giovedì 2 aprile 2015

Confederati e... schiavisti

       Uno delle più grandi e al tempo stesso più consolidate fole sugli Stati Confederati d'America (1861-1865) è che questi fossero un concentrato di sadici schiavisti, impegnati a conculcare i poveri neri per il semplice gusto di farlo. Nessuna considerazione per l'economia di quelle zone, per il fatto che la medesima era in rapida trasformazione, quanto meno in aree come ad esempio la Virginia, dove la crescente industrializzazione stava portando molti proprietari a trasferirsi dall'economia schiavista a forme più moderne e redditizie di produzione.
       La schiavitù, in effetti, faceva comodo agli unionisti a livello di immagine e il demerito principale dei confederati fu certamente quello di non averlo compreso per tempo e non aver tentato di porvi rimedio con iniziative adeguate. Quanto ai neri, scoprirono a loro spese, nel dopoguerra, che fare gli schiavi in Alabama non era molto diverso dal fare i liberi a Detroit, in termini di sfruttamento, ma questa è un'altra storia.
         Non è comunque del passato che intendo parlare, ma di quella "società del benessere" che Renzi, Farinetti, Poletti e compagnia cantante ci stanno procurando. Una società dove si possono spendere da 35 euro al giorno in su per gli immigrati (ben sapendo quali enormi proventi alle cooperative, spesso e volentieri legate a doppio filo al PD, stanno dietro a questo gigantesco business), ma dove il lavoratore medio può guadagnare dai 3,5 ai 5,5 euro in media all'ora e procurarsi in tal modo "una vita indimenticabile" (se da sogno o da incubo lo lascio valutare a voi...).
       Opprimere i popoli è un tratto costante della politica, da che mondo è mondo, ma l'aspetto francamente intollerabile della politica attuale è che essa pretende di spacciare come giusta la più terribile delle iniquità, il far ritornare indietro di decenni la condizione umana, il costringere tutto un popolo - e soprattutto le sue classi giovanili - a una vita di autentica schiavitù.
       Solo 150 anni fa, lo schiavismo della Confederazione sudista venne abbattuto da coloro che oggi se ne fanno gli (ovviamente taciti) epigoni: purtroppo il "mercato" non consente di fare di più e - siccome dobbiamo essere competitivi con il resto del mondo, ora tocca anche ai nostri giovani una ciotola di riso. Non era difficile capire - già parecchio tempo fa - che sarebbe finita esattamente così, ma gli italiani non amano le previsioni fondate, preferiscono "i domani che cantano" (i gospel...) e "le capanne dello zio Oscar" (Farinetti), quelle in cui si è fatto rinchiudere - da brava pecora qual è - un intero popolo.
       Ora attendo fiducioso il passo successivo, quello in cui i "generali del PD" chiederanno al popolo stesso come sia il rancio (sapendo bene che è da Cloaca massima) e si riceveranno la risposta italica di sempre: "ottimo e abbondante, signor generale!". Perché lo schiavismo - come è facile arguire - non è un luogo geografico ma un luogo dell'anima, popolato da quanti desiderano schiavizzare il prossimo e da quanti amano farsi schiavizzare, perché ciò è conforme alle loro pulsioni (sessuali e no) più segrete.
      Il proprietario di piantagioni che fa schioccare la frusta piace molto - evidentemente - agli italiani attuali, che vedono in lui il "correttore" che distruggerà la loro vita per sempre, l'autore di un forse sempre troppo a lungo atteso "cupio dissolvi". Whipper raffinato, costui dimostrerà loro - con un sorriso mefistofelico - che in realtà stanno godendo e, a quei pochi che supereranno tale selezione dando prova di grande robustezza fisica, potrà sempre promettere di fargli fare il "mandingo" con qualche puttana di regime. Potrebbe bastare: anche la schiavitù, se raccontata con buone capacità di storytelling (che ai venditori di fumo non mancano mai), può diventare una vicenda di successo. Tutto dipende, del resto, in quale collocazione socioeconomica la si vive...

                                      Piero Visani