Maledetto il traffico milanese! Quello che doveva essere uno spostamento lungo ma tranquillo, da una parte all'altra del capoluogo lombardo, diventa una sorta di rally urbano, condotto in un crescendo di follia, grazie alla complicità di un taxista felicemente cooperativo.
Sono in Centrale poco prima della partenza del mio "Frecciarossa", ma, grazie al mio costante allenamento alla corsa, riesco a salire per un pelo sull'ultima carrozza, appena un attimo prima che le porte vengano automaticamente chiuse.
La mia carrozza è in testa al treno, il che significa che dovrò risalirne una decina, ma è fatica da poco, considerato lo scatto fatto per arrivare qui per tempo.
Riprendo fiato, attendo che la respirazione si regolarizzi e poi inizio la mia traversata fino alla carrozza di testa, dove ho il posto prenotato.
Stanno calando le prime luci della sera e il treno trabocca di viaggiatori. Di conseguenza, la risalita verso la carrozza di testa è simile a un percorso di guerra in cui dopo ogni singolo metro si incontra un ostacolo.
Armato della massima pazienza, di quel distacco di cui sono solito fare sfoggio quando sono in mezzo alla gente, attendo pazientemente il mio turno per risalire, carrozza dopo carrozza, verso l'agognata meta.
Il mio incedere è talmente lento che ho tutto il tempo di guardare i passeggeri, i loro volti, le occupazioni cui sono intenti.
All'inizio della carrozza 6, una coppia di ottuagenari incontra molta difficoltà a sistemare il proprio bagaglio, troppo voluminoso per essere gestito direttamente da loro. Alcuni passeggeri di buona volontà li aiutano, ma ci vuole tempo prima che la situazione si sblocchi.
Nell'attesa, il mio sguardo corre intorno ed ecco - di colpo - una visione e un tuffo al cuore: all'inizio della carrozza 6, nell'ultimo sedile prima della passaggio che conduce alla carrozza 5, un volto familiare, un'espressione familiare, perfino un abbigliamento familiare. Donna di classe, vestita con eleganza low profile, intenta nella lettura di qualcosa che non riesco a vedere, forse un libro.
Lei non mi ha visto, non credo ne abbia avuto modo: sono in piedi, circondato da quattro o cinque persone. Tuttavia, in me si scatena una sorta di tempesta emotiva: chi se lo sarebbe mai aspettato, un incontro così fortuito? E che fare: salutarla con calore, farle un freddo cenno del capo, ignorarla del tutto?
Dovessi dare retta a me, mi siederei e intavolerei con lei una conversazione destinata a durare fino al nostro arrivo a Roma (se va a Roma...). L'ho molto amata e non vorrei perdere un'occasione del genere. Al tempo stesso sono consapevole che ci siamo lasciati malissimo e, per una volta che ci siamo ritrovati, è andata anche peggio.
Risalgo lentamente il vagone, preceduto da due persone che non paiono avere granché fretta, anche perché una delle due sta addirittura telefonando.
Io non smetto di guardare quella donna - che per me è stata a lungo un concentrato di ansie,pensieri, speranze, desideri - e di interrogarmi sul da farsi. Il mio cuore vorrebbe che mi fermassi, la salutassi, dessi fondo a tutte le arti di fascinazione di cui sono capace per riuscire a parlarle, almeno un po', per ritrovare il filo di un dialogo, anche solo per dirci addio in maniera più urbana. La mia mente, per contro, si rende conto che probabilmente farei la figura dello sciocco e mi sollecita con forza a desistere.
Sono a non più di tre-quattro sedili da lei, quando i nostri sguardi infine si incrociano. Ha un leggerissimo moto ti trasalimento, perché mi riconosce immediatamente, ma fa studiatamente finta di nulla. Ruota il capo a 180°, come se volesse abbracciare con lo sguardo l'intera carrozza e i passeggeri, si sistema con seduttiva eleganza i capelli, poi si rituffa nella lettura (sta leggendo un libro, ora lo vedo).
Il passeggero che telefonava ha infine trovato il suo posto e si ferma ad armeggiare per sistemare il trolley che porta con sé. Ne consegue un'ulteriore pausa, che io trascorro fissando la testa di quella donna, sperando che la risollevi. Non avviene. Probabilmente sta calcolando mentalmente quanto tempo deve tenerla china, onde essere certa che io passi senza che i nostri sguardi possano nuovamente incrociarsi.
I successivi 45 secondi sono tra i più lenti della mia vita, anche se la decisione che devo prendere non me ne può concedere di più. Immagini di varia natura si affacciano alla mia mente: da splendidi incontri a mail affettuose, controbilanciate da sguardi algidi, da silenzi, mutismi, reprimenda.
Mi sale alla mente un interrogativo: "ho ancora voglia di tutto questo, di un infernale stop and go che già tanto mi ha provato in passato?". Ci penso un attimo, non più di un attimo, e la risposta è no: ho troppo sofferto e non ho alcuna intenzione di ricominciare. Ho fatto tutto il possibile e, se non è bastato, è perché nulla poteva bastare. Meglio prenderne atto e guardare avanti.
Sfilo accanto al suo posto e la porta che conduce al piccolo corridoio che precede la carrozza 5 si apre con un perfetto automatismo. La grande capacità di visione periferica di cui godo mi consente di vedere che, man mano che io mi sposto in avanti, la sua testa si rialza dal libro nella cui lettura era (fintamente) immersa.
Raggiungo il mio posto in preda ad emozioni contrastanti. Sono combattuto tra il desiderio di tornare alla carrozza 6 e parlarle, e il sentimento di inutilità totale di un gesto del genere. Sono consapevole che, nella migliore delle ipotesi, tutto si ridurrebbe a una fredda conversazione, carica di imbarazzi, tra due vecchi "amici"...
Il resto del viaggio è una tortura, con la mente che caracolla fra ricordi di tutti i tipi. Non faccio nulla e, una volta a Roma, vado dritto a prendere un taxi, senza nemmeno girarmi indietro una volta. Che senso avrebbe, del resto?
Le cicatrici profonde - si sa - tardano a rimarginarsi, ma quando le storie sono piene di "non detto" tardano a trovare un senso, una collocazione precisa nel nostro cuore, perché è come se non avessero avuto una fine, e quella è la sensazione più dolorosa, la più difficile da accettare. Tuttavia, per quanto io sia molto orgoglioso e pieno di autostima, ancora so come fare a prendere atto di una "rottamazione", tanto più quando è netta e inequivocabile. E poi, domani è un altro giorno e la vita, per mia fortuna, offre moltissimi spunti, dato che, per una porta che si chiude, talvolta si spalancano portoni. Tuttavia, onde evitare problemi, rientro a casa in aereo...
Piero Visani
I successivi 45 secondi sono tra i più lenti della mia vita, anche se la decisione che devo prendere non me ne può concedere di più. Immagini di varia natura si affacciano alla mia mente: da splendidi incontri a mail affettuose, controbilanciate da sguardi algidi, da silenzi, mutismi, reprimenda.
Mi sale alla mente un interrogativo: "ho ancora voglia di tutto questo, di un infernale stop and go che già tanto mi ha provato in passato?". Ci penso un attimo, non più di un attimo, e la risposta è no: ho troppo sofferto e non ho alcuna intenzione di ricominciare. Ho fatto tutto il possibile e, se non è bastato, è perché nulla poteva bastare. Meglio prenderne atto e guardare avanti.
Sfilo accanto al suo posto e la porta che conduce al piccolo corridoio che precede la carrozza 5 si apre con un perfetto automatismo. La grande capacità di visione periferica di cui godo mi consente di vedere che, man mano che io mi sposto in avanti, la sua testa si rialza dal libro nella cui lettura era (fintamente) immersa.
Raggiungo il mio posto in preda ad emozioni contrastanti. Sono combattuto tra il desiderio di tornare alla carrozza 6 e parlarle, e il sentimento di inutilità totale di un gesto del genere. Sono consapevole che, nella migliore delle ipotesi, tutto si ridurrebbe a una fredda conversazione, carica di imbarazzi, tra due vecchi "amici"...
Il resto del viaggio è una tortura, con la mente che caracolla fra ricordi di tutti i tipi. Non faccio nulla e, una volta a Roma, vado dritto a prendere un taxi, senza nemmeno girarmi indietro una volta. Che senso avrebbe, del resto?
Le cicatrici profonde - si sa - tardano a rimarginarsi, ma quando le storie sono piene di "non detto" tardano a trovare un senso, una collocazione precisa nel nostro cuore, perché è come se non avessero avuto una fine, e quella è la sensazione più dolorosa, la più difficile da accettare. Tuttavia, per quanto io sia molto orgoglioso e pieno di autostima, ancora so come fare a prendere atto di una "rottamazione", tanto più quando è netta e inequivocabile. E poi, domani è un altro giorno e la vita, per mia fortuna, offre moltissimi spunti, dato che, per una porta che si chiude, talvolta si spalancano portoni. Tuttavia, onde evitare problemi, rientro a casa in aereo...
Piero Visani
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