Sono nato nazionalista, nazionalista italiano. L'ideologia è venuta abbastanza dopo. Da bambino, molto piccolo, mi commuovevo per tutto ciò che riguardava il Risorgimento, oltre che per le storie di mio nonno materno Pietro Rosset, fante della Grande Guerra, e di mio zio Augusto Rosset, paracadutista della "Folgore" ad El Alamein.
I prodigi di valore dell'esercito del Regno Italico a Malojaroslavets (1812), le battaglie del Risorgimento (come la carica dei Carabinieri della scorta di Carlo Alberto a Pastrengo, 1848), le imprese degli Arditi nella Prima Guerra Mondiale, la carica del "Savoia Cavalleria" a Isbuschenskij (1942), la notte di Alessandria (19 dicembre 1941), erano tutti eventi la cui memoria mi commuoveva fino alle lacrime.
Ancora oggi, nessuno di questi eventi mi lascia indifferente, ma lo sguardo è necessariamente cambiato. So bene di amare molto l'Italia, ma so altrettanto bene che gli italiani - certi italiani - non hanno mai amato molto me, e me ne sono fatto una ragione, anche perché odio dal profondo l'Italia che hanno costruito loro, che mi risulta totalmente estranea e ostile.
Un particolare però non dimentico: nel corso della mia non breve carriera di conferenziere culturale e in quella, molto più breve e meno sentita, di pseudo-politico, i migliori momenti che ho vissuto sono stati quelli in cui sono stato invitato a parlare dalle associazioni degli esuli di Istria e Dalmazia, a Torino, a Milano e forse anche altrove.
Ricordo, in occasione della campagna elettorale per le elezioni regionali del 1995, cui ebbi la pessima idea di presentarmi come candidato, l'incontro con una anziana signora che mi parlò a lungo della sua Istria e delle sue esperienze di profuga. L'amor di Patria che questa donna era capace di trasmettere, anche a chi - come me - aveva ormai (all'epoca) 45 anni e non era proprio un pivellino, mi colpì profondamente, così come mi colpirono le sue parole. Mi baciò con trasporto, alla fine del nostro colloquio, come una madre che incontra un figlio ideale e gli lascia il compito di continuare una bella battaglia. Vedo quello sguardo, sento quell'abbraccio, sento quell'amor di Patria ogni volta che li vedo traditi non certo da chi li ha sempre odiati, ma da chi si era arbitrariamente arrogato il compito di difenderli. Per carattere, infatti, tendo a comprendere i nemici e le loro ragioni, ma ho uno schifo assoluto per i traditori, gli inetti, gli amanti del compromesso, i servili.
Quell'abbraccio me lo porterò dietro tutta la vita e lo regalerò a mio figlio, perché lo regali a chi ne reputerà degno, facendone un mio nipote, se non reale, certo ideale.
Piero Visani
Un particolare però non dimentico: nel corso della mia non breve carriera di conferenziere culturale e in quella, molto più breve e meno sentita, di pseudo-politico, i migliori momenti che ho vissuto sono stati quelli in cui sono stato invitato a parlare dalle associazioni degli esuli di Istria e Dalmazia, a Torino, a Milano e forse anche altrove.
Ricordo, in occasione della campagna elettorale per le elezioni regionali del 1995, cui ebbi la pessima idea di presentarmi come candidato, l'incontro con una anziana signora che mi parlò a lungo della sua Istria e delle sue esperienze di profuga. L'amor di Patria che questa donna era capace di trasmettere, anche a chi - come me - aveva ormai (all'epoca) 45 anni e non era proprio un pivellino, mi colpì profondamente, così come mi colpirono le sue parole. Mi baciò con trasporto, alla fine del nostro colloquio, come una madre che incontra un figlio ideale e gli lascia il compito di continuare una bella battaglia. Vedo quello sguardo, sento quell'abbraccio, sento quell'amor di Patria ogni volta che li vedo traditi non certo da chi li ha sempre odiati, ma da chi si era arbitrariamente arrogato il compito di difenderli. Per carattere, infatti, tendo a comprendere i nemici e le loro ragioni, ma ho uno schifo assoluto per i traditori, gli inetti, gli amanti del compromesso, i servili.
Quell'abbraccio me lo porterò dietro tutta la vita e lo regalerò a mio figlio, perché lo regali a chi ne reputerà degno, facendone un mio nipote, se non reale, certo ideale.
Piero Visani