Ho sempre amato il momento degli inni nazionali prima delle manifestazioni sportive di alto livello. L'ho sempre inteso come momento di rottura in una narrazione molto codificata, una sorta di parentesi storico-polemologica in manifestazioni di crescente impianto economicistico.
Leggo le considerazioni dei media del "pensiero unico" sul fatto che questi inni sarebbero vecchi, datati, figli di epoche assai lontane dalle nostre. Li comprendo e so bene che, ad esempio, oggi si preferirebbe un inno unico per tutti gli Stati del mondo, tipo "Soldi, soldi, soldi", canzone mitica del 1962, cantata da Betty Curtis. Presto - ipotizzo - la demonìa dell'economia ci farà arrivare a tanto e sicuramente di tale canzone faranno una versione aggiornata, cantata da una band per la quale mi permetto di suggerire un nuovo nome, adattissimo: "I sodomiti"...
A me personalmente, invece, piace ascoltare questi vecchi inni, che sono saturi di sogni, speranze, illusioni, guerre, morti, sacrifici. Molti trasudano di retorica - è vero - ma è quell'insieme di sentimenti ed emozioni che ha fatto la storia delle nostre rispettive Nazioni e una parte di esso la si può ritrovare in quegli inni che - molto simbolicamente - conferiscono agli atleti la carica per affrontare con maggiore determinazione e vigore una competizione, nell'intento di vincerla.
Quegli inni ci pongono un interrogativo, anche se molti di noi non lo sanno: preferite (visto che siamo quasi al 18 giugno) il disperato attacco della Vecchia Guardia napoleonica, la sera del 18 giugno 1815, domenica, accompagnata dalle note solenni della "Marcia della Guardia Consolare a Marengo", contro l'altrettanto disperata difesa delle Guardie britanniche del Duca di Wellington, alla furtiva fuga, una volta che l'esito della terribile battaglia fu chiaro, dell'ignoto personaggio che da Waterloo galoppò ventre a terra fino ad Anversa, poi traversò la Manica in battello e infine raggiunse la Borsa di Londra in tempo per consentire a David Ricardo di guadagnare 600.000 sterline dell'epoca (una fortuna immensa) speculando sulla conoscenza del risultato dell'immane scontro?
Non ho dubbi, per quanto mi riguarda, sulla scelta di campo. Mi sento tuttora "nutrito di sangue e di sogni" e spererei di doverli coltivare e impiegare in un contesto un po' diverso da quello della democrazia totalitaria attuale, dove sogni non ne ho e non ne posso più avere, e dove il sangue lo devo sputare solo per pagare tasse che servono a nulla, se non che ad ingrassare le oscene oligarchie dominanti e a indurle a sentirsi autorizzate a farmi la morale.
Piero Visani
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