mercoledì 8 aprile 2015

La candidatura di Rand Paul

      Nella vita, le idee politiche di una persona possono cambiare. Le mie sono cambiate nel momento in cui ho compreso chi attentasse più da vicino alla mia felicità, chi volesse realmente il mio male, la decadenza del mio livello di vita, l'uccisione delle mie speranze e dei miei sogni. Ho individuato quel nemico nello Stato e nella burocrazia, e - da allora - è battaglia aperta.
       Ho subito accuse di vario genere, ma non me ne importa alcunché, anche perché - e questo va onestamente riconosciuto - della triade Dio, Patria e Famiglia mi sono sempre fatto beffa, visto che NON sono nato conservatore, ma futurista/marinettian/d'annunziano/iconoclasta/ateissimo, anarchico, individualista e sperimentatore di tutto ciò che potesse interessarmi, qualsiasi cosa fosse.
       Della famiglia Paul - il Padre Ron e il figlio Rand - amo moltissimo la denuncia dei comportamenti abietti che si nascondono dietro la copertura della Stato; il fatto che l'interesse pubblico (che è naturalmente contrario alla natura del 99,9% degli umani, quanto meno di quelli che ho avuto la ventura di conoscere io, che tiravano sempre e solo a quello privato, il loro...) sia una fola inventata per meglio fregare il prossimo e per coprire le peggiori malefatte di chi dice di farlo al solo e unico scopo di arricchire il proprio patrimonio privato, non esitando anche ad usare vigliaccamente la leva fiscale pur di colpire chi ostacola i suoi piani.
       Credo che la decisione di Rand Paul di scendere in campo per candidarsi al ticket repubblicano alla presidenza, non possa certo essere considerata un toccasana, ma incarni alcune delle migliori peculiarità degli Stati Uniti, Paese ricco di macroscopici difetti, ma la cui storia mi ha sempre molto interessato.
        C'è una tradizione libertaria, negli Stati Uniti, che mi è molto cara e che si è sempre incarnata nella più radicale ostilità al potere centrale, visto come il concentrato dei peggiori mali (tale del resto è), e a tutte le forme di oppressione delle libertà e dei diritti dell'individuo.
       Personalmente - in quanto europeo - non penso che la tradizione statalista sia da respingere in blocco, poiché in linea teorica è ricca di notevoli elementi positivi. Tuttavia, l'esperienza mi ha insegnato che lo statalismo "è il primo rifugio delle canaglie", (l'ultimo - come sapete - è il patriottismo, non a caso nell'Italia attuale siamo pieni di canaglie stataliste, patriote e guerrafondaie), il primo dove vanno a insediarsi coloro che, in nome di un preteso e mai applicato interesse comune, cercano solo di tirare l'acqua al proprio mulino e di farsi i loro peggiori affari, a scapito della collettività. E le "anime belle"ci credono... e ci cascano. Così, stanco di credere a quelli che promettono "i domani che cantano", da qualche anno mi limito a guardare con simpatia coloro che evidenziano le tonnellate di guano il cui lo statalismo ci ha immersi (il guano è l'unica cosa abbondante che il mio occhio "realpolitico" riesce a vedere nel mondo attuale). Non portano avanti grandi ricette, ma potrebbero aiutarmi a togliermi dalla schiena la carogna statalista che ci grava sopra. Per me, per la collezione autunno/inverno della mia esistenza, basta e avanza.

                                Piero Visani*




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