lunedì 15 febbraio 2016

Culture di morte


       In Italia, quanto meno dall'avvento della repubblica, si sprecano le giaculatorie sul tema delle "culture di morte", cui si contrappongono le "culture di vita" tipiche della "superiore civiltà italica". A parte le facilissime considerazioni sulle "culture di vita" che animano un Paese in cui il potere politico è fatto da "cravattari" (per non andare a scomodare gli anni della "guerra fredda") che istigano al suicidio e in cui vastissime zone di territorio sono sotto il controllo di varie forme di criminalità organizzata, nessuna delle quali è estranea a solide collusioni con il potere politico stesso, quelle che qui da noi vengono cristianamente definite "culture di morte" sono le uniche culture che esistano al mondo, Italia compresa, dove peraltro si preferisce nascondere il tutto dietro a qualche facile copertura di comodo, in quanto l'opinione pubblica è assai incline a bere tutte le menzogne che le vengono raccontate.
       E' possibile (non è certo) che Giulio Regeni fosse un agente di primo livello, visto che non è raro che soggetti del genere vengano reclutati ad esempio nelle grandi università, in particolare internazionali. E' possibile che avesse o non avesse particolare esperienza. Quello che non sorprende è che soggetti come lui vengano sacrificati a disegni che non nascono certo a Roma, ma di cui Roma è - come sempre e più di sempre - passiva esecutrice. Meno ancora sorprende che, dopo aver mandato allo sbaraglio delle persone, si finga di non sapere che, nella politica internazionale, come in tutte le altre forme di rapporti umani, SI UCCIDE, e anche per poco. Noi continuiamo ad ignorarlo come istituzioni, come cultura nazionale, come popolo. Non giova né alla nostra sopravvivenza individuale e/o collettiva, ma a noi piace così. Per tutelare milioni di cialtroni, giovani più o meno ingenui vengono gettati allo sbaraglio. Ogni testimonianza è martirio, ma siamo sicuri che i massacratori veri siano sull'altro fronte...?

                 Piero Visani