Nell'ultimo numero (5/2018) di Limes - Rivista italiana di geopolitica, il generale Fabio Mini - in un articolo significativamente intitolato "Siamo servi di serie B e non serviamo a niente" (pp. 75-87) - ritorna sui temi che gli sono cari, vale a dire il ruolo dell'Italia in ambito ONU, UE e NATO, e, dopo averne evidenziato gli enormi limiti e la natura sostanzialmente autolesionistica dei vincoli che ne derivano, a tutti i livelli, chiude il suo magnifico intervento con un passo che è pure un'evidente esortazione a costruire una politica estera che non sia da schiavi, ma da soggetti politicamente autonomi, consapevoli del fatto che "Se si è scelto di stare nel gregge piuttosto che fra i pastori, non contare significa essere contati, come pecore di rientro agli stazzi. Significa sottostare alla direzione dei pastori e al controllo dei cani" (p. 76).
Per evitare tutto questo, per suggerire una politica estera e militare che non sia la "valle di lacrime" attuale, Mini traccia, scrivendo in terza persona, uno scenario sul quale varrebbe la pena di riflettere, e riflettere a fondo, prima di condannarsi alla sparizione definitiva e alla riconferma della nostra natura di "espressione geografica". Lo fa in forma sommessa, ma anche molto pregnante: "Ma c'è anche chi spera che uno strappo con la Nato ci consenta di togliere le sanzioni alla Russia, di sostenere più decisamente la causa palestinese, di aprire relazioni serie con l'Iraq e l'Iran e riesca a stabilizzare la Siria a tutto vantaggio, nostro, loro e della sicurezza internazionale. Una iniziativa del genere ci potrebbe chiudere le porte degli alleati, ma anche offrire un esempio da seguire per aggiornare l'alleanza alla nuova situazione e consentirle di tenere buoni rapporti sia con gli Stati Uniti sia con la Russia. Oppure potrebbe innescare una reazione a catena tendente alla formazione di un "blocco terzo" europeo che riequilibri i rapporti internazionali tra Usa, Russia e Cina" (p. 87).
Sogni? Forse. Ma qualcosa di molto diverso e promettente, in ogni caso, rispetto a ciò che stiamo facendo ora, vale a dire essere servi sciocchi degli Stati Uniti e "sostituti d'imposta" per la Germania, in ossequio ai cui desiderata i nostri governi devono solo dare prova di avere "capacità di sottrarre risorse alle proprie comunità per destinarle ad altri" (p. 85).
Il nostro destino servile non è un obbligo, ma una scelta delle nostre classi dirigenti attuali (e non solo attuali). Cambiare è ancora possibile, basta non accettare il "destino" servile come unico esito possibile della politica estera italiana.
Piero Visani
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