Al termine della lunga avanzata che, dalle rive del Niemen, aveva portato la Grande Armée napoleonica a circa un centinaio di chilometri da Mosca, Napoleone cercò nuovamente di ingaggiare in combattimento l'esercito russo, nella speranza di potergli infliggere una sconfitta definitiva. Egli era convinto che l'armata zarista non avrebbe sgomberato Mosca senza combattere, per cui si predispose ad affrontarla in uno scontro che avrebbe potuto decidere le sorti del conflitto.
Benché fosse entrato in guerra con una Grande Armata forte di circa 600.000 uomini, Napoleone aveva dovuto dislocarne molte parti a protezione della sua puntata principale in direzione di Mosca, per non parlare di quelle che aveva dovuto lasciare a protezione delle retrovie e delle linee di collegamento, e naturalmente delle perdite che aveva subito nel corso della lunga campagna.
Al mattino del 7 settembre 1812, all'Imperatore non restavano che circa 125.000 uomini pronti al combattimento. In quei giorni, egli non stava bene, soffriva di stomaco e di problemi stressori che gli avevano conferito una strana apatia, che si riverberava sulle sue capacità individuali, in particolare sulla rapidità decisionale, una delle doti che maggiormente gli aveva giovato, come comandante.
Per di più, a partire dalla vittoriosa campagna contro l'Austria del 1809, Napoleone pareva aver perso gran parte delle sue eccelse qualità tattiche e si mostrava sempre più incline a battere il nemico non con la manovra, ma con uno scontro frontale basato sull'attrito e la capacità di logoramento.
Fu la stessa scelta su cui impostò il piano di battaglia per Borodino, puntando tutto sulla potenza del fuoco della formidabile artiglieria francese e sull'impatto a massa della sua fanteria.
Per quanto palesemente rischiosa, visto che la Grande Armée si trovava a migliaia di chilometri dalla Francia, nel bel mezzo del territorio nemico, questa tattica aveva comunque un senso: infliggere una dura sconfitta al nemico, impossibilitato a ritirarsi ancora più in profondità a seguito della necessità di difendere una città tanto importante come Mosca. Tuttavia, se essa si fosse rivelata fallimentare, egli si sarebbe trovato con le sue forze ulteriormente indebolite, nel cuore del territorio nemico.
Quando presentò il piano di battaglia ai suoi marescialli, Napoleone trovò una certa resistenza da parte del maresciallo Davout, di gran lunga il più brillante militarmente dei suoi collaboratori, il quale lo invitò ad evitare un sanguinoso urto frontale e a puntare invece sulle mille opportunità offerte dalla manovra, in particolare i tentativi di aggiramento sui fianchi. L'imperatore, tuttavia, non volle ascoltarlo, per cui, la mattina del 7 settembre 1812, la battaglia ebbe inizio e si trasformò rapidamente in una serie di sanguinosi colpi di maglio contro le ben organizzate difese russe.
Una volta di più si dimostrò come una serie di violenti attacchi frontali, sostenuti da un potentissimo fuoco di artiglieria, non fosse sufficiente ad avere ragione di una difesa ostinata, se non che a prezzo di gravi perdite. A fine giornata, i russi furono sloggiati dai loro principali punti di difesa e costretti a battere in ritirata, ma al prezzo di circa un quarto degli effettivi francesi tra morti, feriti e prigionieri. Sotto il profilo strettamente tattico, Borodino fu sicuramente un successo, ma indebolì notevolmente la Grande Armée proprio mentre la stagione stava già cominciando a scivolare verso l'autunno.
Un indizio innegabile che la battaglia era stata un classico scontro d'attrito, affidato solo alla capacità di sacrificio della truppe e al valore personale dei loro comandanti, è dato dal fatto che da parte francese trovarono la morte ben 249 ufficiali superiori, tra cui 49 generali. Solo il valore personale dei comandanti, e il loro sprezzo del pericolo, convinsero infatti le truppe a compiere sforzi inenarrabili per conquistare le ridotte nemiche, difese con straordinaria tenacia dalla fanteria russa. Più volte, nel corso dei combattimenti, i marescialli chiesero a Napoleone che autorizzasse l'impiego della Vecchia Guardia, l'unica formazione rimasta sostanzialmente intatta dopo l'avvio dell'invasione della Russia e come tale in grado di infliggere all'esercito zarista una sconfitta decisiva, ma egli si rifiutò sempre di farlo, timoroso com'era di sacrificare il suo corpo d'élite in un momento tanto delicato dell'intero conflitto. A detta di non pochi storici, ciò avrebbe compromesso la possibilità di cogliere una vittoria decisiva.
Una settimana dopo la battaglia (14 settembre 1812), le avanguardie francesi fecero il loro ingresso a Mosca. La campagna di Russia pareva infine terminata, e invece era solo all'inizio.
Piero Visani