Piazza San Babila, a Milano, è intrisa di colori da ottobre avanzato, ma non riesco a goderli del tutto, neppure sotto quella pioggerellina lieve che amo tanto.
La voce al telefono ride. Sente me e ride.
Mi chiedo quanto di macchiettistico io abbia in me, per indurre la mia interlocutrice a un riso costante, una sorta di ridarella.
Glielo faccio notare e lei mi risponde che sta esplodendo di felicità. E riprende a ridere.
Per calmarla, non ho che una soluzione: "Accipicchia" - esclamo - "che pezzo di figliola!"
"Chi, chi?" - sbotta lei, smettendo immediatamente di ridere.
"Una modella: altissima, magrissima, bellissima. Un giunco. Una autentica silfide!!" - preciso io.
"Ma come?" - obietta lei, fintamente (?) indignata - "sei al telefono con me e lodi la prima che passa?"
"La prima modella che passa", preciso. E aggiungo: "sai che mi piacciono le modelle e sono un incallito womanizer".
Riprende a ridere, in preda a chissà quali allegri pensieri. Afferma che vorrebbe protendersi fuori dallo smartphone e abbracciarmi.
L'arrivo di un cliente con cui ho un appuntamento in San Babila interrompe questa telefonata surreale.
Circa un'ora e mezza dopo, sul treno che mi riporta a Torino, la chiamo e ne nasce una seconda conversazione ai confini della realtà, in cui io disegno scenari e strategie seri, che hanno un profondo senso, per noi due, ma che lei finge di intendere come faceti, forse persino un po' preoccupata da quello che le prospetto. E di nuovo le risate e i lazzi ci sommergono a vicenda.
La sensazione è che viva tutto come un film, come una sophisticated comedy di cui però, per una volta, è protagonista. E non stia nella pelle, travolta da una infantile ondata di Lustigkeit che non ha ragione di esistere. Una sorta di tardiva Wandervogel colta da un vero e proprio accesso di Wanderlust in un mondo che non conosce e - come spesso accade in casi del genere - si immagina molto più bello di quanto non sia in realtà.
E ci ritroviamo, di colpo, quasi senza accorgercene, dentro a "29 settembre", e ciascuno di noi potrebbe legittimamente dire: "Parlo, rido e tu tu non sai perché; t'amo, t'amo e tu tu non sai perché", travolti da un'intensità di sensazioni che va oltre la logica percettiva comune e dilaga in spazi che sono "altri" rispetto a quelli abitualmente noti.
Quella però è la canzone: noi siamo travolti dallo stesso folle sentimento, ma lo sappiamo, il perchè, lo sappiamo benissimo. Forse stentiamo a crederlo, pieni come siamo di ferite, ma la Lustigkeit che ogni giorno di più ci sommerge ci fa capire che, per una volta, il nostro sogno è diventato realtà.
Piero Visani
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