Una sera d'inverno, sul finire degli anni Sessanta. La bambina è vestita abbastanza pesante, seduta su un divano, o forse sul suo lettino. La postura è molto peculiare, tipica di chi dedica molto tempo e molta attenzione alla lettura. In realtà, la piccola potrà avere forse quattro anni e, per quanto precoce, sicuramente non sa ancora leggere; tuttavia, sfoglia con attenzione un libro, probabilmente per guardarne le figure.
E' intenta, assorta. Qualcosa, presente nel suo animo fin dalla nascita, le fa vedere le cose più lucidamente di altri che pure hanno molti più anni di lei e, dentro quel corpicino appena abbozzato, alberga una mente vivida, attenta a tutto ciò che le accade intorno e a tutte le forti emozioni che si sviluppano dentro di sé.
Sta guardando le figure con grande attenzione, assorta nei suoi pensieri, che in parte sono infantili e in parte sono già da adulta, da persona che è consapevole di avere una propria sfera e desidera difenderla da possibili intromissioni..
Qualcuno le si avvicina, forse di soppiatto, e la fotografa senza averle chiesto il permesso, violando la sua privatezza, la sua dimensione identitaria. Gli scatti devono essere numerosi, perché lo sguardo della bambina non è di sorpresa, ma di fastidio profondo.
Una delle foto fissa sulla pellicola uno sguardo carico di fastidio e dominato da un interrogativo: "perché stai violando la mia privacy, per quale ragione lo fai? Perché mi disturbi, perché non mi lasci in pace?".
Lo sguardo è severo, carico di irritazione e rimprovero per un senso di intimità violata, e l'osservatore esterno è colpito dalla tristezza e al tempo stesso dalla rabbia che traspaiono da quegli occhi, che sono molto di più che inquisitori, sono la più inappellabile delle condanne.
In verità, la piccola è un leone in gabbia e, molto più matura della sua età, deplora e in fondo disprezza chi la sta sottoponendo a quel trattamento, perché ella sa che "così non si fa!".
Ho visto questa foto forse mezzo secolo dopo che è stata scattata e ho riconosciuto subito quegli occhi, sono stato oggetto di quegli sguardi, talvolta addirittura di quella stessa riprovazione. Ho capito in breve che quella bambina - ora non più tale - appartiene alla ristretta categoria degli (un)happy few, di coloro che sanno e capiscono molto, molto di più dei loro simili, e sono immersi nelle miserie del mondo chiedendosi spesso come potervi sfuggire. Conosco la loro tristezza, che è la mia. Condivido la loro furia silente, che ugualmente mi appartiene. Cerco di portare loro gioia, come loro ne portano a me, perché apparteniamo alla medesima genia e ci riconosciamo in fretta come alieni. Siamo viandanti nel deserto del mondo, che vorremmo fosse molto diverso da come è. Siamo "fratelli nella notte", timidi e al tempo stesso solidi portatori di luce. Ci riconosciamo subito e, se siamo intelligenti, ci consoliamo a vicenda. E' tutto quello che possiamo fare. Siamo consapevoli abitatori dell'orrore, in mezzo a tanti inconsapevoli. Questo è il nostro inscindibile vincolo.
Piero Visani