Una delle regole non scritte ma più evidenti della condizione umana è che, se tu non riesci ad ammazzare me, io ammazzo te. Lo so, è una formulazione volutamente brutale, ma vale anche per miliardi di situazioni metaforiche, dove l'uccisione è meramente simbolica, ma ha luogo, eccome se ha luogo!
Convinto sostenitore della superiorità della chiarezza sugli infingimenti, fin da adolescente mi sono attenuto a questo principio, che non mi ha mai tradito. Se ero debole, soccombevo; se ero forte, la situazione si rovesciava... Mai perso tempo in noiose mediazioni o melensaggini di varia natura: quando potevo colpivo, quando non potevo subivo.
Mi infastidisce quindi un po' leggere le analisi giornalistiche sulla vittoria, negli USA, dei "dimenticati". Mai stato dimenticato: di me, fin da adolescente, si ricordavano in molti, e benissimo. Giovane aderente alle organizzazioni missine, al liceo si ricordavano di me i "compagni" (non quelli di scuola...) e anche il preside e molti docenti, i quali non mancavano di ricordare, a me come ad altri miei sodali, che il "d'Azeglio" era un liceo classico statale di solide tradizioni antifasciste, cosa che ci avrebbe lasciato indifferenti, se non fosse che in qualche interrogazione a sorpresa "casualmente" finivano in mezzo per primi noi e, se c'era qualcuno da rimandare a settembre, magari una piccola percentuale di discriminazione politica poteva anche attivarsi.
Situazione anche peggiore all'università, perché nel frattempo l'Italia stava scivolando dal Sessantotto ai Settanta, e la situazione cominciava a farsi pesante, anche a livello di agibilità. Io poi cercavo di fare carriera universitaria e questo dimostra che, fin da giovane, sono stato assolutamente pazzo. Quando, avviati i primi convegni della Nuova Destra (fine anni Settanta - inizio anni Ottanta), risultò che ne facevo parte, l'invito a cambiare aria arrivò perentorio e netto da parte di quegli stessi docenti che, fino al giorno prima, avevano preconizzato per me una brillante carriera di storico militare e mi avevano fatto pure sottoscrivere un contratto per la Feltrinelli per il mio primo libro sulla storia dell'esercito italiano.
Sebbene la mia schiena fisica sia leggermente curva, quella morale è assai dritta e così trovai altre strade, spesso con molta fatica, ma animato da un'unica volontà: non avrei mai fatto abiure, non avrei mai detto ai miei nemici che cosa volevano sentire da me.
Da allora, ho percorso molte altre strade, in campo politico-militare e, ogni volta - cioè sempre - che ho rifiutato di legare l'asino dove voleva il padrone, ne sono stato allontanato, così come sono stato allontanato da molte altre realtà, comprese quelle della Destra politica, semplicemente perché mi ero permesso di far notare che erano popolate da nani e ballerine, a cui palesemente io avrei potuto fare molta ombra, non per particolare consistenza mia, ma per totale inconsistenza loro.
Chiamare persone come me "dimenticati", è quindi una simpatica quanto gigantesca menzogna: noi siamo proscritti, non dimenticati, ma ce ne siamo fatti una ragione: era la misura del livello del nostro onore, valore cui tenevamo più di ogni altra cosa.
Più corretto è chiamare "dimenticati" i giovani uomini come mio figlio e tanti altri come lui. Giovani a basso tasso di politicizzazione, mai lontanamente sbandierato, che non possono affacciarsi da nessuna parte perché non hanno gli "appoggi" giusti. Che sanno l'inglese come i madrelingua e che per tali vengono scambiati dagli autoctoni nelle loro più o meno lunghe frequentazioni nei Paesi anglosassoni, ciò che tuttavia forse li danneggia, visto che il livello medio di conoscenza dell'inglese in Italia è quello renziano... Che cercano di andare in televisione e vengono respinti perché non abbastanza spigliati, allora fanno in modo di diventarlo e, a quel punto, vengono respinti perché troppo "seri" e il pubblico (evidentemente composto da deficienti...) non capirebbe il contenuto dei loro servizi.
Si potrebbe continuare ad infinito, su temi del genere, ma sarebbe stucchevole. Tuttavia, chiamare "dimenticanza" l'assoluta mancanza di mobilità sociale è semplicemente un modo per descrivere, con un eufemismo, un'azione di deliberato killeraggio. Qualcuno, giustamente attento a problematiche "alte", potrebbe parlare di "carente circolazione delle élites". A me pare piuttosto un consolidato arroccamento di una feccia, in cui il più dotato culturalmente potrebbe fare - se va bene - il bidello (con tutto il rispetto per questi ultimi). La cosa - come forse qualcuno ricorderà - ha precise implicazioni anche di carattere economico, poiché ovviamente uno viene emarginato da tutto, anche dalle possibilità di lavoro, ma su questo non vige alcuna forma di "buonismo", anzi.
Uno ne prende atto e si attrezza, studia, si prepara. I conflitti del futuro, in quanto gigantesche guerre civili tra ricchi e poveri, difficilmente prevederanno la presa di prigionieri. Poco male, si tornerà - come sempre - al titolo del presente post. Mai disperare, nella vita.
Piero Visani