sabato 6 settembre 2014

Borodino (7 settembre 1812)

       Il 7 settembre 1812,esattamente 202 anni fa domani, la Grande Armée napoleonica, che aveva iniziato il suo attacco alla Russia nel precedente mese di giugno, si scontrò con l'esercito russo - guidato dal generale Kutusov - nella località di Borodino, non distante da Mosca.
       Si trattò di un terribile scontro frontale, nel quale risultarono coinvolti, in totale, oltre 250.000 uomini e che costò a entrambe gli eserciti circa un terzo dei loro effettivi tra morti, feriti, dispersi e prigionieri.
       Restano forti dubbi, tra gli storici, sulla decisione di Napoleone di impegnarsi in un oneroso attacco frontale contro le truppe russe, ben trincerate. E' possibile che egli cercasse di distruggere l'esercito russo e poi di entrare nella vicina Mosca, ciò che pensava avrebbe segnato la fine della campagna, prima dell'arrivo dell'autunno e del temuto inverno russo.
       Se questo era il piano, si deve dire che esso riuscì solo in parte, perché la terribile "battaglia d'incontro" ci fu, ma per i russi - che pure uscirono sconfitti, abbandonando il terreno - fu poco più distruttiva che per la Grande Armata.
       Nel momento culminante dello scontro, quando pareva che una decisiva spallata potesse sbaragliare l'esercito russo, Napoleone rifiutò di impegnare in combattimento la Guardia Imperiale, vale a dire la migliore unità a sua disposizione, che certamente avrebbe potuto colpire duramente il nemico, ma non si sarebbe conservata intatta a migliaia di chilometri dalla Francia. E Napoleone prevedeva che ne avrebbe avuto bisogno per garantire la saldezza del suo esercito dopo l'entrata in Mosca e nella possibile eventualità di doversi ritirare verso la Francia prima dei rigori invernali.
       Generazioni di storici si sono interrogate sull'opportunità di ingaggiare un terribile scontro frontale e di logoramento a tanta distanza dal cuore dell'Impero, ma occorre dire che in nessuna fase della campagna del 1812 Napoleone si dimostrò all'altezza della sua fama, sia come stratega sia come tattico. Quasi sempre, infatti, rinunciò ai vantaggi offerti dalla manovra, ricercando una guerra di attrito che giovava più al nemico di quanto non favorisse la Grande Armata.
       E' bene ricordare che nel corso della battaglia rifulsero le qualità militari delle truppe del Regno Italico, sotto la guida del viceré Eugenio di Beauharnais. A Milano, la centrale via della Moscova ricorda questa battaglia (cui i francesi diedero appunto il nome di "bataille de la Moscova").
      Questo ci consente di ricordare che quella che gli italiani non amino e non sappiano battersi è una leggenda moderna, artatamente coltivata da classi dirigenti ignave e spesso vendute ai vari nemici di turno. L'esercito del Regno Italico era considerato una delle componenti di punta della Grande Armée ed ebbe modo di dimostrarlo solo poco più di un mese dopo con il suo straordinario comportamento a Malojaroslavets (24 ottobre 1812), detta appunto "la battaglia degli Italiani", che aprì alla Grande Armée la strada del ritorno verso il cuore dell'impero.

                                Piero Visani  


Foto: BORODINO (7 settembre 1812)

Il 7 settembre 1812,esattamente 202 anni fa domani, la Grande Armée napoleonica, che aveva iniziato il suo attacco alla Russia nel precedente mese di giugno, si scontrò con l'esercito russo - guidato dal generale Kutusov - nella località di Borodino, non distante da Mosca.
Si trattò di un terribile scontro frontale, nel quale risultarono coinvolti, in totale, oltre 250.000 uomini e che costò a entrambe gli eserciti circa un terzo dei loro effettivi tra morti, feriti, dispersi e prigionieri.
Restano forti dubbi, tra gli storici, sulla decisione di Napoleone di impegnarsi in un oneroso attacco frontale contro le truppe russe, ben trincerate. E' possibile che egli cercasse di distruggere l'esercito russo e poi di entrare nella vicina Mosca, ciò che pensava avrebbe segnato la fine della campagna, prima dell'arrivo dell'autunno e del temuto inverno russo.
Se questo era il piano, si deve dire che esso riuscì solo in parte, perché la terribile "battaglia d'incontro" ci fu, ma per i russi - che pure uscirono sconfitti, abbandonando il terreno - fu poco più distruttiva che per la Grande Armata.
Nel momento culminante dello scontro, quando pareva che una decisiva spallata potesse sbaragliare l'esercito russo, Napoleone rifiutò di impegnare in combattimento la Guardia Imperiale, vale a dire la migliore unità a sua disposizione, che certamente avrebbe potuto colpire duramente il nemico, ma non si sarebbe conservata intatta a migliaia di chilometri dalla Francia. E Napoleone prevedeva che ne avrebbe avuto bisogno per garantire la saldezza del suo esercito dopo l'entrata in Mosca e nella possibile eventualità di doversi ritirare verso la Francia prima dei rigori invernali.
Generazioni di storici si sono interrogate sull'opportunità di ingaggiare un terribile scontro frontale e di logoramento a tanta distanza dal cuore dell'Impero, ma occorre dire che in nessuna fase della campagna del 1812 Napoleone si dimostrò all'altezza della sua fama, sia come stratega sia come tattico. Quasi sempre, infatti, rinunciò ai vantaggi offerti dalla manovra, ricercando una guerra di attrito che giovava più al nemico di quanto non favorisse la Grande Armata.
E' bene ricordare che nel corso della battaglia rifulsero le qualità militari delle truppe del Regno Italico, sotto la guida del viceré Eugenio di Beauharnais. A Milano, la centrale via della Moscova ricorda questa battaglia (cui i francesi diedero appunto il nome di "bataille de la Moscova").
Questo ci consente di ricordare che quella che gli italiani non amino e non sappiano battersi è una leggenda moderna, artatamente coltivata da classi dirigenti ignave e spesso vendute ai vari nemici di turno. L'esercito del Regno Italico era considerato una delle componenti di punta della Grande Armée ed ebbe modo di dimostrarlo solo poco più di un mese dopo con il suo straordinario comportamento a Malojaroslavets (24 ottobre 1812), detta appunto "la battaglia degli Italiani", che aprì alla Grande Armée la strada del ritorno verso il cuore dell'impero.

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