A cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta, quando venne definito e organizzato l'attuale modello di "Stato sociale" (e solo il pronunciare l'aggettivo, relativamente alla situazione italiana odierna, mi coglie un'irrefrenabile ilarità), mio padre - che non era certo ricco o di destra, ma aveva una profondissima conoscenza del mondo del lavoro, visto che aveva cominciato a lavorare a soli 14 anni - era solito scuotere tristemente il capo e sostenere che, con quel tipo di legislazione, saremmo andati avanti una generazione o due, poi il sistema sarebbe imploso. Lo conferma oggi il Censis, con le sue fosche ma realistiche previsioni sul futuro pensionistico della "generazione dei mille euro".
All'epoca, il problema mi interessava poco o punto, visto che sono sempre stato intriso di spirito imprenditoriale e il lavoro dipendente mi terrorizzava.
Oggi, dopo aver visto quello che ho visto - cioè il totale fallimento di un sistema - sono contento di aver fatto le scelte che ho fatto, ma soprattutto voglio tributare un omaggio postumo a mio padre, che era un uomo profondamente buono, ma di cui, narciso e arrogante come sono, non ho mai apprezzato le doti intellettuali.
Aveva capito tutto, fin dall'inizio, e mi fa piacere dirglielo: una generazione e mezza ha (vagamente) ballato, le successive sconteranno a lungo quella pseudo-danza.
Grazie papà di avermi lasciato fare tutto, ma proprio tutto, di testa mia. Mi hai salvato.
Piero Visani