Dicembre 1971, penso il 13 o il 14. Mia sorella mi invita a vedere la casa che ha appena acquistato, dalle parti di Courmayeur. Ho giusto concluso di dare i miei esami universitari di dicembre, per cui accetto. Devono venire operai a fare dei lavori nell'appartamento e la giornata è splendida e solatia.
Si parte di buon mattino, con la Mini Minor blu di lei. Viaggio tranquillo e, poco dopo metà mattina, siamo a Pré Saint-Didier.
Arrivano gli operai e fanno alcuni lavoretti. Poi sopraggiungono gli addetti di un'azienda a portarle la cucina. Non sono cose che mi interessino particolarmente, ma assisto all'installazione.
Tutti questi lavori finiscono nel primo pomeriggio. Ci ritagliamo un po' di tempo per prendere un toast in un bar e inizia il viaggio di ritorno verso Torino. La giornata è splendida, non c'è una nuvola in cielo.
Superiamo Aosta e scendiamo verso la parte bassa della Valle. A Verrés, da poco entrati in autostrada, ci attende una spiacevole sorpresa: una nebbia fittissima, come mai ne avevo vista e mai più ne vedrò nei 45 anni successivi della mia vita. Un mare lattiginoso, dove è difficile anche solo distinguere le altre auto, e non ce ne sono molte, sull'autostrada, a quell'ora del pomeriggio.
Mia sorella dapprima si inquieta, poi si spaventa di brutto. Procediamo a bassa velocità (meno di 50 km all'ora), ma, effettivamente, in quel mare di nebbia mancano totalmente i punti di riferimento.
Decidiamo di provare ad abbassare un finestrino, di modo che io, guardando da fuori, possa interagire con lei e contribuire a guidarla.
All'altezza di Ivrea, la situazione si fa particolarmente difficile: si vede davvero pochissimo. Mia sorella ha una crisi di nervi: si mette a urlare, a piangere, a dire che non ce la fa più a guidare e ad andare avanti.
Se c'è una cosa che, già a 21 anni non sopportavo, sono le piazzate, quelle manifestazioni penose di energia malriposta con cui quelli che all'epoca consideravo ancora i miei compatrioti evidenziano tutta la loro incapacità di gestire le crisi. Dunque per un po' la lascio sfogare, poi, convinto come sono che - in tutte le cose - per "uscire fuori" devi prima "andare dentro", applico quella che già allora era - ed è rimasta -la mia ricetta comportamentale preferita: la persuasione affidata alle mani. A fronte di questa irritante crisi di nervi, le affibbio uno schiaffone sulla guancia. Mia sorella ha otto anni più di me, dunque all'epoca ne aveva 29, ma non sono femminista e non ho mai visto molte femmine davvero lucide, fredde e capaci nella gestione delle crisi. Molte si fanno prendere dall'emotività e mia sorella, quel giorno, non è da meno. Del resto - penso sogghignando - è una che al cinema piange e la considerazione mi riempie di disprezzo.
La super-alapa che le rifilo, ben affibiata, ottiene l'effetto voluto e mia sorella mi guarda tra lo stupito e il sollevato, ma smette di frignare. "Lascia che guidi io!", dico con un tono che non ammette repliche. "Accosta e lasciami prendere il volante". Ubbidisce prontamente.
Prendo la guida. Non vedo granché, per non parlare del fatto che io già all'epoca ero molto miope (per quanto corretto) e lei no. Ma non mi va di darla vinta a nessuno, tanto meno alla nebbia, per non parlare del fatto che, ogni volta che c'è un ostacolo che si frappone sulla mia strada, tendo a spazzarlo via e che, durante i temporali, non sono uno di quelli che si fermano sotto i cavalcavia. Io vado sempre dentro, sempre avanti, che piaccia o no. La mia "volontà di potenza" deve trionfare su qualsiasi cosa, altrimenti mi farei schifo. E mi prende un'allegria adrenalinica molto particolare. Ho paura, come tutti, ma non la do vinta a chi mi vorrebbe sconfiggere. Io vado fino in fondo. E' una sfida e penso che la vincerò; ma, se non dovessi, nessuno potrà dire che non ho raccolto il guanto che mi veniva lanciato.
Ci sobbarchiamo una ventina di chilometri nella nebbia più totale. Guido sporgendo spesso la testa dal finestrino, per vedere meglio. Ma questo superomistico "trionfo della volontà" ha su di me un effetto tra l'eccitante e l'orgasmico, che diventa orgiastico man mano che mi accorgo che, avvicinandomi a Torino, la nebbia comincia lentamente a sollevarsi, a darmi la possibilità di vedere qualcosa di più.
Quando arriviamo alla periferia di Torino, la gioia che mi prende è rara. Sono convinto di aver vissuto un'esperienza importante e che segnerà la mia esistenza successiva: sempre andare fino in fondo, anche a costo di andare a fondo. Sono stato subissato di critiche, per questo; molte persone si sono allontanate da me, ma io ricordo quella giornata di nebbia del dicembre 1971 come una giornata particolare, una giornata in cui l'idea di me, la concezione teorica che avevo della mia identità e del mio stare al mondo, è diventata una pratica precisa. Per questo, la ricordo con molto amore, come la classica giornata del "diventa ciò che sei".
Piero Visani