Sono stato spesso inteso, e usato, in vita mia, come un taxista, cioè come un soggetto al quale si facevano compiere prestazioni che avrebbero dovuto essere a titolo oneroso, e che invece sono sempre state rigorosamente intese - e condotte - a titolo gratuito.
In verità, se il mio ruolo di taxista fosse stato rettamente inteso, a me la cosa non sarebbe dispiaciuta per niente, nella maggioranza dei casi: avrei effettuato la mia corsa e me le sarei fatta pagare, e devo confessare in assoluta sincerità che avrei accettato pagamenti sia in denaro sia in natura, con manifesta predilezione per i secondi...
Per mia sfortuna, o pura dabbenaggine, ho finito anche per svolgere decine di corse a vuoto, nel senso di a titolo gratuito, e ho cominciato a chiedermi se davvero non fossi un po' troppo fesso. Così a un certo punto, più scottato del solito, ho deciso di restituire la licenza di guidatore di auto pubblica, e ho cominciato ad occuparmi soltanto del mio privato. Il danno, quello l'avevo messo in conto e l'ho subito fino in fondo. Ho preferito evitarmi le beffe, che sono sempre il lato più sgradevole del lavoro dei taxisti. Forse verrò ricordato come un taxista scorbutico e maleducato, ma solo parzialmente fesso. Il che, in definitiva, un po' mi consola. Ho sempre tenuto molto a risultare antipatico e ad essere ricordato come tale, ma con le terga rigorosamente intatte e anche con una certa capacità di pareggiare i conti, quando in manifesto squilibrio...
Piero Visani
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