Difficile trovare un titolo più eloquentemente sintetico di Babel (Dai dazi di Trump alla Guerra in Siria: ascesa e declino di un mondo globale, Castelvecchi, Roma 2018, 140 pagine, prezzo euro 17,50), il saggio di recentissima pubblicazione con cui Salvatore Santangelo, brillante intellettuale dai multiformi interessi (dalla geopolitica agli studi militari, passando per molti altri ambiti), ha cercato di fornire una sua personale interpretazione di un mondo sempre più piccolo e al tempo stesso sempre più dinamico, dove le antiche certezze geopolitiche, geostrategiche e geoeconomiche sono state sostituite da una realtà liquida - per dirla à la Bauman - nell'ambito della quale è sempre più difficile trovare dei punti fermi, dei punti di riferimento.
In una dotta quanto sintetica esposizione di una serie di problematiche geopolitiche di estrema attualità, Santangelo ci accompagna in un insieme di percorsi molto convincenti, dove i fattori di crisi, cambiamento e disordine sono nettamente superiori a qualsiasi forma di staticità.
A chi scrive, probabilmente per deformazione professionale, è piaciuto in particolare il Capitolo IX, dove l'Autore traccia un parallelismo molto felice, quello della guerra come paradigma della globalizzazione. In esso, rovesciando le tranquillizzanti teorie sul fatto che la globalizzazione rappresenterebbe una sorta di viatico destinato a condurci nel "migliore dei mondi possibile", Santangelo evidenzia invece come il mondo del futuro, proprio perché profondamente destabilizzato e alterato dal (tentato) annientamento delle identità, si stia strutturando in realtà non come "un mondo di pace" - come vorrebbe la vulgata mediatica dominante - ma come "un mondo di guerra", di tutti i tipi di guerra, molto diversi, molto più articolati, molto più difficili da individuare dei conflitti di tipo tradizionale e perfino di quelli che, solo fino a pochi anni fa, potevano apparire più moderni e alternativi.
E' un mondo che pare spingere verso una formidabile parcellizzazione delle forme conflittuali e di un loro mascheramento/occultamento sotto le spoglie più diverse, molte delle quali - e questo sta diventando sempre più un problema - assolutamente ignote al cosiddetto "uomo della strada". In questa crescente Babele, l'eracliteo "Polemos patér pantòn" si profila sullo sfondo come nuova e assai diffusa "koiné dialektòs", che chi di dovere sa fin troppo bene di dovere (e voler) parlare, al tempo stesso ipocritamente negando che esso è l'unico linguaggio che conosce (e vuole conoscere). Santangelo ce lo ricorda, con i toni soft che gli sono peculiari e che - proprio in quanto tali - risultano ancora più convincenti.
Piero Visani
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