Il buon vicinato è un dramma, un dramma esistenziale nel quale, se si incorre, è difficilissimo porre rimedio.
A 28 anni, appena sposato, andai ad abitare in un piccolo e grazioso condominio della collina torinese, dove mia moglie ed io avevamo acquistato - con il decisivo aiuto delle rispettive famiglie - un piccolo appartamento. Ci vollero pochi mesi per capire che eravamo finiti in uno stabile che era una via di mezzo tra uno zoo a cielo aperto (non so quanti fossero, infatti, i cani e i gatti che popolavano quell'infelice palazzina) e una discoteca collinare, animata da musiche e schiamazzi a tutte le ore della notte. Dormire era un optional e, a fronte delle nostre rimostranze nei riguardi di un andazzo ben consolidato, dopo qualche invito a tacere per il nostro bene e qualche "lezione" (tipo lasciarci un cane ad abbaiare tutta la notte al piano di sopra), ci fu il salto di qualità: circa 3 chili di zucchero introdotti casualmente nel serbatoio della mia auto, da me scoperti prima di accendere il motore solo perché, in tema di guerra rivoluzionaria, non ho da imparare nulla da un vicino...
Ebbe così inizio un conflitto durato esattamente 24 anni, con alti e bassi, notti insonni, azioni e reazioni, attacchi e rappresaglie. Una bella scuola di vita, devo dire. La vittima designata ero io, ma sfortuna volle, per i miei vicini, che fossi un esperto di guerra asimmetrica ante litteram, un attento lettore dei più diffusi manuali di guerriglia urbana dell'epoca e un convinto assertore del fatto che, in un'epoca di conflittualità totale, la neutralizzazione dello scontro primario - che talvolta dava origine ad armistizi più o meno lunghi o si svolgeva nelle aule dei tribunali - non impediva minimamente lo svolgimento di uno o più scontri secondari, una vera e propria war by proxies, dove si potevano verificare notevoli atti di violenza, ovviamente non riconducibili ad alcuno dei contendenti...
Ho imparato molto in quei lunghissimi anni di guerriglia condominiale, sono stati la mia personale Irlanda del Nord, i miei interminabili Troubles. Ma una cosa hanno imparato anche i miei cari vicini e cioè che, se scendi in guerra, devi ricordarti che non necessariamente il tuo nemico combatterà alle regole che cercherai di imporgli. E che potrebbe anche non essere un dilettante, ma un professionista del conflitto...
Non sono uscito vincitore da quella guerra, non avrei potuto pretendere tanto, vista la sproporzione di forze, ma ho reso la vita dei miei vicini un inferno, esattamente come loro - con estrema disinvoltura - avevano reso tale la mia. Se non ho fatto la fine di Olindo Romano e Rosa Bazzi, è solo perché sono stato più accorto di loro, attento a fare danno, molto danno, ma a non compiere mai atti che potessero ritorcersi contro di me e pormi dalla parte del torto. Ho solo evitato di subire passivamente e ho elevato potentemente i livelli di conflittualità, così che chi pensava di poter solo attaccare, stante la sua schiacciante superiorità, ha dovuto anche pensare a difendersi ed a leccarsi un discreto numero di ferite. La mia guerra l'ho fatta bene e, nel momento in cui ho cominciato ad essere temuto, sono stato più odiato, ma meno vulnerato.
La situazione si era già stabilizzata accettabilmente quando mi è capitata l'opportunità di vendere quell'appartamento che ricordo come un incubo e così ho potuto fare una scelta di vita che attendevo da tempo: andare a vivere da solo, in una casa relativamente isolata, dove nessun vicino viene a rompere le scatole. Al suo interno, posso applicare la regola che a me piace, quel "vivi e lascia morire" che sembra crudele, a prima vista, ma che lo è molto di meno di quel "vivi e cerca di far morire" che i miei buoni vicini hanno, per un quasi un quarto di secolo, cercato di applicare a me.
Per essere molto franco e venire alla recente frase papale, se a me nelle mie notti bianche fosse capitato di sentire urla raccapriccianti provenire dagli appartamenti dei miei vicini, mi sarei girato dall'altra parte, le avrei lasciate cessare e con i miei familiari avrei goduto la mia prima notte di quiete. E, se avessi avuto un gatto, come ho ora, lo avrei accarezzato e apprezzato, lui, sempre così silente...
Piero Visani