Può essere una forma particolarmente marcata di egocentrismo, ma ho tendenza a vivere tutto da dentro e da fuori. Da dentro, nel particolare ruolo che attribuisco all'autoanalisi, e anche all'analisi degli altri, perché sono molto attento ai particolari, pure a quelli altrui, che direi sono la cosa che mi interessa maggiormente, sotto il profilo umano.
Da fuori, perché il mio distacco (o il mio coinvolgimento) sono tali da consentirmi di vedermi anche da fuori e - di fatto - io mi vedo costantemente da fuori.
Nei rapporti con terzi, questo favorisce una certa forma di ipercriticismo, che ovviamente riguarda solo me stesso, ma favorisce altresì una forma di approfondimento analitico che porta ad essere, al tempo stesso, molto partecipe e molto distaccato.
C'è una forte componente estetica, in tutto questo, poiché è di sicuro una forma di estetismo a facilitare tale sdoppiamento: è come se riuscissi a vedermi da fuori con la stessa lucidità con cui ritengo di sapere vedermi da dentro e come se cercassi di farlo per vedere se sono all'altezza della rappresentazione che ho di me.
La rappresentazione che ho di me è tutto, per me, perché ispiro i miei comportamenti a una serie di canoni che cerco il più possibile di soddisfare. Così, se la componente interiore, molto passionale, mi spinge a una forte emotività, la componente esteriore, molto estetizzante, mi induce al distacco e all'autorappresentazione. Può sembrare strano, ma è dalla più giovane età che mi comporto così, da un lato vivendo, dall'altra guardandomi vivere. Un giudice affrettato parlerebbe subito di narcisismo, ma non è solo questo, ritengo: è che davvero "io vivo dentro, io vivo fuori", sapendo bene che "è tutto un attimo". C'è chi lo capisce, e mi gradisce. C'è chi non lo capisce, e legittimamente mi detesta. Nelle valutazioni altrui, tendo all' "ascesa agli estremi", direbbe Carl von Clausewitz: in un senso o nell'altro. Credo che sia una cosa che mi piaccia molto. Detesto l'ordinarietà.
Piero Visani