Una volta suonava il "sì", nel "Bel Paese", ma ormai non è più così. Ora, in tutti i campi che io frequento per lavoro, è una successione ininterrotta di "no". No a questo, no a quello, no a un progetto, no a un preventivo, no a un'ipotesi, NO A TUTTO.
C'è poi una fase due: nei rarissimi casi in cui si incontra un "sì" nella fase iniziale, si va diritti incontro ad un macroscopico "no" quando si passa alla formulazione di un preventivo, per quanto risicato fino all'osso, con margini di guadagno che verrebbero schifati persino da un lumpenproletario della fine del XIX secolo. "No, troppo caro". "No, mi fanno questo lavoro ad un decimo di quello che mi chiede lei". No, no e no.
Guai poi ad avere la pessima, direi fatale idea di fare riferimento alla qualità del lavoro stesso. Quello è un accenno tombale: "E chi se ne frega della qualità? Mi faccia il lavoro, possibilmente al costo più prossimo allo zero. Tutto il resto non conta".
Sono fasi di vita interessanti, quelle nel "migliore dei mondi possibili". Direi che, in linea teorica, è davvero un mondo che istiga al suicidio, ma non è che sono tutti così fessi dal gratificare un mondo che rifiuta tutto di un duplice regalo. Si accontentino del rifiuto, il suicidio è proprio da escludere, per quanto mi riguarda. Dopo tutto, se tutti noi non faremo più niente, sai che decollo dell'economia!
Piero Visani