martedì 1 settembre 2015

Le due "bontà"


       Per i "buonisti" nostrani ("eletta schiera che si vende alla sera, per pochi milioni"... di euro...), esistono due tipi di "bontà": la "bontà che rende" e quella "che costa".
       Intorno alla prima è fiorito un mercato di dimensioni ormai multicontinentali, visto che, nel nome del "Bene", già da tempo si fa di tutto, dai bombardamenti "umanitari" ai massacri, dallo sfruttamento dei fenomeni migratori alla demonizzazione del nemico (attenzione, lettori potenzialmente disattenti: ho scritto "nemico", non "avversario"...).
       La "bontà che rende" è una condizione dell'anima, prima ancora che delle tasche di chi se le riempie in nome di essa... E' la "bontà" che accompagna il mondo verso la sua "naturale" evoluzione di un pianeta senza nemici (ovviamente non perché i "cattivi" siano stati resi "buoni", ma perché sterminati in nome - "ça va sans dire" - del "Bene").
       La "bontà che rende" consente di fare affari giganteschi a basso costo e nullo rischio (per chi se ne fa fautore, e solo per costoro, ovviamente) e consente altresì di strappare, con adeguate narrazioni e metanarrazioni, la lacrimuccia e il consenso dei milioni di super-ingenui (uso un eufemismo, è una mattina in cui mi sento "buono"...), i quali si sentiranno "naturalmente" indotti a schierarsi in favore di un Bene così "buono". A loro ovviamente non renderà alcunché, ma riempirà di gioia e amore le loro "anime belle".
       A fronte di questa, si pone la "bontà che costa", quella che NON consente di fate affari ma distingue uno Stato degno di questo nome da uno "Stato-Mafia" o - più correttamente - da una "Mafia-stato".
       La "bontà che costa" consente ai cittadini (non intesi come sudditi) l'esercizio dei loro diritti di cittadinanza: il diritto alla vita, alla proprietà, alla sopravvivenza, al lavoro; in una parola, alla libertà. A non vedersi estirpare il loro patrimonio dal fiscalismo di Stato, a non vedere i loro conti correnti svuotati dalle banche, a poter andare a un supermercato senza essere bloccati - all'entrata o all'uscita del medesimo - da una marea di questuanti; il diritto a poter vivere in pace nelle loro case, senza subire furti, aggressioni, rapine od omicidi.
       La "bontà che costa", però, costa. Esige che esista uno Stato e non solo una "Mafia-stato". Esige che si facciano rispettare alcune leggi minimali e non solo quelle che tutelano gli interessi della "Mafia-stato". Esige che quest'ultima sia attenta ai DIRITTI dei sudditi ("cittadini" mi fa ridere solo a scriverlo), non solo ai DOVERI dei medesimi. Per questi ultimi ci sono già i "cravattari" dei prelievi forzosi di Stato.
       Al momento, la "Mafia-stato" ignora bellamente tutto questo e ancora non pare rendersi conto che la faccenda le sta esplodendo tra le mani. Una equilibrata gestione del potere, compreso quello mafioso, presuppone che chi sta sotto mantenga un minimo di agibilità, di diritti e di speranza (oltre che di capacità di autosostentamento). Se salta questo, si apre il vaso di Pandora. Non manca molto. Sono curioso per natura.

                           Piero Visani