quei "moderati" che proprio a Salvini potrebbero dare fastidio.
       Sarà un caso? Può darsi, ma non ci credo. Quel che mi sento di dire è che, se Salvini cerca dei nemici, li troverà soprattutto nell'impalpabile area del Centrodestra, dove convivono tranquillamente tutto e il contrario di tutto, con il risultato di produrre un "assoluto Niente". Se fosse un leader vero, del che dubito, si preparerebbe a un "lungo viaggio al termine della notte", che è esattamente quello che gli si prospetta. Non esiste infatti, in Italia, una volontà di cambiare che possa insidiare la posizione egemonica di Matteo Renzi. Se insidia ci sarà - e potrebbe in effetti esservi - verrà dall'interno del suo schieramento, non da fuori.
       Quanto all' "area vasta" che in quello schieramento non si riconosce, il lavoro da fare è enorme e va molto al di là dei tempi della politica. C'è da scrivere una mappa di valori, possibilmente fatta di molti "sì" e di pochi "no", e da definire un perimetro concettuale molto avanzato, che non sia il solito no a un comunismo che non esiste più e sì ad una difesa dell'Occidente che vuole noi morti, non l'Islam.
        Guardare ad Est, guardare a Sud, ricercare nuovi alleati e nuove alleanze. Da tempo non abbiamo più una Patria, né reale né ideale, ergo ci serve la fantasia, non le rimasticature. Serve un lavoro di fondazione destinato a durare a lungo, grazie al quale si riesca finalmente a capire dove collocarsi. Per ora, si è in mezzo al guado, ed è una posizione scomoda. Per ora, non si è né carne né pesce, ed è una posizione deplorevole. Per ora, la metapolitica utilizzata è quella dell'avversario politico, ed è una posizione perdente.
       Non c'è molto da fare. C'è tutto da fare.

                                 Piero Visani




mercoledì 11 marzo 2015

La medaglia per Waterloo

       Non so se la notizia che l'UE intende celebrare (?) con l'emissione di una moneta commemorativa i 200 anni di Waterloo sia vera, ma, se lo è, mi unisco alle proteste della Francia.
       Non ci sarà mai nessun stercoraro di banchiere - e i suoi accoliti di ieri, oggi, domani e sempre, tra cui la UE può essere "degnamente" inclusa - che mi farà dimenticare la grandezza di Napoleone, dell'Impero e gli elementi di accelerazione che essi hanno impresso alla storia d'Europa, ritardandone la deriva verso la fogna attuale.

       Mi permetto di ricordare il finale, consapevole del fatto che una buona estetica della morte è di gran lunga superiore a una pessima etica della vita. E rende immortali.
       Naturalmente so che c'è chi non condivide. Legittimo: si goda i suoi capitali, mi immagino che ne avrà!

                   Piero Visani