Morire alle persone e alle cose non è mai piacevole, però assegna un ruolo. Si cessa di rimanere tra "color che son sospesi" e ci si vede posizionati da qualche parte, in qualche bel cimitero di campagna, con quelle belle foto inespressive o espressivamente idiote che illustrano le tombe.
Non è forse una fine che ci si potrebbe augurare, ma ha il vantaggio di essere comunque una fine: non sono più possibili equivoci, convocazioni "a richiesta" e probabilmente interessate, infingimenti più o meno patetici. Uno è "morto" e non gli resta che prenderne atto.
La situazione, in un primo tempo, è forse una di quelle che feriscono l'amor proprio, ma poi si capisce che la fredda realtà della morte, ovviamente metaforica, è di gran lunga preferibile a un vivere che non esiste, a una "vita a credito" di cui nessuno riusciva a capire necessità o ratio, salvo chi te la faceva "vivere".
Dicono che la mia natura sia rigida e tranchant, ma è bello non essere "tra color che son sospesi". Se la mia vita è un fatto condiviso, mi sta bene. Se invece è "la vita di un altro", allora ovviamente la posso e debbo dirigere solo io, in perfetta solitudine.
Sono lieto di essere servito a qualcuno e sono anche lieto che, nel momento in cui non servivo più, io sia stato messo drasticamente da parte e posto in condizione di uscire a mia volta di scena. Sono consapevole di essere molto ingombrante e mi sta bene così: un primattore non può fare mai il figurante e mai lo farà.
Piero Visani
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