sabato 12 novembre 2016

Formal Dinner

       A volte ti capitano delle disgrazie. Avresti voluto evitarle, ma non puoi. Devi accompagnare una persona amica e con un'ottima posizione sociale, in uno di quei posti in cui si concentra tutta la feccia borghese della tua città, più magari anche qualche aristocratico in disarmo.
       Non hai bisogno di tranquillanti, sei un "uomo di ghiaccio". Avresti forse bisogno di digestivi, ma conti di mangiare poco.
       Il tavolo è assegnato: dieci persone, di cui cinque signore che portano sui loro volti i segni di qualche pessimo lavoro di chirurgia plastica e quattro signori (il quinto dovrei essere io, ma sono situazioni in cui preferirei essermi dedicato, con successo, alla nobile arte della mascalcia).
      Mentre vengono serviti gli aperitivi, il livello della conversazione - di fatto monopolizzata da due signori e due signore - è più o meno del genere de "non esistono più le mezze stagioni", declinato però come se si trattasse di una scoperta scientifica favolosamente innovativa. Fin quasi da subito, esso si sposta sulla politica internazionale, con frasi del tipo "la Russia dovrebbe fare così, la Cina cosà". Azzardo: "E la Jacuzia?", ma nessuno coglie il mio provocatorio riferimento a "Risiko", è gente troppo importante e intelligente, per giocare a certi giochi e per capire una battuta deliberatamente insultante...
       Poi si arriva al meglio, al tema del giorno: Donald Trump e la sua ascesa alla presidenza USA. Se ci fosse - inatteso ospite - lo "zio Adolf", sarebbe contento: per la prima volta in vita sua NON raccoglierebbe tutto l'odio del mondo, ma sarebbe schermato dal neo-presidente americano. Mica è facile, eh?
       La conversazione, pur sempre borghesemente garbata, si arricchisce di qualche aggettivo (moderatamente, ça va sans dire) colorito: misogino, puttaniere, molestatore, etc. etc. Poi, quasi in un'escalation da conflitto vietnamita, si arriva al clou: "Ma insomma" - sbotta il noto e prestigioso imprenditore - "che cosa vogliono questi americani che mi dicono impoveriti dalla globalizzazione: un lavoro ce l'hanno, una casa pure. Che altro vogliono? Si sa che i figli delle classi più modeste non possono permettersi il college e, se per caso ce la facessero, i posti migliori andrebbero sempre e comunque ai figli dei ricchi? Cosa possono pretendere, più che avere un'esistenza residuale? E' quella che possono permettersi: uno stipendietto, molte tasse, nessuna gioia, molto degrado e molta delinquenza. Non si può mica avere tutto, suvvia!" Approvazione generale, al tavolo. E che diamine, c'è chi nasce povero e chi, per sua fortuna, no. Che se ne facciano una ragione, questi pezzenti. Il problema è che, con le loro ubbie e con questo pazzo che li guida, faranno scoppiare guerre e cadere a picco i mercati! (l'adorazione per i mercati, in certi ambienti, è pari alla sommatoria di molti monoteisimi religiosi).
       L'uomo che mi ha coinvolto nella serata mi guarda di sottecchi. Mi conosce da oltre trent'anni, forse teme che potrei sbottare. In realtà, non c'è alcun pericolo del genere, non parlo mai con gli inferiori, tanto meno ci discuto.
       Torno a casa a tarda sera e, fino alle tre del mattino, leggo con feroce partecipazione una Storia del Terrore. E' una vicenda che non finisce bene, ma che importa? I protagonisti si tolgono di quelle soddisfazioni...

                       Piero Visani