Ci sono persone la cui vita scorre tangenzialmente alla nostra, prossima, anche se non necessariamente vicina. Ci sono persone con cui ci si sarebbe potuti dire di più ma in fondo anche quel che si è detto è bastato: è bastato per capirsi, per condividere scelte di vita, per fissare fuggevolmente sguardi e ritrovarseli invece scolpiti nell'anima, per decenni, per un'esistenza intera.
Conobbi Giorgio Ballario, se ricordo bene, quando era ancora studente del mio stesso Liceo classico, il "Massimo d'Azeglio" di Torino, anche se io ne ero già uscito da parecchio. Era da poco partita l'avventura della Nuova Destra e Giorgio fu uno dei non tantissimi che a Torino, nella Torino pateticamente missina delle sezioni catacombali e dei saluti romani, ebbe il coraggio di credervi. Da allora, insieme ad Augusto Grandi, fu mio compagno di esperienze per un lungo periodo, almeno fino alla genesi di Alleanza Nazionale e poi alla mia fuoriuscita (1996) da quel partito.
Credo di avere sempre avuto una sottile analogia caratteriale con Giorgio, specialmente per quanto concerne l'indole apparentemente riflessiva. Con il tempo, i nostri contatti si sono parzialmente diradati, ma siamo rimasti "fratelli nella notte", fratelli nella notte nera di questa orribile esistenza che ci è toccato vivere.
Ho seguito la sua crescita come scrittore, dalla trilogia del Maggiore Morosini in avanti e, sebbene io non sia un grande lettore di romanzi e tanto meno di "noir", ho subito intuito le sue indubbie qualità autoriali, le stesse che ho ritrovato - direi addirittura cresciute - in questa sua Vita spericolata di Albert Spaggiari, Idrovolante Edizioni, 2016, 306 pp, 15 Euro.
Preceduto da una brillante prefazione di Stenio Solinas, il libro mi è parso un felice esperimento di giornalismo d'inchiesta, dal quale emerge tutta la lunga esperienza lavorativa di Giorgio come cronista del quotidiano torinese "La Stampa". Con stile asciutto ma non arido, attento a una molteplicità di particolari, l'Autore segue la complessa bibliografia di Albert Spaggiari, dai tempi del servizio militare alla militanza nell'OAS, dal colpo del secolo a Nizza alla ardimentosa evasione, delineandone la figura come quella di un soggetto veramente a metà tra Arsenio Lupin e Rocambole, senza mai innamorarsi del personaggio - come capita sovente ai biografi - ma cercando di carpire i segreti di un uomo assai amante, a modo suo, del lato ludico dell'esistenza, capace di non prendersi mai troppo sul serio ma, al tempo stesso, narcisisticamente attaccato alla costruzione di un proprio mito esistenziale.
Discreto conoscitore della Costa Azzura, quale sono, ho visto uscire vividamente i luoghi dalla penna puntuale di Giorgio, mentre Albert Spaggiari portava a termine le sue imprese "senza odio, senza violenza e senza armi". Immerso come sono nella crudele alba di questo nuovo millennio, confesso che questo è il lato caratteriale e comportamentale di Spaggiari che mi sono sentito di condividere di meno. Al suo posto, probabilmente mi sarei comportato molto diversamente, ma forse quella era ancora un'epoca dove era possibile comportarsi con maggiore stile ed eleganza, con animo ilare e burlone, animo che purtroppo io temo di aver perduto da tempo, e per sempre.
In definitiva, una lettura davvero appassionante, che ho fatto mia nel giro di poche serate, vagamente scettico all'inizio (come ho detto, il genere non mi appassiona più di tanto), ma poi trascinato da una capacità di scrittura assolutamente ragguardevole. Ho pensato a Giorgio, leggendo le pagine del suo libro, e me lo sono visto descriverle a voce esattamente come ha fatto per iscritto. Mi piacciono gli autori, e gli amici, che sanno avere questa capacità di fascinazione scrittoriale e individuale. Giorgio le ha sempre avute, entrambe.
Piero Visani