La tradizione sabauda vuole che, in occasione della battaglia di Solferino e San Martino (24 giugno 1859), il re Vittorio Emanuele II, per incitare le truppe che non riuscivano a impadronirsi delle alture di San Martino, abbia urlato questa frase:
: «Fioeui, ò i pioma San Martin ò i'aoti an fan fé San Martin a noi!» (Figlioli, o prendiamo San Martino, o i nostri avversari ci obbligheranno a "fare San Martino"). Com'è noto, i Savoia avevano grande dimestichezza con il dialetto piemontese, forse più che con il francese e l'italiano, e in ogni caso, nel rivolgersi ai suoi soldati, il sovrano non poteva certo usare un linguaggio paludato. Così - se la storia è vera - fece riferimento, in dialetto, a una cosa che tutti i contadini dell'epoca sapevano, vale a dire che il giorno di San Martino, nel regno sabaudo, scadevano i contratti di mezzadria e i contadini correvano il rischio di dover cambiare cascina. Riferita alla situazione del momento, con le truppe sarde in difficoltà a conquistare l'abitato di San Martino, essa equivaleva a dire: "o sloggiamo gli austriaci da lassù, o saranno loro a far fare il trasloco a noi"!
Aggiorno questo articoletto, nella ricorrenza della battaglia di Solferino e San Martino (24 giugno 1859), che portò a compimento la Seconda Guerra d'Indipendenza e consenti al Regno di Sardegna di annettere la Lombardia e di gettare le basi per la creazione del Regno d'Italia, in vista della terribile accelerazione dell'anno successivo, il 1860.
Anche se oggi non mi sento più italiano, ma convintamente apolide, sono stato un nazionalista e un patriota. Come tutti gli amanti traditi, credo ancora nell'amore, ma non in chi mi ha tradito.
Anche se oggi non mi sento più italiano, ma convintamente apolide, sono stato un nazionalista e un patriota. Come tutti gli amanti traditi, credo ancora nell'amore, ma non in chi mi ha tradito.
Piero Visani
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