martedì 12 giugno 2018

L'importanza dei cambiamenti

       Ho passato quasi un ventennio della mia vita professionale a consigliare cambiamenti che nessuno mai metteva in pratica. All'inizio mi si diceva che era difficile, poi si passò a dirmi che era impossibile e infine mi si invitò (educatamente) dapprima a desistere dal continuare a suggerire ciò che ritenevo giusto e poi mi si diede il benservito.
       L'ho fatto a vari livelli e in diversi ambienti, ma sempre animato dalla consapevolezza che nessun cambiamento politico ha un senso se non accompagnato da un adeguato cambiamento metapolitico, cioè del quadro culturale in cui una nuova politica (ammesso e non concesso che sia nuova...) dovrebbe essere inserita. Uno degli esempi più eclatanti in tal senso è la politica di "liberazione fiscale" voluta dai governi Berlusconi, che trovò il suo culmine e la sua apoteosi nella fondazione di Equitalia...
       Ho sempre cercato di spiegare che combattere le proprie battaglie sulla base delle idee del nemico (o dell'avversario politico) è qualcosa che non serve assolutamente ad alcunché, anzi è pura eterogenesi dei fini e non fa che confermare e sancire l'egemonia metapolitica di colui contro il quale, in teoria, ci si dovrebbe battere.
       Ho rimediato decine di sorrisi di compatimento e naturalmente mi sono dedicato ad altre attività, perché incontrare l'avversione degli avversari è normale, mentre incappare nella derisione dei presunti (molto presunti...) compagni di strada è assai più fastidioso.
       Ora che, per la prima volta dopo molto tempo, abbiamo un governo che, sia pure in parte molto contenuta, non condivide le metapolitiche dominanti, forse qualcuno comincerà a rendersi conto dei terribili errori che sono stati commessi nell'accettare acriticamente e passivamente le metapolitiche degli avversari. Per fare degli esempi: se si parla di immigrazione, in Italia si deve sempre e solo parlare di accoglienza, di assimilazione mai, è vietatissimo. Oppure i Paesi vicini al nostro possono respingere i barconi dei disperati, chiudere le frontiere, espellere i clandestini; noi italiani mai, perché quello che in Francia è normale, da noi è razzismo...
       Cambiare tutto questo non è facile: richiede la formulazione di una metapolitica nuova, investimenti per promuoverla, strumenti per diffonderla, consapevolezza degli obiettivi da conseguire, e da conseguire per gradi, per non creare traumi in un'opinione pubblica che è stata manipolata per decenni in un senso specifico e attribuisce valori unilaterali e automatici a concetti come "umanità", che fanno scattare in lei riflessi pavloviani, non reazioni ponderate e approfondite.
       Chiunque osservi la radicale svolta impressa dal ministro dell'Interno Salvini alla questione degli sbarchi di immigrati nei porti italiani non può non notare la terribile difficoltà di articolare politiche nuove sullo sfondo di metapolitiche consolidate e ad esse radicalmente avverse: si rischia di essere accusati di "crimini contro l'umanità". Mi viene da sorridere e in una certa misura ritengo che sia giusto così: in effetti, è un "crimine contro l'umanità" aver fatto politica fino a ieri avendo sempre e costantemente accettato acriticamente la metapolitica degli avversari. Cambiare questa impostazione semplicemente demenziale è e sarà durissimo. Per rendervene pienamente conto, guardate i telegiornali e le trasmissioni d'opinione delle reti Mediaset, e capirete in che cosa il vecchio centrodestra NON differisce dai suoi avversari politici, visto che ne condivide in toto le metapolitiche.
       Ci sarebbe da fare moltissimo su questi temi e sarebbe utile cominciare a farlo il più presto possibile: il mondo sta cambiando con estrema rapidità e le metapolitiche del mondo vecchio servono solo a NON comprendere quello nuovo, regalandone per di più la gestione agli avversari politici. Tutto un patrimonio di culture e valori ancor oggi dominanti (almeno qui da noi) è in crisi verticale. Sarebbe bene prenderne subito atto, per tracciare le linee di una nuova cultura, che sappia ad esempio spiegare quali fortune colossali si possano accumulare celandosi dietro la capacità di fornire una copertura umanitaria a quella che è soltanto, e da tempo, nient'altro che una nuova tratta degli schiavi. E che quelli che non sono altro che orribili schiavisti si presentino come "umanitari" è vagamente sgradevole, o no?

                      Piero Visani
       


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