Un cambiamento di metapolitiche non è nulla di particolarmente iconoclastico: ad esempio, se un "cugino la(t)rino" insulta dall'alto, anzi dal basso, delle sue assolute manchevolezze sul tema dell'immigrazione e, nel farlo, non esita a ricorrere a toni inurbani, un cambio di metapolitica consiste nel cessare di rispondergli alla Fantozzi, strisciando a terra e dicendogli "come è umano lei!" con tono servil-untuoso, ma nel mandarlo simpaticamente a quel Paese, di modo che possa temperare un poco la sua (largamente infondata) spocchia.
Non c'è assolutamente un obbligo ad essere sempre e comunque "l'Italia dell'8 settembre" e dell'ammiraglio Maugeri. Abbiamo anche altri esempi cui poter fare riferimento, decisamente più dignitosi. Non li cito perché non mi piace paragonare grandezze a nefandezze, tanto più su eventi così marginali e modesti, ma sarebbe utile ricordare che il nostro popolo non è composto interamente di venduti come la quasi totalità della sua classe dirigente. E' un popolo abituato ad arrangiarsi, per sopravvivere alla nefandezze dei suoi oligarchi, che sono soliti farsi le ville da 24 milioni di euro nel mentre si vendono allo straniero, depredano la loro gente e - per unire il danno alle beffe - ne stabiliscono pure le regole di comportamento etico... In questo siamo davvero nel "vomitevole", per citare l'illustre cugino d'Oltralpe. Ma - da poveri - una dignità l'abbiamo, non fosse altro perché non abbiamo nulla da perdere, se non che le nostre pluridecennali catene, maneggiate - almeno fino a ieri - da modestissimi (ma interessatissimi...) kapò nostrani, tanto acculturati, tanto spocchiosi e tanto (ma per loro merito, ovvio...) incredibilmente ricchi.
Piero Visani
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