Un amico milanese mi telefona per farsi accreditare per la conferenza che terrò mercoledì prossimo nel capoluogo lombardo e mi dice: "Non sapevo che cosa volesse dire la parola 'polemologo', ho dovuto andare a cercarne il significato".
Rispondo: "Beh, non è parola molto nota e comunque non sono io il responsabile di cosa viene scritto negli inviti".
Lui insiste: "Ma l'hai suggerita tu?"
"Sì" - ammetto - "ma perché è un termine ampolloso per dire 'disoccupato cronico, o quasi...'".
Ride, anzi ridiamo. In effetti, in un Paese assolutamente pacifista, a cominciare dalle Forze Armate, dove potrebbe lavorare un polemologo, ammesso e per nulla concesso che io lo sia?
Poi, siccome è un ottimo amico, gli svelo l'arcano: "siccome sono sempre in guerra, non solo con gli altri ma spesso anche con me stesso, 'polemologo' è la definizione che meglio si attaglia alla mia condizione di conflitto permanente con l'universo mondo. Anche perché, appena smetto una guerra, mi viene subito il desiderio di iniziarne un'altra, così, per mero divertimento, per sottrarmi al tedio esistenziale. Dunque probabilmente saprò poco o nulla di polemologia, ma di guerre ne ho combattute molte e vorrei continuare, per quanto possibile...".
Il mio interlocutore sogghigna. Mi conosce da molti anni e sa che, in me, la distinzione tra serio e faceto è rovesciata: chiamo faceto il serio e serio il faceto, se no non riesco a vivere. E poi, se non amassi e studiassi i conflitti, con tutti quelli che ho dovuto combattere, in ogni campo, sarei già mille volte morto. E invece sono qui, a farmi forza, a cercare di combatterne un altro, anzi molti altri, visto che non mi va mai di mollare. Con un solo obiettivo, non propriamente esaltante per i più, ma alquanto stimolante per me: quello di requiescere in bello...
Piero Visani