Arrivai a Edimburgo in un ventoso pomeriggio di inizio agosto 1974, e fu amore a prima vista. Amo le città su cui sono intervenuti, oltre che la natura e la storia, gli urbanisti (non a caso credo di essere uno dei non molti estimatori di Washington D. C.). Mi ero preparato leggendo varie guide turistiche all'abbraccio con la "Atene del Nord", ma non ero pronto a reggere la sua spettacolare bellezza, le sue simmetrie esteriori, fantastico ma irregolare riflesso delle sue asimmetrie interiori. Non conoscevo ancora la sua aria piacevolmente demodé, le strade strette, i passaggi e le scale da scoprire ad uno ad uno, dalle quali poi scendere sulla "New Town" georgiana, perfetto esempio dei miei amati interventi urbanistici.
Soprattutto, non conoscevo gli scozzesi. Reduce da anni di estati a Londra e dintorni, li immaginavo simili agli inglesi e ancora non sapevo quanto mi sbagliassi. Soprattutto, non conoscevo l'anima celtica, così affine alla mia, capace di coniugare - talvolta anche contemporaneamente - il massimo della serietà con il massimo dell'irriverenza e dello sberleffo, nonché il gusto costante per qualsiasi forma di trasgressione.
Gli scozzesi mi fecero sentire a casa e mai mi riservarono - come italiano - il trattamento non propriamente amorevole subito talvolta a Londra. Anzi, rimasto coinvolto una sera in un alterco da pub, mi spalleggiarono generosamenrte non appena si accorsero che io ero italiano, ma i miei dileggiatori erano gli "amatissimi" inglesi.
Fu un amore ricambiato, il mio, come non ne ho incontrati moltissimi nel corso della mia ormai lunga vita, ed è rimasto felice, mai scalfito, assolutamente - per quanto mi riguarda - interiore e primigenio.
Frutto di quell'amore furono scorribande cittadine sempre più vaste, un'esplorazione - a più riprese - di tutto il Paese e una serie di non infrequenti ritorni, almeno fino a che le mie attività e le mie speranze di futuro non incapparono nelle "politiche di crescita" dell'UE...
All'epoca, lo Scottish National Party (SNP) era un'accolita di personaggi assolutamente incredibili, autentiche macchiette, capaci di presentarsi in pubblico vestiti come ai tempi di Bonnie Prince Charles o di Rob Roy. Non avrei mai pensato, all'epoca, che potessero veramente diventare un serio movimento indipendentista, ma sentii molto bene - fin da allora - il peso di un nazionalismo pacato ma forte, il senso formidabile di identità, un "amore" per gli inglesi che cercava solo occasione per manifestarsi.
Sviluppai anche buone amicizie, rimaste salde nel tempo, solide come la malìa che il paesaggio scozzese ha sempre indotto nel mio animo molto romantico, molto estraneo - e consapevolmente - al suo tempo.
La Scozia, poi, ospitava molti musei della ricca tradizione militare locale, e non credo di essermene perso uno, perché l'esibito e spesso rivendicato valore guerriero è una delle chiavi di lettura dell'anima celtica, che ha una concezione allegra - direi sportiva, se poi questo aggettivo non venisse inteso come amatoriale - perfino della guerra.
Da allora amo la Scozia e il suo formidabile spirito identitario e - per qualche motivo inspiegabile, credo di natura principalmente estetico-paesaggistica - la amo di più dell'Irlanda, Paese che pure mi è carissimo e a cui ho dedicato non meno tempo e attenzione.
Non ho idea di quali saranno gli esiti della spinta indipendentista, non mi azzardo a formulare previsioni, ma sono assolutamente certo che, prima o poi, la Scozia sarà indipendente, perché tale la vuole, nel profondo del proprio animo, il suo popolo.
Infine, se c'è una cosa di cui vado fiero, fierissimo, è di aver trasmesso il mio enorme amore per questo piccolo grande popolo a mio figlio. Ho fallito in tante cose "concrete" nella mia vita, ma nel creare anime vive, in grado di condividere le mie stesse passioni, non credo di aver fallito mai.
Piero Visani
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