Fin da bambino, ho sempre avuto una naturale repulsione per la retorica. Non per la retorica in sé, di cui ho sempre riconosciuto il valore mitopoietico, ma per certe tirate retoriche che fioriscono innaturalmente sulla bocca di soggetti che farebbero meglio, molto meglio, a rimanere silenti. E mi è spesso capitato di essere soggetto a reprimende quando, siccome non stavano silenti loro, non stavo silente neppure io e denunciavo la totale irrealtà delle affermazioni che andavano a profferire.
Di recente, mi è capitato di far notare a un illustre relatore che le sue teorie potevano anche essere molto belle e convincenti, ma che la realtà della giustizia italiana era parecchio diversa... Mi è stata tolta la parola e io ho accettato di buon grado la decisione del moderatore, che ovviamente ha essenzialmente il compito di pararsi le terga e compiacere l'ospite, e lo ha saputo fare benissimo. Né i miei intenti erano particolarmente polemici. Mi faceva solo un po' sorridere dover ascoltare certa affermazioni meramente teoriche quando la realtà della giustizia italiana è un po' diversa ed è quella che emerge da un articolo comparso su "La Stampa" di oggi - per la verità l'ennesimo sul tema - che è intitolato: Il giudice in ritardo non scrive la sentenza. I mafiosi tornano liberi.
Sarà che io, nell'assistere a conferenze, sono particolarmente sfortunato, ma raramente mi è capitato di incontrare luminari del diritto che si soffermassero su questo aspetto così "terra terra" dell'operato della magistratura italiana, quello dei "ritardi" che mandano fior di delinquenti in prescrizione e dunque fuori dal carcere. Tutto casuale, ovviamente, frutto di circostanze sfortunate e di carichi di lavoro talmente enormi che la magistratura non riesce a gestire. Strano comunque che questi modesti infortuni "tecnici", pur se non privi di serie implicazioni, raramente siano oggetto di conferenze sulla "certezza del diritto" e che nessuno dei luminari che ci intrattiene sulla medesima abbia mai letto, neppure per sbaglio, Agatha Christie: Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova." E quando gli indizi sono decine, che fanno...?
Piero Visani
Di recente, mi è capitato di far notare a un illustre relatore che le sue teorie potevano anche essere molto belle e convincenti, ma che la realtà della giustizia italiana era parecchio diversa... Mi è stata tolta la parola e io ho accettato di buon grado la decisione del moderatore, che ovviamente ha essenzialmente il compito di pararsi le terga e compiacere l'ospite, e lo ha saputo fare benissimo. Né i miei intenti erano particolarmente polemici. Mi faceva solo un po' sorridere dover ascoltare certa affermazioni meramente teoriche quando la realtà della giustizia italiana è un po' diversa ed è quella che emerge da un articolo comparso su "La Stampa" di oggi - per la verità l'ennesimo sul tema - che è intitolato: Il giudice in ritardo non scrive la sentenza. I mafiosi tornano liberi.
Sarà che io, nell'assistere a conferenze, sono particolarmente sfortunato, ma raramente mi è capitato di incontrare luminari del diritto che si soffermassero su questo aspetto così "terra terra" dell'operato della magistratura italiana, quello dei "ritardi" che mandano fior di delinquenti in prescrizione e dunque fuori dal carcere. Tutto casuale, ovviamente, frutto di circostanze sfortunate e di carichi di lavoro talmente enormi che la magistratura non riesce a gestire. Strano comunque che questi modesti infortuni "tecnici", pur se non privi di serie implicazioni, raramente siano oggetto di conferenze sulla "certezza del diritto" e che nessuno dei luminari che ci intrattiene sulla medesima abbia mai letto, neppure per sbaglio, Agatha Christie: Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova." E quando gli indizi sono decine, che fanno...?
Piero Visani