A volte, ci si sente molto soli e terribilmente incompresi. Sono momenti difficili, ma - a ben guardare - sono anche i migliori, perché sono quelle circostanze di vita in cui si può fare conto solo su se stessi.
Non sono stato mai molto capito, in vita mia, e - a partire dai 14-15 anni - me ne sono fatta una ragione. Mi sono messo sulla difensiva, ho parlato con me e me, ho sperato per un po' che la situazione potesse cambiare, poi ne ho preso atto e ho costruito la mia vita su quella constatazione.
Oggi sono molto più sereno di un tempo e so che, in definitiva, posso fare conto solo su me stesso. La mia alterità rispetto al mondo che mi circonda è talmente forte che sarei un illuso a pensare che le cose possano essere diverse o andare diversamente.
Sono introiettato in me stesso. Non rifiuto certo il contatto con il mondo esterno, ma so bene che mi riserverà delusioni e questo, in definitiva, mi succede di continuo in quanto non rientro in alcun canone, non sono classificabile, non sono inseribile in qualche catalogo. Sono naturalmente fuori, un outsider per scelta.
Non mi costa poco, ma è tutto quello che mi resta, e ne vado fiero. Ormai credo che l'incomprensione e la solitudine servano moltissimo a definire la mia identità. Poi naturalmente cerco spesso di uscire da questi confini, ma, in un modo o nell'altro, tentano sempre di rispedirmici dentro. Ne prendo atto, e vado avanti. Se avessi cercato consensi, alla mia verde età, li avrei già trovati. Ora non li cerco nemmeno più. Questo aumenta i miei livelli di sincerità. E questo giova alla mia identità, anche se ovviamente non mi procura troppi amici.
Piero Visani