Nel lontano 1997, vidi un film di Alan J. Pakula, L'ombra del diavolo, con Brad Pitt e Harrison Ford. Lo vidi perché riguardava i Troubles in Irlanda del Nord e credo di aver visto il maggior numero di film possibili, sul tema.
Non ero più giovane, avevo già 47 anni, ma quando lo vidi, fui colpito dalla vicenda del protagonista - un Brad Pitt ancora bambino, dunque interpretato da un altro attore - che, mentre è a cena a casa, si vede uccidere il padre davanti agli occhi, da un estremista unionista o forse da un qualche soldato del SAS (Special Air Service) britannico.
Con un salto logico assolutamente comprensibile, dopo qualche anno ritroviamo il giovane Brad Pitt come militante dell'IRA, impegnato a combattere gli inglesi nelle strade di Belfast. A quel punto, mi chiesi non solo se quell'assassinio, compiuto davanti ai suoi occhi di bambino, fosse la ragione della sua presenza nelle file dell'IRA, ma mi sentii profondamente sollecitato a dare una risposta all'interrogativo che mi premeva di più: che cosa avrei fatto io, al suo posto, se mi fossi trovato in una disgraziatissima circostanza analoga?
Quel quesito mi è tornato in mente in questi giorni in seguito alla vicenda di Vasto; vicenda per la quale è stato tirato in ballo di tutto, dalla patetica inefficienza della giustizia ai "giustizieri della notte". Ho scritto appena un piccolo commento, perché a mio giudizio è molto errato dare di queste vicende una lettura collettiva. A mio parere è valida solo una lettura individuale. Ti uccidono un padre per motivi politici, una moglie per totale disattenzione e spregio delle regole di convivenza civile (e del codice stradale) e tu, che ne sei vittima, sai bene che nessun colpevole di questi atti spregevoli sarà mai punito adeguatamente. Allora ti chiedi che cosa devi fare e la risposta è assolutamente semplice: devi restituire in forma eguale il dolore che ti è stato procurato. Nessuno ti aiuterà mai a farlo, ma per te è un imperativo categorico. Non sarà la giustizia degli uomini, ma di quella - a te - non può importare di meno: non la conosci, non l'hai mai provata e non ti interessa. Devi solo mettere i conti in pari. Tutto qui.
Ovviamente mi immagino già gli alti lai, il riferimento alle norme del diritto, alla patria di Cesare Beccaria etc. etc. etc. Capisco bene, ma non mi interessa. Ho subito un vulnus gravissimo a livello individuale e a quel livello sono fermamente deciso a rispondere. Sono stato privato deliberatamente della possibilità di sorridere ancora, nella mia vita, ergo farò in modo che chi mi ha privato di tale possibilità non la possa godere a propria volta. E' un fatto individuale, non collettivo. Per questo apprezzo anche molto che lo sparatore abbia portato la pistola sulla tomba della moglie e poi si sia consegnato alla polizia: il primo è un gesto rituale di straordinaria bellezza, un omaggio all'amore di una vita; il secondo è un qualcosa che va fatto, perché non c'è nulla da cui fuggire o a cui sottrarsi. Ho rimesso i conti a posto, fine della storia.
All'inizio degli anni Settanta, mentre ritornavo in auto nella mia abitazione torinese, venni quasi urtato da due giovinastri in motoretta, che non avevano dato uno stop. Feci un semplice gesto di disappunto (non offensivo o di scherno o insultante, di disappunto) e i due scesero dalla motoretta e cominciarono ad infierire a calci sulla mia auto, procurandole non pochi danni alla carrozzeria. Rimisi in moto e cercai di investirli, ma si dileguarono.
Tornai a casa alquanto alterato e raccontai la cosa a mio padre. Uomo mite, ma romagnolo purosangue, convenne con me che la situazione andava sistemata subito. Prese la sua pistola (regolarmente denunciata e con tanto di regolare porto d'armi) e uscimmo per le vie del quartiere, dato che a me parevano dei giovinastri che avevo già visto altre volte.
Li trovammo in un luna park non troppo distante, dopo un'attenta perlustrazione del territorio. Io andai diritto verso di loro (che non ci avevano visto arrivare), mentre mio padre fece un ampio giro in modo da piombare loro alle spalle. Non appena i due mi videro, constatando che ero solo, si fecero subito avanti, sbeffeggiandomi e chiedendomi con scherno come fosse ridotta l'auto, pronti a passare a vie di fatto. Solo che proprio in quel momento arrivò alle loro spalle mio padre, che con poche affermazioni forti li indusse subito a calmarsi. Cercarono di chiamare sodali in loro supporto, ma fortuna volle che non ve ne fossero o non volessero immischiarsi. Mio padre si preoccupò comunque di precisare che, nel caso, non era disarmato e, affinché non apparisse una millanteria, fece comparire dalla giacca la sua Beretta 7,65. I bollenti spiriti dei due si calmarono rapidamente. Visto che abitavano nel quartiere, mio padre si preoccupò solo di precisare loro che, per il futuro, a me e alla mia auto non sarebbe dovuto capitare assolutamente niente, altrimenti la nostra reazione sarebbe stata molto pesante.
I due diedero prova di capire e non si fecero più vivi, e i danni alla mia auto, alla fine, furono coperti dall'assicurazione contro gli atti vandalici.
Tornando a casa, mio padre mi diede un insegnamento che non ho mai dimenticato e che probabilmente si pone all'origine del mio interesse professionale per la comunicazione: "ricordati che il linguaggio che usi deve essere sempre adattato alle circostanze e alle persone con cui ti relazioni. Con i violenti, ricordati di ciò che comprendono meglio..."
Tutto questo per dire che, se ti privano di una vita a te molto cara, hai tutto il diritto di andare a farti le tue ragioni, quali che siano. Un tuo caro la condanna a morte l'ha già subita e a te ne è stata comminata un'altra, anche peggiore e più dolorosa, perché destinata non ad esaurirsi in brevi istanti, ma durare una vita. A quel punto, maturi a livello individuale dei diritti che non appartengono alla giustizia, né umana né divina (per chi ci crede), ma semplicemente al terzo principio della dinamica. Mi immagino che Cesare Beccaria non sarà d'accordo (e con lui tanti altri). Se ne farà (se ne faranno) una ragione.
Piero Visani