lunedì 20 aprile 2015

Suicidi e suicidati

       L'atteggiamento di cui i soggetti afflitti da demonìa dell'economia danno prova di fronte ai drammi della vita risulta francamente disturbante: per coloro che ritengono che denaro, banca, finanza, commercio e merce siano le uniche cose che hanno valore, all'interno della vita (vita...?) degli uomini, tutto ciò che esula da questa visione francamente oscena appare un elemento di turbativa.
       E' sufficiente un semplice esempio, per chiarire il concetto: il fatto che la Grecia non riesca a pagare i propri debiti con le banche e le varie istituzioni internazionali è per loro un atteggiamento francamente immorale, prima ancora che inaccettabile, perché il denaro è la loro unica morale. Tutti i drammi umani, esistenziali e anche patrimoniali che possono essere connessi a tale constatazione non li toccano minimamente, perché il loro metro di misura è solo il denaro.
       La sensibilità che costoro mostrano nei confronti di altri popoli, maggiormente in difficoltà, o delle centinaia di migliaia di disperati che si stanno riversando sulle coste italiane, è pari a molto meno di zero. Quell'Italia da cui si pretende ogni tipo di esibizione di virtù finanziaria, diventa quantité négligéable se le sue istituzioni e buona parte della sua popolazione si prodigano per aiutare soggetti che palesemente hanno bisogno di aiuto.
        Di fronte a un dramma epocale (non vogliamo qui toccare la importantissima questione di come tale dramma sia stato creato), le istituzioni europee semplicemente se ne fregano, dando prova del disinteresse più assoluto. La questione umana, gli aspetti UMANI, non sono problema loro. il che - a mio giudizio - è assolutamente comprensibile, perché, per loro, l'unico problema sono i soldi. Tutto il resto non conta: non hai i soldi per pagare i tuoi debiti, suicidati pure; non hai il denaro per onorare debiti che, spesso, non si sono generati neppure in maniera chiara: crepa pure nel tuo brodo, basta che noi possiamo sequestrare il tuo patrimonio (se l'hai), le tue aziende (se ne hai), la tua casa (se l'hai).
       E' una gigantesca lezione di morale, quella che ci viene impartita. Sarei tentato di dire, "di morale capitalista". Tuttavia, siccome sono consapevole del fatto che la cosa può non risultare condivisa da molti, scriverò allora che siamo di fronte alla più terribile degenerazione del rapporto tra banca, finanza e concezione economicistica dell'esistenza.
       Si tratta di un rapporto che ha già prodotto disastri, in passato, ma si avvia a produrne ancora di più in futuro e basta vedere come esso abbia ridotto l'Europa dopo la fine della "Guerra Fredda" per capire a quali tragici esiti ci stia portando: gente che si suicida per aver perso ogni speranza di vita e di lavoro; gente che annega nel Mediterraneo perché sono state avviate politiche di cieco sfruttamento o di miope cinismo, e si è ben lieti che il costo lo paghino Paesi privi di una classe politica degna di questo nome.
       Tuttavia, non commettiamo l'errore tragico di prendercela con i migranti. Certo, oggi loro sono le vittime, annegano a migliaia nelle acque del Mediterraneo. Ma le prossime vittime siamo già noi: quelli che non ce la fanno più e si suicidano; quelli che accettano di combattere scioccamente guerre fra poveri; quelli che pensano che noi italiani siamo ancora parte del "Primo Mondo", mentre già siamo da tempo "Terzo Mondo" e dovremmo ricercare solo ed esclusivamente, per il nostro futuro, la solidarietà con gli underdog di tutta la Terra, perché è solo quella che ci potrà salvare. Altrimenti, i migranti sono attesi da un naufragio concreto, noi da un naufragio metaforico: due forme di naufragio, ma sempre naufragio.
       Resta vera e viva l'intuizione di sempre: è molto meglio essere i primi degli ultimi che gli ultimi dei primi (e non mi riferisco ovviamente solo all'Italia, poiché le dimensioni nazionali ormai sono pateticamente insufficienti): saremo odiati, ma non snobbati o derisi o conculcati. E avremmo delle carte da giocare. Per morire, magari, ma in piedi, non da servi.

                                           Piero Visani