Negli anni tra il 1969 e il 1972, giovane studente dell'Università di Torino con in tasca la scomoda tessera del FUAN (Fronte Universitario di Azione Nazionale), il movimento universitario del MSI, mi ritrovai a fare i conti con la mia famiglia e con il relativo parentado.
Incline a cogliere, nelle cose, l'aspetto paradossale e surreale delle medesime, mi accorsi che le mie scelte politiche e ideali mi creavano problemi esattamente come me li avevano creati quelle estetiche pochissimi anni prima, quando - sull'onda della beat revolution - mi ero lasciato crescere i capelli (e non li avrei mai più tagliati..., non come i Sikh, ma badando sempre a non accorciarli sotto un determinato livello a me gradito).
Cresciuto in una famiglia con scarsi interessi politici (mio padre era vagamente socialista, mia madre vagamente monarchica), credo che il mio livello di politicizzazione avesse sorpreso i miei genitori e - soprattutto - che li avesse sorpresi l'orientamento radicale che aveva preso. Dopo tutto, nella mia famiglia, che fosse di inclinazioni che a loro apparivano estremistiche c'ero solo io. Nulla di serio, tuttavia, venne fatto per dissuadermi. Del resto, già a vent'anni avevo una solida reputazione di carattere balzano e ostinato, per cui nessuno mi contestò più di tanto; anzi, se proprio devo dire, fui semmai io a determinare un progressivo spostamento "a destra" dei miei familiari.
Diverso fu il rapporto con il resto del parentado, dove la tradizione di Sinistra, talvolta anche comunista, era piuttosto solida. Divenni rapidamente "l'uomo nero", cosa che invero non mi ha mai granché preoccupato, perché sono abituato alla solitudine e all'emarginazione, per non dire che l'ho sempre deliberatamente cercata. Detestando alla morte il "perbenismo interessato" di marca borghese, ho sempre ambito ad essere un reietto o addirittura un bandito, condizione per me di gran lunga preferibile a qualunque forma di accettazione nella società. Devo dire, inoltre, che nel caso di specie una certa emarginazione mi faceva gioco, perché così potevo starmene più facilmente per i fatti miei, perché né le famiglie né le affinità parentali mi hanno mai detto più di tanto. Sono come le disgrazie, non vengono mai da sole...
Ricordo però - e il ricordo mi disegna sul viso un ghigno mefistofelico - alcun parenti impegnati all'epoca nella CGIL, i quali, da bravi soggetti abituati a "ragionare" con la loro non illustre testolina, erano soliti "rallegrare" certi incontri familiari con le teorie - all'epoca assai diffuse - sul mitico "Indietro non si torna!", espressione con la quale all'epoca si intendeva che tutte le "conquiste" sindacali del periodo, comprese le più folli, erano da considerarsi diritti definitivamente acquisiti, per i lavoratori.
Mio padre, forte di un'esperienza di lavoro iniziata quando aveva solo 14 anni, era solito cercare di gettare acqua sul fuoco su queste affermazioni apodittiche, ma veniva spesso duramente contestato e in genere preferiva lasciar perdere. Io ero più incline alla raffinata presa per i fondelli, partendo dal presupposto che raramente una mentalità da sindacalista ha racchiuso al proprio interno cervelli eccelsi, ma - siccome ho sempre amato l'umorismo molto rarefatto - al massimo potevo sogghignare tra me e me per evidente mancanza di pubblico in grado di capire le mie stilettate...
Oggi, a distanza di tanto tempo, noto con distaccata ironia che certi miei parenti sindacalisti hanno preferito, in questo quarantennio, spostare prudentemente il portafoglio a destra, mantenendo forse il cuore a sinistra, ma mettendo in salvo l'odiatissimo capitale (scritto minuscolo, quello scritto maiuscolo non l'hanno mai letto, ovviamente...), per sottrarlo prudentemente all'odioso fiscalismo di Stato (ma no, ma va...?).
Al tempo stesso, rifletto sulla condizione lavorativa di mio figlio e su quella di una generazione di giovani precari a poche centinaia di euro al mese, e sorrido pensando a quel fatidico "Indietro non si torna!", e mi viene da dire: "Si torna, si torna, si è tornati, miei cari sciocchini!" ed è bastata una sola generazione di prepensionati, fancazzisti e furbi travestiti da amici del popolo bue per mandare totalmente a puttane un Paese. Non che la colpa sia solo di costoro, ma mentre una intera generazione di giovani non ha uno straccio di diritto o di tutela sociale, un'intera generazione di sindacalisti se ne è andata in pensione con emolumenti alquanto gonfiati, per non dire altro.
Volevano il bene dell'umanità e alla fine, forse per distrazione o forse perché gli hanno riservato maggiore attenzione, hanno badato a fare esclusivamente il bene di se stessi. Se quello italiano fosse un popolo, li avrebbe come minimo già screditati. E invece...
Quanto a me, io guardo. Sono da sempre "figlio di un dio minore" e, piuttosto che diventare come i "figli di un dio maggiore", farei qualsiasi cosa. Non devo ottenere posizioni né prebende, sono di quegli individui che fanno naturalmente ribrezzo agli altri.
E comunque - carissimi protervi di ieri - indietro si è tornati, di tantissimo, e con la vostra benedizione. I "domani che cantano" - come sempre - non sono venuti, salvo che per voi, e nemmeno per tutti. La gioventù italiana è stata deliberatamente sacrificata, per il vostro basso interesse, e neppure ancora pare rendersene ben conto. Il vostro capolavoro è non avere pagato il conto di questo autentico massacro sociale, una "macelleria messicana" che ha rovinato un Paese. E di essere ancora qui a pontificare su cosa dovremmo fare per uscire dalla crisi. Una crisi che - cercate di capirlo per una volta - non è una crisi, ma un collasso epocale, nel quale - e sarà la mia gioia - finirete per intero anche voi.
Piero Visani