La
cosiddetta Belle Époque non fu uno
spensierato periodo di pace, ma una lunga preparazione allo scontro per
l’egemonia in Europa. Il velo a lutto che in quegli anni ricoprì la statua
dedicata a Strasburgo in Place de la Concorde a Parigi divenne il simbolo del
desiderio di rivincita francese e quindi della minaccia alla pace che incombeva
sull’intera Europa. Léon Gambetta, uno dei padri della Terza Repubblica,
riferendosi alla mutilazione territoriale subita dalla Francia, pronunciò
un’esortazione che era la sintesi di un programma di riarmo: “Pensiamoci
sempre, non parliamone mai”.
Mantenere
il controllo militare su immensi imperi coloniali, fortificare i confini
nazionali costantemente minacciati, addestrare, armare e nutrire eserciti di
massa pronti alla mobilitazione inghiottiva enormi risorse con buona pace
dell’opinione pubblica. In tutti i paesi europei la battaglia pacifista dei
socialisti fu pressoché solitaria. Per l’opinione pubblica borghese le spese
militari erano un imprescindibile dovere patriottico, oltreché un potente
stimolo allo sviluppo dell’economia nazionale. Nessuna nazione poteva
permettersi il lusso di rimanere indietro sul terreno delle spese militari per
non compromettere il proprio prestigio, per non correre il rischio di diventare
troppo vulnerabile e per non deprimere la propria economia. La rivalità tra le
grandi potenze da un lato ed il progresso scientifico e tecnologico dall’altro
imponevano costosi e frequenti ammodernamenti degli armamenti. Il mancato
adeguamento della spesa militare oppure una fuga di notizie riservate potevano
generare l’illusione di immediati vantaggi tattici per gli avversari. Basti
pensare che al centro dell'affaire
Dreyfus, destinato a lacerare per oltre un decennio l’opinione pubblica
francese, vi fu il trafugamento, peraltro presunto, di documenti di
trascurabile importanza, riguardanti le caratteristiche del freno idraulico
montato sui cannoni da 120 e la bozza del manuale di tiro per l’artiglieria da
campagna.
Tra
la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, la corsa agli armamenti
significò principalmente acciaio. Acciaio non solo per le baionette e le canne
rigate delle armi leggere, ma anche per le artiglierie e le corazze delle navi.
La
guerra franco-prussiana del 1870-71 aveva stabilito il netto primato del
cannone d’acciaio, che garantiva maggiore precisione ed una più lunga gittata,
rispetto al tradizionale cannone in bronzo. Per sradicare dalla mente dei
generali la convinzione di età napoleonica che l’acciaio fosse poco affidabile
ad alte temperature, rischiando di mietere più vittime tra gli artiglieri che
tra le truppe nemiche, era stata necessaria la prova dei fatti.
Nel
1844 Alfred Krupp aveva ottenuto dallo stato maggiore prussiano la
disponibilità a sperimentare un cannone da campo in acciaio. Credeva fermamente
nella sua idea innovativa e non sospettava il ventennio di indifferenza e di
rifiuti che lo attendeva.
Nel
1826, quando era appena adolescente, aveva ricevuto in eredità dal padre,
Friedrich, una fonderia sull’orlo del fallimento che faticava a pagare
regolarmente i salari dei sette operai che impiegava, cinque fonditori e due
forgiatori. Il magro ed incostante fatturato era garantito dalla produzione di
stampi per le zecche e di qualche partita di baionette.
Sentendo
su di sé tutta la responsabilità del capo famiglia, Alfred aveva profuso tutte
le proprie energie per salvare l’impresa che aveva divorato il cospicuo
patrimonio dei Krupp, accumulato in secoli di attività mercantile. Dopo aver
imparato i segreti della metallurgia affannandosi attorno al crogiolo e
battendo sull’incudine, non si era sottratto, pur di contrarre i costi di
gestione, dal ricoprire anche tutte le altre mansioni indispensabili alla
sopravvivenza della fabbrica, dallo spalatore di carbone al contabile, dalla guardia
notturna ai forni al progettista. L’abnegazione, la tenacia e soprattutto
l’inventiva avevano fatto la sua fortuna.
In
particolare la sua idea di produrre piccoli rulli in acciaio destinati a
lavorazioni di precisione come la laminazione dell’oro si era rivelata
vincente. Grazie anche allo Zollverein, l’unione doganale degli stati
tedeschi, le ordinazioni di orefici, argentieri ed orologiai si erano in breve
tempo moltiplicate, consentendo alla Fried. Krupp di Essen di ampliare il
proprio organico, che intorno al 1836 aveva superato le settanta unità.
Dopo
gli utensili da oreficeria era stata la volta delle posate, un prodotto con un
enorme mercato potenziale. Benché la paternità dell’idea di stampare posate
decorate in acciaio non fosse sua, ma del fratello minore Hermann, Alfred non
aveva esitato a metterla frutto con la sua energica determinazione. Alla
ricerca di nuovi clienti aveva attraversato il lungo e in largo l’Europa con al
seguito il suo modesto campionario di rulli, cucchiai, coltelli e forchette. Il
flusso di lavoro ad Essen si era fatto costante, l’azienda aveva continuato a
prosperare, senza tuttavia superare i limiti di una impresa artigianale, seppur
di grande successo con clienti sparsi in tutta l’Europa. Né le ricorrenti crisi
di liquidità, superate sacrificando senza rimpianti persino l’argenteria di
famiglia, né i contraccolpi economici dell’instabilità politica scaturita dalle
rivoluzioni del 1848 avevano arrestato la crescita dell’azienda, da cui ormai
dipendevano oltre centoventi famiglie di Essen.
Il
rapido sviluppo, a partire dalla seconda metà del secolo, della rete
ferroviaria in Europa e negli Stati Uniti, dove le acciaierie erano quasi
assenti, aveva aperto un nuovo ed immenso mercato per i prodotti siderurgici.
Alfred non si era lasciato sfuggire questa lucrosissima opportunità, portando a
termine la trasformazione industriale della sua azienda. Aveva ampliato lo
stabilimento, investito in nuove e colossali attrezzature, si era assicurato la
fornitura di materie prime a buon mercato acquistando miniere e depositi di
carbone, aveva accresciuto la disciplina, da sempre rigorosa, su suoi operai.
In breve tempo rulli e posate erano diventati articoli di secondaria
importanza, l’attività della Krupp si era strutturata per produrre tonnellate
di rotaie e migliaia di molle, assali e soprattutto cerchioni per le carrozze
ferroviarie.
La
produzione di rotaie, assali e molle era relativamente semplice, i cerchioni
invece, a cui erano affidati non solo il comfort, ma anche la sicurezza dei
passeggeri, presentavano notevoli difficoltà produttive sul piano tecnologico,
in quanto non dovevano avere saldature. Alfred aveva raccolto e vinto tale
sfida tecnologica, inventando e brevettando un sistema di fusione che
consentiva di realizzare cerchioni solidissimi e senza saldature, capaci quindi
di reggere meglio degli altri all’usura, al peso ed ai sobbalzi. Il mercato
mondiale aveva immediatamente premiato la sua brillante inventiva,
garantendogli ordini per oltre quindicimila pezzi all’anno. I concorrenti si
erano dovuti rassegnare alla cocente sconfitta. Nell’arco di meno un decennio
il numero dei dipendenti di Alfred, i cosiddetti kruppianer, si era
decuplicato, superando le mille unità.
Lo
stesso simbolo della Krupp, tre cerchi intrecciati, disegnato da Alfred nel
1875, rappresenta un perenne riconoscimento all’importanza della produzioni di
cerchioni nello sviluppo dell’azienda.
Prima
ancora di imporsi sul mercato ferroviario sbaragliando la concorrenza
internazionale, Alfred aveva incominciato, nel poco tempo libero di cui
disponeva, a fare esperimenti sulla fusione e sulla forgiatura di canne. I
risultati del suo lavoro per quanto incoraggianti non avevano però trovato
immediatamente un mercato di riferimento. Il ministero della Guerra prussiano
si era mostrato talmente tiepido difronte ai suoi progetti innovativi da
convincerlo a procedere con estrema lentezza nella realizzazione del prototipo
di cannone in acciaio che aveva promesso. Soltanto nel 1847, tre anni dopo
l’inizio del carteggio con i generali di Berlino, aveva consegnato all’arsenale
di Spandau il piccolo pezzo di artiglieria da testare: 110 chili di peso con
una bocca da 75 millimetri.
Erano
trascorsi due anni di assoluto silenzio prima che la commissione di collaudo
incaricata dal ministero si decidesse, cedendo alle continue insistenze di
Alfred, ad effettuare i suoi test ed a redigere una relazione conclusiva che
era un capolavoro di miopia ed ottusità. Al poligono di Tegel il pezzo da 75
millimetri aveva sparato bene, si era mostrato solido, sicuro e preciso,
tuttavia la commissione non aveva individuato alcuna valida ragione per
sostituire con il prototipo Krupp il parco di artiglieria in servizio.
Alfred
aveva dovuto accettare tale verdetto reprimendo a stento rabbia e frustrazione,
ma non si era dato per vinto. Aveva quindi rivolto le sue speranze all’estero,
scegliendo una prestigiosa vetrina internazionale come la Fiera di Londra del
1851. Il piccolo cannone d’acciaio non era passato del tutto inosservato, il
pubblico aveva mostrato interesse, i giornali inglesi avevano elargito qualche
timido elogio, ma l’attenzione della giuria si era rivolta altrove, al blocco
di acciaio di due tonnellate che troneggiava nello stand Krupp. Quel
blocco nettamente superiore per peso e qualità a quelli esposti dagli altri
produttori di acciaio europei aveva fruttato ad Alfred una medaglia d’ora ed
una certa notorietà. Il suo cannoncino era rimasto invece una curiosità senza
acquirenti.
Deluso
anche dal mercato estero, Alfred aveva pensato di disfarsi del suo innovativo
prototipo cercando almeno di ricavarne qualche vantaggio in termini di
pubbliche relazioni. Nel 1852 aveva donato il cannone da 75 al re di Prussia,
Federico Guglielmo IV, che lo aveva sistemato in bella mostra nell’atrio del
suo palazzo di Postdam, come un qualunque altro elemento ornamentale. Senza
sparare neppure un colpo, quel dono aveva inaugurato un dialogo con la dinastia
regnante destinato ad intensificarsi nel corso degli anni sino a diventare un
legame strettissimo ed indissolubile. Il principe ereditario Guglielmo,
incuriosito da quel pezzo di artiglieria
così diverso da quelli che aveva conosciuto sul campo di battaglia di Waterloo,
aveva manifestato interesse per l’industria nazionale, beneficiando Alfred, nel
1853, con una visita allo stabilimento di Essen. Una prestigiosa decorazione,
l’Ordine dell’Aquila Rossa di quarta classe, solitamente concessa per meriti
militari, e non una lucrosa commessa, aveva celebrato l’incontro tra gli
Hoenzollern ed i Krupp. Un prezioso seme per il futuro era stato comunque
gettato.
Il
patriottismo di Alfred, per quanto ostentato, e forse persino sincero, non era
così puro e disinteressato da indurlo a sacrificare gli interessi commerciali
della sua azienda. Pertanto, la sua acuta strategia di marketing rivolta
alle teste coronate non si era limitata alla Prussia. Anche l’imperatore
d’Austria, lo zar di Russia e persino il presidente della pacifica
repubblica elvetica avevano ricevuto in dono cannoni d’acciaio Krupp. I
generali dello zar Alessandro II erano stati i più scrupolosi nei test
di collaudo, sottoponendo l’arma a quattromila scariche e verificando che la
sua canna non si era per nulla usurata. Tuttavia neppure tale stupefacente
constatazione aveva fatto giungere ad Essen delle ordinazioni. A futura
memoria, il prodigioso cannone d’acciaio Krupp era stato invece depositato con
tutti gli onori nel museo dell’artiglieria della fortezza di San Pietro e
Paolo.
Un
appassionato di artiglieria come Napoleone III aveva pensato di destinare alle
caserme ed ai campi di battaglia, anziché ad un polveroso museo, l’innovativo
cannone Krupp. All’indomani dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855,
l’imperatore dei francesi aveva espresso la disponibilità a formalizzare un
ordine di acquisto di trecento esemplari, poi l’affare era sfumato per ragioni
di opportunità politica, era prevalsa la volontà di non danneggiare la nascente
industria siderurgica nazionale.
L’Esposizione
di Parigi non era stata tuttavia una completa delusione per Alfred. Il kedive
d’Egitto, non avendo né un’industria nazionale da proteggere, né un’opinione
pubblica sciovinista da non scontentare, si era deciso all’acquisto di ventisei
pezzi d’artiglieria Krupp. Quel modesto ordine, rimasto quasi isolato negli
anni seguenti, non era però bastato a dissolvere il crescente pessimismo di
Alfred, che nel 1859 scriveva sconsolato: “I cannoni mi interessano sempre, ma
non ho più voglia di farli. Non rendono, danno un mucchio di fastidi, costano e
non c’è speranza di una compensazione con un grosso quantitativo che nessuno
vuole”.
D’improvviso,
quando Alfred si era quasi convinto ad abbandonare il mercato delle armi, si
erano aperte per la Krupp nuove ed insperate prospettive. Guglielmo, divenuto a
causa della malattia del fratello principe reggente, si era finalmente trovato
nella condizione di poter esprimere concretamente la propria incrollabile
fiducia nel genio industriale prussiano con l’invio ad Essen di un ordine di
trecento dodici pezzi d’artiglieria.
La
lunga attraversata del deserto di Alfred non però ancora giunta al termine. Il
vivo interesse di Guglielmo per le innovazioni della Krupp, che sembravano dare
corpo ai suoi sogni di grandezza militare, non aveva potuto soffocare lo
scetticismo e le resistenze dello stato maggiore. Non solo mancava una prova
definitiva sui campi di battaglia della superiorità dell’acciaio sul bronzo, ma
lo spirito innovativo di Alfred appariva spericolato ed insensato ai generali
più conservatori, che a malincuore si erano appena rassegnati all’ordine voluto
da Guglielmo, quando da Essen avevano ricevuto la proposta di produrre cannoni
a retrocarica. La loro reazione era stata categorica, neppure il sovrano aveva
voluto sfidare la loro sicumera. Guidati dal ministro della Guerra Von Roon, i
conservatori avevano rifiutato la retrocarica con lo stesso sdegno con cui
avevano già bollato come inutile la rigatura delle canne.
Fuori
dai confini del regno di Prussia invece l’interesse per le innovazioni tecnologiche di Alfred,
acceso dall’Esposizione Universale di Londra del 1862, era cresciuto
rapidamente, tramutandosi in una pioggia di ordinazioni dal Belgio,
dall’Olanda, dalla Spagna, dall’Inghilterra e soprattutto dalla Russia. Coraggiosamente i generali dello zar
si erano decisi nel 1863 a disfarsi dei reperti di età napoleonica per
abbracciare la modernità con un ordine di oltre millecinquecento pezzi
d’artiglieria. Le fila dei kruppianer si erano immediatamente
ingrossate, un esercito di quasi settemila uomini era staro mobilitato per soddisfare
la commessa russa, nuovi capannoni erano sorti, il cielo di Essen era stato
affumicato da una selva di nuove ciminiere.
Tanto improvviso
successo commerciale non era passato inosservato alla stampa berlinese che
aveva voluto onorare Alfred coniando l’appellativo di Kanonenkönig, “re
dei cannoni”, destinato a diventare una sorta di titolo ereditario per tutti i
primogeniti della stirpe dei Krupp.
L’entusiastica fiducia
accordata dai russi alla rigatura ed alla retrocarica aveva finito per smussare
le resistenze del ministero della Guerra prussiano, che aveva dato il via
libera nel 1864 ad una commessa di altri trecento pezzi di nuova concezione.
Alfred si era illuso di aver finalmente trionfato sui suoi oppositori a
Berlino. Inaspettatamente la guerra del 1866 tra Prussia ed Austria aveva
fornito nuovi e più efficaci argomenti ai generali conservatori. La culatta di
alcuni cannoni era esplosa sul campo di battaglia di Sadowa, massacrando i
serventi.
Il tempestivo impegno a
rimpiazzare gratuitamente i pezzi difettosi, gli scrupolosi test di verifica
effettuati al poligono di Tegel e soprattutto i buoni uffici di re Guglielmo
avevano salvato Alfred dal disastro. Dopo questa umiliazione è facile
immaginare con quanta apprensione era stata accolta ad Essen, nel luglio del
1870, la notizia della guerra contro la Francia, considerata la prima potenza
militare continentale.
Se altri difetti
produttivi o di progettazione fossero emersi, neppure la benevolenza regia
avrebbe potuto trattenere i conservatori dall’imporre un repentino ritorno al
bronzo.
La micidiale precisione
dei cannoni Krupp sui campi di battaglia alsaziani e lorenesi, martellando i
francesi da una distanza così grande da impedire alla loro antiquata
artiglieria in bronzo di controbattere efficacemente, aveva fornito la risposta
definitiva sia alle apprensioni di Alfred che al residuo scetticismo dello
stato maggiore prussiano.
Difronte al tragico
spettacolo del massacro del proprio esercito Napoleone III ed i suoi generali
avevano rimpianto amaramente di aver fatto sfumare, per la seconda volta, nel
1868 un consistente ordine di acquisto di cannoni Krupp. Anche i parigini
assediati avevano espresso quello stesso rimpianto. Senza subire alcun danno,
le batterie Krupp posizionate sull’altura di Châtillon alle porte di
Parigi avevano frantumato bastioni e fortezze, divelto trincee ed abbattuto
palazzi, vanificando ogni tentativo di resistenza.
L’umiliante
sconfitta francese aveva inaugurato l’era dell’impiego bellico dell’acciaio.
Nel
volgere di qualche decennio la fiorente fabbrica di Essen si trasformò in un
impero economico senza precedenti.
Durante
il conflitto franco-prussiano il numero dei kruppianer aveva raggiunto
quota diecimila, poi sospinto da nuovi ordini provenienti da tutto il mondo, dall’impero
cinese a quello turco, dal Siam a Cile, continuò a crescere senza subire né
flessioni, né battute d’arresto. Investendo larga parte dei suoi ingenti
profitti nel continuo ammodernamento degli impianti ed avvalendosi della
collaborazione di tecnici geniali, Alfred fece della sua azienda la principale
protagonista della corsa agli armamenti della Belle Époque. Seppe offrire al mercato cannoni sempre più potenti,
precisi e devastanti per soddisfare le necessità belliche anche dei governi più
esigenti, come quello della Germania unificata che non intendeva a nessun costo
perdere la supremazia militare appena conquistata sulla Francia.
Dopo la débâcle francese il gigantismo
della Krupp si manifestò in varie forme. Nel 1878 Alfred inaugurò a Meppen,
nella provincia di Hannover, un poligono di tiro che non aveva eguali al mondo:
circa cinque chilometri di larghezza per una quindicina di lunghezza. Il vasto
terreno, ottenuto con l’acquisto di oltre centoventi appezzamenti, era
disseminato di torri di osservazione e di bunker a prova di bomba da cui
teste coronate, primi ministri ed ufficiali di stato maggiore potevano,
sorseggiando champagne, guardare con i loro occhi i prodigi distruttivi
dell’acciaio Krupp.
Per stupire i suoi
potenziali clienti Alfred sentì il bisogno di dotarsi anche di una dimora degna
del “re dei cannoni”. Non lontano da Essen, a Bredeney, scelse una collina
affacciata sul fiume Ruhr come luogo ideale in cui edificare il castello in
pietra di Chantilly ed acciaio da lui stesso progettato. Attorniata da un parco
di oltre ventotto ettari, Villa Hügel, dall’indefinibile stile architettonico,
si compone di circa trecento stanze su di una superficie di oltre ottomila
metri quadrati. A testimonianza del legame intimo con la dinastia regnante, Alfred
fece predisporre all’interno della villa anche un sontuoso appartamento
riservato al kaiser in occasione delle sue visite.
L’ostentazione di un
lusso principesco a Villa Hügel non spinse tuttavia
Alfred a voler dimenticare o nascondere l’umiltà delle proprie origini. Fece
della Stammhaus, la modesta casetta di legno, posta all’interno della
fabbrica, in cui era cresciuto ed aveva assistito alla morte del padre, una
sorta di monumento celebrativo alla perseveranza che doveva servire di
incoraggiamento ai suoi discendenti ed ai suoi operai.
Oltre ai moniti
all’umiltà ed alla tenacia, i kruppianer ricevettero anche più concrete
ed apprezzate attestazioni di benevolenza. Alfred finanziò la costruzione di
casette indipendenti capaci di ospitare oltre seimila persone. Volle che in
questi nuovi quartieri di Essen accanto alle abitazioni sorgessero scuole,
chiese, locali di ricreazione e negozi.
Alla morte di Alfred nel
1887, la guida dell’impero Krupp, che contava ormai più di ventimila dipendenti
ed un fatturato pari al bilancio di un piccolo stato, passò nelle mani di suo
figlio Friedrich Alfred, detto Fritz. Fino all’adolescenza era cresciuto
lontano dal padre, sballottato tra Londra, Parigi, Nizza e le altre eleganti
località di villeggiatura in cui si era rifugiata sua madre, Bertha Eichhoff,
per sfuggire al clima infernale di Essen ed ancor più al carattere impossibile
di suo marito. Negli anni del trionfo della Krupp, dopo la sconfitta
francese, Alfred si era riavvicinato al
figlio con l’intento di forgiarlo al destino di erede della sua fortuna. Per
Fritz era iniziato un lungo ed estenuante apprendistato.
Benché mostrasse fin
dalla più tenera età un vivo interesse per le scienze naturali, aveva dovuto
interrompere al ginnasio gli studi regolari per volontà del padre che,
offuscato dalla presunzione, intendeva insegnargli più verità sul mondo e sugli
uomini di quante avrebbe potuto apprenderne dai libri. Nel ruolo di unico
precettore, Alfred si era sentito in dovere di tediare il giovane Fritz con i propri
aforismi, imponendogli di annotarseli scrupolosamente, affinché neppure una
goccia della saggezza paterna andasse perduta. Mentre il figlio riempiva
quaderni interi di sentenze sui temi più disparati, Alfred non si stancava di
ripetere: “Questi consigli avranno per te più valore dell’eredità in denaro”.
Soltanto l’asma di cui
Fritz soffriva gli aveva offerto la possibilità di godere di frequenti periodi
di vacanza lontano da Essen, al riparo dalla pedante verbosità paterna, o
almeno così si era illuso. Per sua sfortuna infatti anche nella valle del Nilo
o altrove erano giunte puntuali le missive paterne colme di consigli e di
esortazioni a promuovere, ovunque si trovasse, gli interessi commerciali
dell’azienda di famiglia. Pur in assenza di una investitura ufficiale, aveva
finito per ricoprire il ruolo di “ministro degli Esteri” della Krupp,
intessendo relazioni a Pechino come a Buenos Aires, al Cairo come nelle
capitali balcaniche. Grazie a questi incarichi di rappresentanza, oltre che
all’abitudine a dover trattare con un padre irascibile e dispotico, Fritz aveva
ben presto maturato una spiccata abilità diplomatica, destinata a diventare una
delle cifre del suo stile manageriale. Un capolavoro diplomatico era stato nel
1882 il suo matrimonio con Margarethe von Ende.
Il barone August von
Ende poteva vantare un blasone antichissimo ed un seggio al Reichstag,
ma nel corso dei secoli le ricchezze degli avi si erano notevolmente
assottigliate. Perciò Alfred, che sognava per il figlio una ricca ereditiera dell’ambiente
industriale renano, si era opposto al matrimonio. Anziché affrontare a viso
aperto il veto del padre, Fritz aveva fatto ricorso alla mediazione di sua
madre Bertha, che per piegare la resistenza del marito aveva abbandonato il
tanto detestato tetto coniugale. Madre e figlio coalizzati avevano riportato
una netta vittoria sul dispotico patriarca. Fritz aveva potuto celebrare il suo
matrimonio con la benedizione, seppure a denti stretti, del padre. Dopo le
nozze Bertha non aveva mai più messo piede a Villa Hügel.
Neppure la nascita nel
1886 della prima nipote aveva riconciliato Alfred con la nuora. La decisione di
Fritz di chiamarla Bertha in onore della madre aveva offeso il vecchio e
rancoroso magnate. Non aveva fatto in tempo a vedere la seconda nipote,
battezzata Barbara, in onore alla santa protettrice degli artiglieri, ma
probabilmente avrebbe accolto la mancanza di eredi maschi come la prova
definitiva dell’inadeguatezza di Margarethe.
Uno
dei primi atti di Fritz come proprietario unico della più grande impresa
industriale al mondo fu organizzare una tournée
royale per le capitali europee. Attorniato da un nutrito seguito di alti
dirigenti, lasciò Villa Hügel con il suo lussuoso
treno personale per recarsi in visita ai suoi più affezionati clienti: le teste
coronate. La prima tappa fu ovviamente Berlino,
poi il convoglio proseguì per Bruxelles, toccò Bucarest e si spinse sino
a Costantinopoli. Questa trionfale tournée
promozionale, corredata da cerimonie, scambi di doni ed impegni commerciali,
non fu una semplice conferma delle doti diplomatiche di Fritz, costituì
un’aperta sfida al gruppo dirigente della Krupp, che si era illuso dopo la
morte di Alfred di poter continuare guidare l’azienda con un’ampia autonomia,
come negli anni della sua senilità.
Il
nuovo sovrano dell’impero Krupp, dal corpo pingue e flaccido, dallo sguardo
timido dietro spesse lenti da miope, non intendeva limitarsi a regnare, era ben
determinato a governare e non perse tempo a dimostrarlo. Abolì la Prokura,
l’organo direttivo ideato dal padre, per sostituirla con un Direktorium
più ampio, composto da giovani dirigenti di sua fiducia ed accentrò su di sé i
poteri decisionali. Non appena Fritz sentì di avere saldamente in mano le leve
di comando dell’azienda, inaugurò un ambizioso piano di espansione: fece
costruire a Rheinhausen una seconda grande acciaieria e poi una terza ad Annen;
acquistò miniere e giacimenti in tutta Europa, dalla Spagna alla Svezia;
acquisì il controllo azionario della Gruson, un’impresa concorrente specializzata
nella produzione di corazze; sull’esempio del padre continuò a prendersi cura
dei kruppianer, costruendo nuovi quartieri, fondando scuole tecniche ed
enti benefici; investì nell’innovazione tecnologica, ammodernando le
attrezzature di tutti i suoi stabilimenti. Ispirato dalla sua fede nella
scienza e nel progresso, Fritz attirò attorno a sé inventori capaci di ideare
nuove linee di prodotti per la sua azienda. Nel 1893 Rudolf Diesel gli
sottopose il brevetto di un nuovo tipo di motore a combustione interna,
ottenendo le risorse per metterlo in produzione. Quando non poté finanziare
direttamente la sperimentazione di nuovi prodotti, Fritz si preoccupò di
aggiudicarsi la licenza per produrli con il suo marchio. Così avvenne per la
mitragliatrice, ideata da Hiram Maxim, e per la balistite, la polvere da sparo
senza fumo, brevettata da Alfred Nobel.
Anche
la ricerca metallurgica all’interno del gruppo Krupp fece sorprendenti
progressi. Su impulso di Fritz furono avviate, a partire dagli anni novanta, le
prove per la realizzazione di un nuovo tipo di acciaio che, grazie all’aggiunta
di nichel, garantisse alta durezza ed elasticità. I risultati non tardarono ad
arrivare, offrendo soluzioni innovative sia alla corazzatura delle navi, sia
all’artiglieria da campo. Canne e corazze realizzate con acciaio al nichel
riuscivano infatti a resistere all’enorme potenza sprigionata dalla nuova
polvere da sparo di Nobel. Questa brillante scoperta inaugurò per la Krupp la
lucrosa altalena delle armi offensive e difensive. Dopo aver venduto le corazze
al nichel ai governi di tutta l’Europa, a cominciare dal suo, Fritz propose al
mercato un nuovo ritrovato dei suoi laboratori: proiettili di acciaio al cromo,
capaci di perforare le formidabili corazze al nichel. Gli stessi clienti che
avevano scommesso sul nichel non poterono fare altro che rinnovare i loro
arsenali. L’altalena ben presto tornò a muoversi, le piastre d’acciaio ad alto
tenore di carbonio neutralizzarono i proiettili al cromo, costringendo i
governi ad altre spese. Dalla difesa all’offesa: fu poi la volta di proiettili
blindati con ogiva esplosiva a cui le nuove corazze non potevano resistere.
Ancora una volta i governi dovettero adeguarsi.
Fritz
manovrò la giostra con consumata abilità, in meno di un decennio triplicò la
sua rendita personale annua, da sette a ventuno milioni di marchi, diventando
più ricco persino del kaiser.
Pur
confidando nell'eccellenza dei suoi ricercatori, Fritz non disdegnò nemmeno gli
accordi commerciali con i concorrenti. Cedette il brevetto per la tempra delle
piastre corazzate ad un consorzio di imprese, formato tra le altre dalla
Vickers inglese e dalla francese Schneider, in cambio ricevette una generosa royalty
per ogni tonnellata di acciaio prodotta
dai concorrenti. Con Albert Vickers sottoscrisse un accordo per la produzione
su licenza di proiettili d'artiglieria dotati della spoletta a tempo brevettata
Krupp, considerata la più efficiente al mondo. La ditta inglese si impegnò ad
imprimere il marchio KPZ sulle proprie munizioni ed a versare uno scellino e
tre pence per ogni proiettile sparato. In virtù di questo accordo
durante la prima guerra mondiale ogni cannonata inglese avrebbe arricchito le
casse della Krupp.
Prima
ancora di ingegnarsi a trarre profitto anche dai concorrenti, Fritz si impegnò
a conquistare il proprio mercato interno. Il nuovo kaiser Guglielmo II,
salito al trono nel 1888, divenne il
suo miglior cliente. Nell'arco di meno di un decennio il giro d'affari con
Berlino raddoppiò, innalzandosi dal 33 al 67 per cento dell'intero fatturato
della Krupp. A determinare tale repentino incremento pesarono, più che
l'abilità commerciale di Fritz, i sogni di gloria del giovane sovrano. “Il
nostro futuro è sui mari” tuonava, suscitando l'entusiasmo degli industriali,
allettati dalla prospettiva di immensi profitti, della piccola borghesia, che
immaginava l'incedere della Germania nel XX secolo come la trionfale crociera
di una corazzata dotata di armi così temibili da sottomettere al suo volere il
mondo intero, e persino di gran parte degli operai che nei cantieri navali
pensavano di potersi guadagnare il pane.
Con
la creazione di una grande flotta da guerra Guglielmo intendeva conquistarsi un
posto d'onore nella storia della Germania e della sua dinastia. Ad un gruppo di
ufficiali dichiarò: “Come mio nonno fece con il suo esercito di terra anch'io
sarò irremovibile nel compiere e portare a termine allo stesso modo l'opera di
riorganizzazione della mia marina, affinché possa collocarsi, a pari diritti,
accanto alle mie forze armate di terra e consenta al Reich di
conquistare all'estero quella posizione non ancora raggiunta.”
Fu
l'acciaio al nichel di Fritz a dare concretezza a tanta retorica imperialista.
Le
resistenze del Reichstag furono piegate con relativa facilità. La prima
legge navale del 1898 finanziò la costruzione di una flotta che corrispondeva
alle esigenze difensive della Germania, senza costituire una minaccia né per la
Gran Bretagna, né per la Francia. Due anni più tardi un'altra legge, approvata
sull'onda delle tensioni anglo-tedesche in relazione alla guerra boera,
raddoppiò il numero delle nuove costruzioni, inaugurando un'escalation
che non si sarebbe più arrestata sino alla vigilia della prima guerra mondiale.
Il raggiungimento della parità con la flotta britannica divenne l'ossessione
del kaiser e dei suoi ammiragli, facendo la fortuna di Fritz.
La
baia di Kiel sul mar Baltico, fino ad allora un tranquillo porto di pescatori
in cui era ormeggiato lo yacht del kaiser, fu trasformato dagli
ingenti investimenti della Krupp in uno dei cantieri navali più moderni al
mondo, in cui furono condotti i primi futuristici esperimenti sulla navigazione
sottomarina. Fritz seppe farsi pagare molto bene il suo solerte impegno per
assecondare le frenesie navali di Guglielmo II. I suoi margini di profitto
raggiunsero il cento per cento, con buona pace dell'ammiraglio von Tirpitz, le
cui proteste difronte a tanta avidità furono soffocate dal kasier in
persona.
Alla
crescita vorticosa del suo impero industriale corrispose fatalmente un aumento
del carico di lavoro sulle spalle di Fritz, che aveva appena superato i
quarant'anni, ma ne dimostrava venti di più, a dispetto delle diete rigorose e
dei quotidiani esercizi ginnici a cui si sottoponeva. Il peggioramento
dell'asma di cui soffriva gli impose, a partire dal 1898, la ricerca di aria
più salubre di quella fuligginosa di Essen. La sua scelta cadde sul
Mediterraneo, sia per ragioni sentimentali, i ricordi più felici della sua
infanzia erano legati ai lunghi periodi trascorsi con la madre in Italia e nel
sud della Francia, sia per ragioni scientifiche, lo zoologo tedesco Anthon
Dohrn si era stabilito a Napoli, dove aveva avviato un centro di ricerca sulla
biologia marina. Fritz, da sempre affascinato dalle scienze naturali, gli offrì
il suo aiuto.
Dopo
l'iniziale scetticismo Dohrn dovette ricredersi sulla determinazione e sulle
capacità scientifiche del suo eccentrico connazionale. Nei cantieri navali di
Kiel Fritz fece attrezzare i suoi yacht, il Maja ed il Puritan,
con le più moderne tecnologie per lo studio della fauna marina. Solcando le
acque del golfo di Napoli, identificò decine di specie di pesci e di crostacei
fino ad allora non classificati. In particolare diede un contributo rilevante
alla conoscenza del complesso ciclo riproduttivo delle anguille.
Benché
a bordo dei suoi panfili non mancassero certo le comodità, Fritz scelse come
base d'appoggio delle sue spedizioni scientifiche l'incantevole isola di Capri.
Affittò una lussuosa suite di quattro stanze all'hotel Quisisana,
di proprietà del sindaco di Capri, Federico Serena. L'edificio, come rivela il
suo nome, era sorto, cinquant'anni prima, come sanatorio su iniziativa del
tisiologo scozzese George Sidney Clark, poi in mancanza di danarosi tisici da
curare, era stato convertito in hotel per turisti d'élite.
L'amicizia
con il sindaco agevolò Fritz nella realizzazione di un ambizioso progetto: la
costruzione di una strada scavata nella roccia che collegasse il centro della
cittadina, in cui si trovava hotel Quisisana, con la Marina Piccola in
cui era ormeggiato il suo yacht. Senza badare a spese acquistò la vasta
area fra la Certosa di San Giacomo ed il Castiglione, poi incaricò l'architetto
napoletano Emilio Mäyer di iniziare
i lavori di scavo. Nella primavera del 1902 la via Krupp, mirabile esempio di
scultura del paesaggio, fu inaugurata alla presenza delle autorità. Il
consiglio comunale riconoscente, interpretando i sentimenti della popolazione,
conferì a Fritz la cittadinanza caprese onoraria. L'idillio non era però
destinato a durare a lungo.
La
riconoscenza non era l'unico sentimento diffuso tra i capresi, fin dal suo
approdo sull'isola quel re Mida in tenuta da yachtman che spendeva con
leggerezza, facendo la fortuna di osti ed albergatori, acquistando a caro prezzo
le croste degli imbrattatele locali, elargendo ricche mance a camerieri e
suonatori di chitarra ed elemosine ai derelitti capaci di commuoverlo, aveva
suscitato invidia e risentimento in tutti coloro che non erano stati
beneficiati dalla sua generosità.
Dall'invidia
alla maldicenza il passo fu breve. Dal canto suo Fritz non fece nulla per
allontanare da sé il sospetto di aver scelto Capri come luogo di villeggiatura
non solo per la dolcezza del clima, la bellezza del paesaggio e la ricchezza
della fauna marina, ma anche per un'altra motivazione inconfessabile: la
disinibita disponibilità dei giovani locali. Lontano dal grigiore di Essen, dal
rigido protocollo delle corti, dal fantasma di un padre autoritario, dalla
tensione delle riunioni d'affari, dal peso delle responsabilità di un'azienda
gigantesca, Herr Krupp, ai cui occhi romantici i capresi apparivano come
buoni selvaggi, leali, ingenui, spontanei e disinteressati, si sentiva libero
di manifestare la sua vera natura. Attorno a sé creò una corte di giovinetti
che allietavano le sue giornate capresi, forse non solo in modo innocente,
cantando per lui struggenti canzoni napoletane. Il barbiere appena diciottenne
Adolfo Schiano, i fratelli Francesco e Giuseppe Massa, il pescatore, Antonino Arcucci ed altri lo accompagnavano
nei ristoranti e nei caffé senza preoccuparsi di nascondere l'affetto e la
tenerezza che nutrivano verso il loro ricco protettore, orgogliosi esibivano
sul petto una spilla d'oro che rappresentava un cannone.
Ad
accendere la fantasia dei malevoli e degli invidiosi fu soprattutto la
decisione di Fritz di ristrutturare nei terreni che aveva acquistato una grotta
per farne un appartato luogo di ritrovo, riservato ai suoi amici più intimi.
Posta tra le rocce a picco sul mare con
un'incantevole vista sui faraglioni, la grotta era stata abitata,
intorno alla metà del XVI secolo, da un eremita di origine portoghese, noto
come Fra' Felice, considerato dai capresi quasi alla stregua di un santo. Fritz
la fece ripulire, risanare ed ammobiliare in stile claustrale, incaricò poi il
pittore Albert G. White di restaurare un dipinto raffigurante Fra' Felice. Al
fine di accrescere l'atmosfera eremitica ordinò al custode di indossare una
tonaca da frate francescano, destando l'indignazione del clero.
La
frequentazione della grotta da parte di stimati intellettuali capresi come
Ignazio Cerio, medico e studioso della flora mediterranea, suo figlio Edwin,
brillante ingegnere navale ed appassionato di botanica e Vincenzo Cuomo, medico
e climatologo di fama europea, non impedì alle malelingue di dipingere quel
ritrovo appartato come una Sodoma in cui Fritz si abbandonava ad orge sfrenate
con quegli stessi giovinetti adoranti con cui non aveva vergogna di mostrarsi
per le vie di Capri.
Già
a Berlino qualcuno aveva avanzato sospetti sull'omosessualità di Fritz. Il
proprietario dell'hotel Bristol, Conrad Uhl, terrorizzato all'idea di
poter essere accusato di complicità nel reato di sodomia, contemplato
dall'articolo 175 del codice penale tedesco e severamente punito con lunghi
anni di lavori forzati, si era rivolto alla polizia per denunciare le riunioni
viziose che si tenevano nelle stanze del “re dei cannoni”. Inizialmente Uhl
aveva accettato di buon grado la richiesta di Fritz di assumere alcuni
camerieri italiani da lui stesso segnalati, che durante i suoi soggiorni
berlinesi avrebbero dovuto prendersi cura della sua persona. Ogni perplessità
dell'albergatore era stata vinta specificando che il loro stipendio sarebbe
stato pagato da Krupp. Quei giovani italiani, indolenti e chiassosi, non
valevano nulla come camerieri, ma forse avevano altre qualità apprezzatissime
da Fritz. A detta di Uhl, quando accorrevano in gruppo ad accudire il loro
benefattore dalla porta della suite filtravano gridolini la cui origine non
era difficile da interpretare, anche per chi non sapesse l'italiano.
Il
commissario Hans von Treschow, a cui Uhl si era rivolto, aveva condotto le
indagini con diligenza e discrezione, arrivando a compilare un corposo dossier,
destinato però a finire sotto chiave in un cassetto. Né i vertici di polizia e
governo, né tanto meno il kaiser avevano voluto trasformare gli elementi
raccolti in un capo di imputazione. Uhl si era limitato a licenziare i protetti
di Fritz, che aveva trasferito lontano da Berlino i suoi momenti di svago.
Manfredi
Pagano, proprietario del più antico hotel di Capri, fu tra primi a spargere
maldicenze ed a covare odio verso Fritz, che gli aveva fatto il torto di
scegliere il Quisisana per installare la sua corte spendacciona. Anche la
famiglia Morgano, che gestiva il caffé Zum Kater Hiddigeigei, abituale
luogo di ritrovo dei tedeschi dell'isola, attirati dalla birra bavarese servita
alla spina, si era risentita di non poter annoverare tra i propri clienti il
suddito più illustre e più ricco del kaiser.
A
contrapporre Pagano a Serena non era soltanto la rivalità commerciale, ma anche
quella politica. Il primo rappresentava le forze laiche, mentre il secondo
quelle clerico-moderate. Il generoso sostegno economico offerto da Fritz alla
campagna elettorale dell'amico Serena alterò i delicati equilibri politici
dell'isola, lasciando uno strascico di polemiche i di rancori. Tra gli
esponenti del partito laico ed anticlericale figurava anche il maestro
Ferdinando Gamboni, che si era ritirato a Capri dopo aver perso la sua cattedra
in seguito alla contestazione dei suoi metodi disciplinari, giudicati troppo
severi. La notizia che Fritz intendeva prendere lezioni di italiano aveva
acceso in lui la speranza di trovare finalmente un impiego ben retribuito. La
preferenza accordata ad un altro maestro, Luigi Messanelli, che aveva sposato
una cugina di Serena, aveva fatto crollare i suoi castelli in aria,
ispirandogli meschini propositi di vendetta verso il magnate tedesco. Gli
storici specializzati nei pettegolezzi capresi concordano nell'individuare in
Gamboni il deus ex machina dello scandalo.
Il
frustrato maestro non esitò a prendere contatto con una delle penne più
velenose e graffianti del Mattino di Napoli, Eduardo Scarfoglio.
L'imperativo di verificare le rivelazioni diffamatorie di Gamboni non lo sfiorò
neppure. Nel torbido e fantasioso racconto degli svaghi capresi di Krupp, che
evocava le orge sfrenate dell'imperatore Tiberio, Scarfoglio scorse una
irresistibile opportunità di ricatto.
Krupp
inizialmente si rifiutò di cedere. La ritorsione non si fece attendere,
Scarfoglio pubblicò sul Mattino un articolo sibillino in cui Fritz
veniva definito “re dei cannoni e re dei capitoni”. Non si trattava di un
omaggio ai suoi studi sulle anguille, ma di una volgare allusione al membro
virile, detto in dialetto napoletano “o capitone”. A questa prima puntura di spillo non seguirono altri
attacchi. Pochi giorni dopo la pubblicazione del suo articolo, Scarfoglio soggiornò
all'hotel Quisisana, dove con ogni probabilità le sue richieste
economiche furono finalmente soddisfatte.
Il
fuoco dello scandalo non si spense del tutto a Capri, dove le malelingue
continuarono la loro opera diffamatoria, senza che Krupp se ne preoccupasse
troppo, finché non crebbe l'attenzione della polizia nei suoi confronti. Uno
dei suoi protetti geloso delle premure riservate ad un altro giovane pensò di
vendicarsi denunciando il magnate tedesco per non essersi preso cura a
sufficienza di lui. Secondo quanto riferito dalla stampa, il ministero degli
Interni, evidentemente preoccupato dalle voci che circolavano sull'isola, inviò
in segreto un ispettore a Capri. Dopo una settimana di indagini le sue
conclusioni si manifestarono nella tarda primavera del 1902 con
l'allontanamento di Fritz dall'isola.
Dalle
fonti che abbiamo potuto consultare non risulta chiaro se si trattò di un
formale atto di espulsione o di un ufficioso, ma energico, invito a togliere il
disturbo. Alcuni elementi ci fanno propendere per la seconda ipotesi.
Nell'agosto
del 1902 in una lettera in francese indirizzata all'amico Ignazio Cerio, Fritz
espresse la speranza di poter presto ritornare a Capri, non appena la sua
triste vicenda si fosse felicemente risolta. L'adozione nei suoi confronti di
un provvedimento di espulsione gli avrebbe lasciato ben poche speranze di
rivedere in tempi brevi il sole di Capri, in più avrebbe avuto degli immediati
contraccolpi a Berlino, persino le delicate relazioni italo-tedesche ne
avrebbero risentito, ambasciatori e ministri degli Esteri sarebbero stati
coinvolti, difficilmente la stampa avrebbe potuto tacere. Invece nulla di tutto
ciò si verificò, Fritz tornò in Germania come se avesse lasciato Capri di sua
spontanea volontà. Durante l'estate assistette alla regata di Kiel e fu ospite
d'onore del kaiser. In settembre si recò a Londra, dove concluse
delicate trattative con la Vickers. La routine della sua vita sembrava
pienamente ristabilita quando la stampa italiana tornò ad occuparsi dei suoi
soggiorni capresi e dei suoi presunti svaghi viziosi. Il quotidiano socialista La
Propaganda pubblicò alla metà di ottobre del 1902 un articolo infuocato dal
titolo inequivocabile: “Capri-Sodoma”. L'autore anonimo, secondo alcuni
identificabile nel rancoroso maestro Gamboni, non faceva il nome di Krup ma era
assai esplicito nelle accuse: “In questa
isola incantevole sotto gli auspici di un ricco degenerato sessuale, è sorto un
circolo di degenerati, che ha vissuto e vive alle spalle dei vizii del ricco
signore. Le notizie che ci pervengono sono spaventevoli: le pagine più tremende
di Krafft-Ebing non potrebbero ritrarre quanto accade a Capri. Si sono costruite delle grotte artistiche,
dei ritrovi di campagna, si sono stabiliti dei convegni in cui la gente si
esercitava nelle più ributtanti turpitudini. I socii (sic) di tanto
schifosa associazione avevano perfino un distintivo, una medaglia di
riconoscimento! È cosa da inorridire! E
tutta questa gente si è data alle turpi pratiche per carpire quattrini al ricco
straniero degenerato, e tanti pezzenti si sono arricchiti alle spalle del maiale
che pagava biglietti da mille. Dei giovanotti hanno ottenuto di fare il
volontariato di un anno con i quattrini del signore; dei pescatori hanno
costruite case e ville con i denari di lui, e i pezzi grossi del paese hanno
accumulate centinaia di migliaia di Lire sfruttando lo schifoso ma ricco uomo.”
Anche
l'invocazione finale dell'articolo all'intervento delle autorità, dal deputato
locale sino al presidente del Consiglio Zanardelli, ad intervenire
tempestivamente per spazzare via la Sodoma caprese induce a ritenere che in
primavera la polizia si fosse limitata ad invitare Fritz a cambiare aria per un
po' di tempo.
Nelle settimane
successive gli affondi della Propaganda si fecero più coraggiosi, il
nome di Krupp fu stampato a chiare
lettere, nuovi scabrosi dettagli furono aggiunti, senza tuttavia esibire mai
una prova che suffragasse tante indignate accuse.
Gli amici
capresi di Fritz non tardarono a reagire. Serena organizzò per le vie di Capri
una chiassosa protesta contro il partito di Pagano, considerato l'ispiratore
del linciaggio mediatico di Krupp. Secondo alcuni resoconti, a separare i
partigiani degli opposti schieramenti, prima che si verificassero gravi
incidenti, dovette intervenire la forza pubblica. Anche la stampa
conservatrice, prima quella locale e poi anche quella nazionale, si mobilitò,
senza troppa convinzione, per una difesa d'ufficio di Krupp dalla diffamazione
socialista. Ogni argomento utilizzato per riabilitare l'immagine del magnate
tedesco, dall'insussistenza delle prove contro di lui, al danno all'economia
dell'isola derivante dalla sua cacciata con il marchio d'infamia del corruttore
della gioventù, risultò di scarsa efficacia. Persino nella mente dei più
accaniti antisocialisti l'associazione tra ricchezza e depravazione rendeva
verosimili le accuse rivolte a Krupp, benché fondate su dicerie prive di
riscontri oggettivi.
Mentre sulla
stampa italiana infuriava lo scandalo, Fritz si trovava a Londra, dove non
rilasciò alcuna dichiarazione ufficiale. Il suo silenzio probabilmente non fu
il frutto di una studiata strategia difensiva, ma la reazione istintiva di un
uomo disorientato e confuso. In quei giorni, un'amica di famiglia, la baronessa
Deichmann, che ebbe l'occasione di incontrarlo a bordo di una nave, scrisse di
averlo trovato scarmigliato e con gli abiti in disordine. Al consiglio della
baronessa di prendersi maggior cura di sé, magari passando più tempo con sua moglie, Fritz avrebbe replicato dichiarando
di preferire la vita con i pescatori.
Alla fine del mese di
ottobre, l'eco dello scandalo raggiunse Villa
Hügel. La moglie di Fritz,
Margarethe, ricevette alcune lettere anonime, corredate da ritagli di giornale
e forse perfino da eloquenti fotografie. L'insinuazione, se non la prova fotografica,
che il marito conducesse a Capri una vita immorale e dissoluta la colse di
sorpresa, spingendola a ricercare nel kaiser protezione e consigli su
come affrontare l'imbarazzante situazione.
Non
conosciamo i dettagli di quel colloquio, sono invece note le sue conseguenze.
Il supremo custode della moralità tedesca dapprima ipotizzò che la direzione
della Krupp venisse assegnata ad un ristretto comitato di amministrazione
fiduciaria, poi i suoi consiglieri lo convinsero a non creare un pericoloso precedente
che avrebbe indebolito il principio di autorità su cui si fondava lo stesso Reich.
L'ammiraglio Hollmann si incaricò di avvertire immediatamente Fritz di quanto
aveva appena discusso con il kaiser, preoccupandosi anche di fornirgli
una fantasiosa e spregiudicata via d'uscita dalla crisi che rischiava di
travolgerlo. Un certificato medico secondo cui Margarethe soffriva di
allucinazioni e necessitava con urgenza di prolungate cure in una clinica
psichiatrica avrebbe placato il kaiser, cancellato ogni ipotesi di
amministrazione fiduciaria e chiuso definitivamente la spiacevole vicenda.
Fritz
ormai con le spalle al muro non esitò a sacrificare la madre delle sue figlie
alla manovra machiavellica suggerita dall'ammiraglio. Il 2 novembre Margaret fu
caricata a viva forza dai domestici di Villa Hügel su di un treno diretto a Jena, dove si
trovava la clinica del dottor Binswanger.
Il
vile sotterfugio di cui Fritz si rese complice non impedì comunque allo
scandalo di dilagare anche sulla stampa tedesca. Il sostegno offerto dall'Avanti!
alla Propaganda aveva conferito alla campagna moraleggiante contro Krupp
un carattere non solo nazionale, ma addirittura internazionale. Appena sei
giorni dopo l'internamento di Margarethe, un giornale cattolico, l'Augusberg
Postzeintung, pubblicò un lungo articolo ispirato dalle notizie diffuse dalla stampa socialista
italiana. Il nome di Krupp per prudenza era taciuto, ma il protagonista della
squallida vicenda, descritto come un industriale di grande fama, intimo della
corte imperiale, era facilmente riconoscibile anche per il lettore più
sprovveduto.
Fritz
si illuse che l'omissione del suo nome gli offrisse ancora un ristretto margine
di manovra per soffocare lo scandalo. Consultò in tutta fretta il suo avvocato,
von Simpson, sull'opportunità di citare i giornali italiani e così dissuadere
quelli tedeschi da ogni iniziativa contro di lui. Poiché il governo italiano
non aveva preso nessun provvedimento né contro l'Avanti!, né contro la Propaganda,
von Simpson considerò prematura ogni azione legale, consigliò invece di
attendere lo sviluppo degli eventi nella speranza che la voce dell'Augusberg
Postzeintung rimanesse isolata e
fosse presto dimenticata. Non fu così. L'opportunità di colpire l'uomo di
fiducia del kaiser a cui era affidata la costruzione della più potente
macchina bellica del mondo era troppo preziosa per essere ignorata. Il 15
novembre il quotidiano socialdemocratico Vorwärts sferrò il suo attacco con un articolo dal titolo
“Krupp a Capri”, che oltre a descrivere le orge omosessuali consumate nella
grotta di Fra' Felice invocava i rigori dell'articolo 175 del codice penale
tedesco contro il magnate di Essen. Nel tentativo di conferire maggiore
credibilità alle sue accuse il foglio socialista faceva cenno a dei riscontri
oggettivi: “La corruzione si era fatta così indecente che si potevano vedere
persino le fotografie di certi episodi nello studio di un fotografo dell'isola.
E l'isola stessa, dopo che il denaro di Krupp aveva aperto la strada, era
diventata un centro di omosessualità.”
Le foto citate dal Vorwärts
non erano una invenzione, esistevano davvero, ma con ogni probabilità non
ritraevano Fritz ed i suoi amanti. Intorno alla metà degli anni novanta furono
attivi tra Napoli e Capri due fotografi di origine tedesca, Wilhelm von Gloeden
e suo cugino Wilhelm von Plüschow, entrambi specializzati nei ritratti di nudo
maschile. A causa della scelta dei loro soggetti, giovani efebici in pose
languide, spesso sullo sfondo di panorami mediterranei, subirono nei primi anni
del novecento processi e condanne da parte della giustizia italiana. E'
verosimile che i loro lavori, reperibili anche a Capri, abbiano ispirato l'idea
che l'imprudenza di Fritz fosse stata così grande da suggerirgli di far
immortalare i suoi incontri amorosi con i giovani capresi.
Prima
di preoccuparsi di far sparire eventuali foto compromettenti, Fritz si adoperò
per chiudere la bocca al Vorwärts, si rivolse quindi al kasier
che ordinò l'immediato sequestro del quotidiano socialdemocratico. I censori
imperiali furono solerti e minuziosi, sequestrarono ogni copia su cui
riuscirono a mettere le mani, anche presso le abitazioni degli abbonati e
persino sulle scrivanie dei deputati al Reichstag, ma il danno
all'immagine di Herr Krupp, soprattutto tra i lavoratori, era ormai
irreparabile. Il comunicato affisso sui cancelli degli stabilimenti in cui si
denunciavano gli insulti socialdemocratici, definiti “di estremo cattivo
gusto”, e si preannunciava una vigorosa azione legale non poté certo cancellare
dalla mente di molti operai la convinzione che il Vorwärts non mentiva
ai propri lettori, fu comunque un segnale della volontà di Fritz di non darsi
per vinto. Grazie ai suoi milioni, che potevano indurre all'autocensura, se non
alla ritrattazione, qualunque direttore di giornale, a Roma come a Berlino, e
soprattutto grazie all'incondizionato sostegno del kaiser, capace
all'occorrenza di far sparire dagli archivi della polizia italiana ogni
eventuale prova della sua scandalosa condotta caprese, Fritz avrebbe ancora
potuto salvare la sua posizione.
I
contatti presi, il 21 novembre, con il ciambellano imperiale al fine di
sollecitare un incontro con il kaiser dimostrano che Fritz imbastì una
linea difensiva, ma gli mancò la determinazione di portarla a compimento.
Benché si sforzasse di ostentare calma e risolutezza, lo scandalo lo aveva
duramente provato, probabilmente era divorato dai sensi di colpa verso sua moglie, umiliata a
scacciata dalla sua casa come una pazza isterica, e verso le sue adorate
figlie, Bertha e Barbara, che, private della madre, rischiavano di pagare il
prezzo più alto per i suoi errori e per le sue debolezze. A liberarlo
dall'angoscia che lo opprimeva giunse improvvisa, il 22 novembre 1902, la
morte.
E'
impossibile stabilire con certezza se si trattò di morte naturale o di
suicidio. Il corpo di Fritz, prima ancora che i familiari potessero vederlo, fu
deposto in una bara sigillata, nessuna autopsia fu eseguita. Il certificato di
morte redatto dai medici presenta una tale incertezza sulla causa del decesso,
infarto oppure emorragia cerebrale, da risultare assai poco credibile.
Il
testamento di Fritz contiene una prova tangibile del suo sincero affetto verso
Capri ed alcuni dei suoi abitanti. Al pescatore Antonino Arcucci destinò un
lascito che gli consentì di costruire sulla spiaggia della Marina Piccola
alcune rimesse per le barche. La stessa somma ricevettero anche i fratelli
Schiano. Al comune di Capri volle donare la grotta di Fra' Felice, la via verso
il mare intagliata nella roccia ed i giardini sovrastanti, oggi denominati
“Giardini di Augusto”.
La
stampa conservatrice tedesca non esitò a sottoscrivere l'ipotesi che la morte
di Krupp fosse la diretta conseguenza del barbaro attacco dei
socialdemocratici. Tale interpretazione politica fu prontamente accettata dal kaiser
in persona, che dopo le esequie, difronte ai notabili di Essen ed ai familiari
di Fritz, tra cui anche Margarethe, improvvisamente rinsavita e dimessa dalla
clinica psichiatrica in cui era stata confinata, pronunciò un breve ma intenso
discorso in cui accusò il partito socialdemocratico di essere colpevole
dell”assassinio morale” di un uomo irreprensibile.
Nelle
settimane successive il kaiser ribadì le sue affermazioni, arrivando
persino a chiedere agli operai della Krupp di firmare una lettera di
ringraziamento per l'impegno imperiale profuso a difesa dell'onorabilità del
loro datore di lavoro. Quasi nessuno dei kruppianer si tirò indietro,
chi lo fece fu licenziato, anche se la loro dichiarazione, pensata in
previsione dell'avvio del processo contro il Vorwärts, rimase di fatto
fine a sé stessa. La vedova Krupp infatti, dimostrando grande saggezza,
rinunciò ad ogni azione legale. Sulla tomba di Fritz fu posta una piccola targa
d'ottone: “Perdono tutti i miei nemici”.
La
corsa agli armamenti poté proseguire indisturbata.
ROBERTO
POGGI
roberto_poggi@yahoo.it
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